DI JAMES HOWARD KUNSTLER
Clusterfuck Nation
Questo è il tipo di fiasco che fa cadere governi, spinge le società alla rivoluzione e avvia guerre. Tra qualche mese, l’America sarà piena di perdenti economici infuriati.
Il mondo del G-7, il club delle nazioni occidentali “sviluppate” più il Giappone, ha iniziato l’esperienza traumatica di svegliarsi improvvisamente molto più poveri. Tutti i disperati tentativi di trovare soluzioni di emergenza per aggirare il problema, escogitati da governi e banche centrali di punto in bianco, sono volti a superare questo fatto basilare sbalorditivo, e nessuno di essi ci riuscirà. Tutti i benchmark sono fluttuanti — le azioni, i valori delle obbligazioni e i rendimenti, i prezzi dei beni, soprattutto quelli delle valute — ma questi tendono a camuffare il fatto essenziale dell’impoverimento crescente e dilagante. Il prezzo del petrolio sta a 80 dollari al barile stamattina? Che bello. Tranne quando l’azienda per cui lavori sta per collassare, e ti trovi di fronte a una stagione delle vacanze di guida frenetica attraverso tutta Atlanta in cerca di un nuovo lavoro, con le probabilità di trovarlo tutte a tuo sfavore. O se stai vivendo con un fondo di pensione che ha appena perso il 37 per cento del suo valore ed è il momento di riempire il serbatoio del gasolio da riscaldamento.
L’Islanda è, in questo, l’esempio paradigmatico del giorno. La piccola nazione-isola di circa 320.000 anime (pressappoco metà della popolazione del Vermont) ultimamente ha coltivato un settore bancario che prosperava grazie a una finanza something-for-nothing (qualcosa per nulla). In poco più di un mese, le sue banche sono implose come piccole Morti Nere, lasciando l’Islanda con una valuta reietta. Da allora deve importare praticamente tutto, e si ritrova improvvisamente incapace di pagare le importazioni, le persone stanno ripulendo i supermercati di qualsiasi cosa vi sia rimasta ora. Ti chiedi cosa faranno tra due settimane. Tra dieci anni magari ne saranno rimasti 32.000 di loro, vivendo di panini di grasso di balena. Forse sto esagerando un poco, ma chi sa veramente dove porterà tutto questo? Qui negli USA il Ministero del Tesoro, godendo di poteri di spesa discrezionale nuovi e apparentemente illimitati, ha iniziato a stipare palate di dollari in ogni camion in coda alla banchina di carico e scarico. Le cifre sono sbalorditive. Nel giro di dieci giorni si è arrivati a miliardi di dollari di prestiti e sussidi. La maggior parte di questo denaro è risucchiato direttamente dal buco nero del debito e richieste di margine di questo o quel tipo. Questa è ricchezza precedentemente data per scontata che ora non lo è più. Sta lasciando il sistema, a non rivedersi mai più. Un modo utile per riflettere su questo è considerarlo come i prestiti assunti precedentemente dalla nostra società contro il nostro stesso futuro. In questo modo, stiamo vedendo svanire il nostro futuro dentro un buco nero — il nostro futuro benessere, la salute, e gli alimenti di base.
Questo è il tipo di fiasco che fa cadere governi, spinge le società alla rivoluzione e avvia guerre. Tra qualche mese, l’America sarà piena di perdenti economici infuriati. Non siamo la stessa nazione che si accalcava attorno alle vecchie console della radio per le chiacchiere da focolare di Franklin Roosevelt. A quel tempo eravamo principalmente una società industriale altamente disciplinata e irreggimentata piena di cittadini che facevano quasi sempre ciò che veniva detto loro di fare, e che per lo più credeva nell’autorità. Oggi siamo una nazione di barbari “consumatori” tatuati e privi di controllo sugli impulsi, con un rigonfio senso di diritto acquisito, governata da una serie di autorità che vanno da un G. W. Bush al pantheon di amministratori delegati truffatori e miliardari di Wall Street – ora diretti verso bunker segreti con le loro riserve di Krugerrand, cotolette alla milanese liofilizzate e squadre private di sicurezza armate di carabine XM-8.
Concordo con l’idea di Nassim Nicholas Taleb — leggete “Il Cigno Nero” — che in verità nessuno sa niente. Costruiamo le nostre narrazioni per tentare di spiegare circostanze che si stanno dipanando in modo contorto davanti a noi, e alcune narrazioni sono più plausibili di altre, a seconda del tuo punto di vista. C’è un’infinità di narrazioni. Questo non è nient’altro che la mia narrazione. Le circostanze nelle quali ci stiamo addentrando sembrano, per ora, assumere le sembianze di una depressione deflazionistica compressiva, con l’aggiunta della ciliegina sulla torta di un’inflazione galoppante più avanti — il che significa inizialmente che si perdono impieghi, redditi e pensioni, ma che in un momento successivo anche i pochi soldi che la gente riesce ad ottenere — forse per lo più da elemosine governative di vario tipo — perdono continuamente valore. Comunque giriamo le cose, alla fine il significato che ne risulta è lo stesso: una società molto più povera. Certamente non sarà una società di compratori ricreativi che fanno spola nei corridoi dei negozi della Target alla ricerca di candele profumate e accenti familiari. L’iperinflazione potrebbe rendere insignificanti vecchi debiti, ma renderebbe ugualmente privi di senso i crediti e assurdo lo spendere denaro.
Visto il modo in cui ha preso a funzionare la nostra società — come una spirale ascendente infinita di indebitamenti — si possono vedere tremendamente tante cose che non funzionano più, e una cifra enorme di persone che non ci lavora. Forse i governi dei G-7 otterranno la liberazione di prestiti ai livelli superiori, ma chi, esattamente, è in grado di prendere un prestito, ora, oltre alle compagnie sull’orlo della bancarotta — e perché si dovrebbe continuare a prestare a loro? (se non per mantenere la finzione che “viene fatto qualcosa”.) Inoltre, c’è molto, troppo denaro preso in prestito precedentemente che non sarà mai ripagato, e il “calcolo” di tutto quel debito implica solo la continua vendita ansiosa di ogni tipo di patrimonio — così che gli USA effettivamente diventeranno la nazione dei mercatini delle pulci.
Personalmente credo che tutto quel rimaneggiare nel mondo dei numeri e degli indici non risolverà niente, e che in verità rappresenti solo una specie di nevrosi ossessivo-compulsiva collegata alla numerologia che non farà niente per riaggiustare le nostre attività quotidiane verso la produzione di cose che abbiano un valore reale e duraturo. Nella mia narrazione, il destino delle nazioni industriali dipende veramente dalle risorse energetiche. Il prezzo del petrolio può essere in calo al momento — forse a causa del deleveraging dei fondi hedge, delle banche, e dei singoli investimenti, forse combinato con la percezione di una “distruzione della domanda” – ma la geologia e la geopolitica del petrolio non sono cambiati dal giugno di quest’anno, quando il petrolio stava a 147 dollari. Diciamo che il consumo di petrolio negli Stati Uniti è sceso di un milione di barili di petrolio al giorno. Entro i prossimi due anni rischiamo di perdere più di quella cifra per cali delle importazioni solo da Messico e Venezuela. L’ultima stima dell’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede una crescita solo leggermente inferiore nella domanda mondiale di petrolio di quella precedentemente annunciata. Si tratta comunque di una crescita della domanda netta. Il consumo mondiale di petrolio tuttora eccede la produzione mondiale, e forse lo farà permanentemente. Infine, il presente abbassamento dei prezzi del petrolio ha improvvisamente bloccato proprio le realmente fondamentali impres di esplorazione e sviluppo da cui ci si prometteva un aumento della disponibilità mondiale di petrolio. Tutto questo preannuncia un aggravamento dell’offerta di petrolio e problemi di distribuzione nei cinque anni a seguire, e in fin dei conti petrolio molto più caro e difficile da ottenere.
Ciò che non riusciamo ad affrontare è la prospettiva che potremmo diventare qualcosa di diverso da una società “consumatrice” industriale. La mia narrazione include la convinzione che avremo delle difficoltà a produrre cibo per noi stessi quando la petroagricoltura fallirà, e visto che la società non può sopravvivere senza la produzione di cibo, vedo questa attività ritornare molto vicino al centro delle nostre vite quotidiane. Noi non siamo pronti per riflettere su questo. Lo svantaggio della nostra impreparazione potrebbe essere che molti americani affronteranno il decennio a venire con la fame.
Niente di tutto ciò è un motivo per disperare, sia detto per inciso, ma certamente invoca la necessità di rivedere intensamente le aspettative e di dedicare una seria attenzione a una lista nazionale del “da farsi”. Siamo sulla strada per diventare un’altra nazione, che ci piaccia oppure no. Nessuna quantità di auspicio numerologico e neppure di lamentele cambierà questo dato di fatto. La grande questione per, diciamo, i prossimi 24 mesi è: quanto turbolenta permetteremo che sia questa transizione?
Titolo originale: “The Nausea Express”
Fonte: http://jameshowardkunstler.typepad.com
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di KARIN LEITER