Forse i dati che meglio corroborano la concezione dell’esistenza dei campi morfogenetici provengono da una serie di esperimenti iniziati dallo psicologo William Mc Dougall presso l’Università di Harvard nel 1920. Egli si proponeva di scoprire se gli animali potessero ereditare abilità acquisite dai loro genitori. Mc Dougall mise dei topi bianchi, uno alla volta, in una vasca piena d’acqua. L’unico modo per fuggire era quello di nuotare fino a una delle due passerelle esistenti e arrampicarvicisi. Una passerella era illuminata vividamente e l’altra era al buio. Se i topi fuggivano utilizzando la passerella illuminata ricevevano una scossa elettrica, mentre non accadeva loro nulla di male se imboccavano la passerella al buio. Mc Dougall tenne il conto dei tentativi che furono necessari ai topi per imparare a scappare scegliendo costantemente la passerella non illuminata. La prima generazione di topi necessitò di una media di oltre 160 scosse ciascuno prima di imparare a evitare la passerella illuminata. La seconda generazione, nata da genitori che avevano già fatto l’esperienza, si comportò molto meglio, e la sua prole ancora meglio. Mc Dougall allevò trenta generazioni di topi e, a questo punto, i topi facevano soltanto venti errori ciascuno. Mc Dougall concluse che questi risultati sembravano dimostrare l’ereditarietà di caratteristiche acquisite, ma questa conclusione scatenò un’arroventata polemica, perché evocava lo spettro del lamarckismo. Gli esperimenti di Mc Dougall furono scrupolosamente passati al vaglio dai più eminenti biologi e nessuno di loro poté trovare il più piccolo difetto nel progetto sperimentale dello scienziato. Si decise che, in qualche modo, egli doveva avere inconsapevolmente allevato i topi più intelligenti di ciascuna generazione, benché avesse scelto i genitori a caso. Mc Dougall raccolse la sfida. Iniziò un nuovo esperimento in cui selezionò soltanto i topi più stupidi di ogni generazione e li utilizzò come genitori per quella successiva. Ci si sarebbe dovuto aspettare, secondo i dogmi della teoria genetica ortodossa, che le generazioni successive avrebbero avuto risultati sempre più scadenti; invece migliorarono le loro prestazioni: dopo ventidue generazioni i topi imparavano dieci volte più in fretta della prima generazione di antenati stupidi. I risultati dell’esperimento di Mc Dougall erano sorprendenti; altri ricercatori si affrettarono a replicarli: il dottor F.A.E. Crew di Edimburgo e il professor W.E. Agar e i suoi colleghi di Melbourne. Essi prepararono vasche analoghe e usarono topi bianchi dello stesso ceppo. Qualcosa d’inspiegabile successe nei loro esperimenti: fin dalla prima generazione, i loro topi impararono il compito più in fretta della prima generazione dei topi di Mc Dougall. In effetti, alcuni dei primi topi testati da Crew «impararono» a fuggire attraverso la passerella non illuminata immediatamente, senza compiere un solo errore. Agar non solo studiò il mutamento nel tasso di apprendimento delle successive generazioni di topi discendenti da genitori addestrati ma anche quello di una linea parallela di topi discendenti da genitori non addestrati. In questa linea di controllo, alcuni dei topi furono testati nella vasca piena d’acqua e poi scartati, mentre altri che non erano stati testati funsero da genitori per la generazione successiva. Gli studi di Agar continuarono per venticinque anni. Essi confermarono i risultati ottenuti da Mc Dougall: le generazioni successive nelle linee addestrate tendevano a imparare sempre più in fretta. Ma lo stesso facevano anche i topi nella linea di controllo. Dato che il miglioramento nei tassi di apprendimento avvenne anche in successive generazioni della linea di controllo non addestrata oltre che in quella dei topi addestrati, i risultati non potevano essere dovuti alla trasmissione di geni che potessero essersi modificati attraverso l’apprendimento: la trasmissione di caratteri acquisiti. Quindi, anche se le conclusioni di Mc Dougall vennero smentite, i risultati furono confermati. Essi non sono mai stati spiegati e rimangono tuttora totalmente contrastanti con i concetti convenzionali della genetica, eppure si adattano straordinariamente bene al concetto di campi morfogeni. Uno dei motivi per cui il lavoro di Mc Dougall non ottenne un maggior favore fu che sapeva di lamarckismo, lasciando intendere che caratteristiche acquisite potessero essere ereditate. Ma è possibile che le idee di Lamarck, dopo essere state relegate nell’immondezzaio della biologia, stiano facendo la loro ricomparsa, perché dati recenti suggeriscono che i mutamenti evolutivi e genetici possano essere diretti da circostanze esterne. In uno studio, John Cairns e i suoi collaboratori di Harvard scoprirono che batteri geneticamente incapaci di metabolizzare uno zucchero, il lattosio, possono diventare consumatori di lattosio quando vengono posti in un ambiente dove il lattosio è la loro unica fonte di cibo. Per poter consumare lo zucchero evitando così di morire di fame, i batteri devono mutare a un tasso di velocità di gran lunga superiore a quanto avviene casualmente. Così i batteri acquisirono rapidamente una nuova caratteristica e la trasmisero alle future generazioni, violando gli attuali principi biologici secondo cui ciò non potrebbe verificarsi. In un esperimento analogo, il ricercatore Barry Hall dell’Università del Connecticut sottopose dei batteri a un compito ancora più difficile: per poter metabolizzare il nuovo zucchero che era il loro unico principio nutritivo, dovettero effettuare due mutazioni, una delle quali era un’eliminazione di istruzioni genetiche esistenti. Le probabilità che due mutazioni avvengano a caso, nello stesso periodo di tempo sono poco più di una su un miliardo. Come nell’esperimento di Cairns, i batteri trasmisero poi la capacità appena acquisita a organismi successivi. Il significato di questi esperimenti è attualmente al centro di un animato dibattito. I risultati si limitano ai batteri? Quale percentuale di tutte le mutazioni è spiegata dai meccanismi ultimamente scoperti? La maggior parte delle mutazioni genetiche sono ancora attribuibili alla casualità, con l’«esperienza» che svolge un ruolo solo minore? Indipendentemente da come si risolverà il dibattito, questi esperimenti suggeriscono, sostiene Cairns, che tutte le variazioni non sono casuali, e che il pacchetto genetico di una cellula individuale può approfittare dell’esperienza. Cairns cosi sintetizza l’attuale situazione: L’iniziale trionfo della biologia molecolare diede un forte incoraggiamento ai riduzionisti… Curiosamente, quando consideriamo quale meccanismo potrebbe essere alla base delle forme di mutazione… troviamo che la biologia molecolare ha, nel frattempo, smentito i riduzionisti. Ora praticamente qualsiasi cosa appare possibile.
Stefano Calamita
fonte: http://www.performancetrading.it/Documents/LaRealta/LaR_EsperimentiWilliam.htm