di

Marco Pizzuti

Interamente tratto da una testimonianza di Gabriella Carlizzi

Fonte: www.lagiustainformazione2.it

Gabriella Pasquali Carlizzi nel corso degli anni ha avuto modo di venire a conoscenza di fatti e misfatti mai rivelati ufficialmente fino ad oggi. Informazioni scottanti che riguardano i retroscena dei c.d. anni di piombo e del loro strettissimo legame con i servizi segreti.
Diverse circostanze le hanno permesso di apprendere quanto ora sta cercando di rendere pubblico a rischio della propria incolumità. Tra queste, il contatto diretto e duraturo da lei avuto con i protagonisti della vicenda Moro sia in veste di Presidente dell’Ente Morale Opera di Carità fondato da Padre Gabriele Maria Berardi (Ente presso cui hanno prestato servizio per anni numerosi ex brigatisti dissociati e pentiti in semilibertà) che in qualità di ex assistente volontaria presso il carcere di Paliano.
Gabriella Carlizzi ha affermato infatti di voler denunciare l’esistenza  di episodi  rivelatori sul terrorismo italiano che seppur ben documentati non sono mai stati lasciati trapelare dalle fonti istituzionali. Verità scomode che riguardano il caso Moro e che sono state deliberatamente lasciate a marcire sotto il falso appellativo di “Misteri”.

La preparazione del sequestro.
Durante gli anni in cui emerse il fenomeno del terrorismo rosso i brigatisti controllarono gli spostamenti di Andreotti e della sua scorta per parecchi mesi eseguendo quelle operazioni di pedinamento e osservazione continuativa che nel loro dizionario prendeva il nome di “inchiesta”.
Alle loro riunioni, partecipavano non solo i brigatisti già entrati in clandestinità ma anche quelli che vi sarebbero entrati successivamente o che comunque avrebbero avuto un ruolo di congiunzione  con le aree estreme di taluni partiti. Fu così che tramite alcuni di questi anelli di collegamento  giunsero dei “consigli” alle BR da alcuni politici.
In pratica fece considerare l’allora posizione di Andreotti per il quale la Magistratura aveva avanzato ben 27 richieste di autorizzazione a procedere in altrettanti procedimenti giudiziari, e che di conseguenza il suo rapimento non avrebbe ottenuto né dallo Stato né dal Vaticano una attenzione volta a trattare con le BR e a prendere in considerazione le loro richieste.
Le BR dunque avrebbero, secondo il politico, dovuto spostare la loro attenzione sull’onorevole Aldo Moro. Finsero di sviluppare su costui una “inchiesta”, che durò poco più di un mese, ma il sequestro era già stato preparato da un’altra regia….
Ancora più interessante è ricordare che durante la “prigionia” di Moro, l’unico Partito e il suo leader che portarono avanti la politica della cosiddetta “trattativa” furono appunto Craxi e il suo PSI. Craxi addirittura attraverso tale avvocato Guiso, per convincere gli avversari politici che invece erano decisi su una politica della cosiddetta “fermezza” si faceva intermediario-garante di una serie di fatti relativamente anche all’uscita di Moro dalla scena politica una volta liberato, nonché riferiva, come risulta dagli atti parlamentari della Commissione di Minoranza, sulle reali condizioni di Moro ed altre circostanze che facevano bene intendere, (e questo era il suo asso nella manica!) che lui o chi per lui potevano avere diretti contatti con il “prigioniero”.

Moro era estraneo alla regia del suo sequestro?
Risulta che una persona molto vicina allo Statista, fosse all’epoca immediatamente precedente il sequestro, fidanzata con uno di quegli anelli di congiunzione tra un’area estremista politica e i brigatisti già entrati in clandestinità.
L’anello di congiunzione partecipava alle riunioni, compresa quella del direttivo logistico in cui le BR accolsero il consiglio di lasciare l’obiettivo Andreotti e spostare l’attenzione su Moro. Naturalmente visto il rapporto affettivo che intercorreva tra l’anello di congiunzione e la persona molto vicina a Moro, è ben presumibile che l’uno abbia riferito all’altra e che costei a sua volta informò il “potenziale prigioniero”.
L’anello di congiunzione di cui si parla, era un ragazzo di sinistra, simpatizzante per le BR, ma ancora al di fuori dell’organizzazione.
Moro non si consegnò a nessun “carceriere”, poiché dal momento in cui fu informato che era in preparazione il suo “sequestro”, al fine di rappresentare una pressione forte sulla parte conservatrice del Governo e della DC, che si opponevano all’apertura a sinistra, dopo aver moto riflettuto e dopo aver avuto determinate garanzie per se e la propria famiglia, accettò “l’operazione”, “in nome della Ragione di Stato”, come ebbe a scrivere a Padre Gabriele Maria Berardi, in una accorata lettera.
La sua garanzia era anche quella di sapere che il piano non si originava dalle BR, che pure avevano il ruolo e l’interesse a rivendicare l’azione per dimostrare il loro potere, ma Moro seppe dalla persona che partecipò alle riunioni tra BR e anelli di congiunzioni, che tutto era sotto l’attento controllo dell’amico Bettino.
Moro non scelse, ma sapendo che comunque sarebbe stato ugualmente “sequestrato”, preferì “gestire l’operazione.

Le BR solo prestanomi e prestavolti.
Gli ex terroristi hanno tutti mentito, compresi pentiti e dissociati.
Le BR sono state solo dei prestanomi e prestavolti.
Cosa poteva essere per il prestigio delle BR rivendicare un’azione come quella del sequestro e dell’uccisione di Moro, con la certezza che per il buon fine di questa operazione era stata predispota una regia di ben più alto livello dei brigatisti?
In fondo sarebbero state le BR a rivendicare l’azione, in più si era fatto avanti un interlocutore che avrebbe cavalcato la pagina più buia della Repubblica, e nelle mani di Moretti e dei suoi più fedeli, sarebbe rimasto a vita il ricatto di conoscere la verità sul reale svolgimento dei fatti. Infatti, di decine e decine di ergastoli inflitti, grazie a leggi fatte ad hoc, i Brigatisti arrestati scontarono pene ridotte a dieci/quindici anni, nonostante le stragi, nonostante le gambizzazioni, nonostante omicidi eccellenti, nonostante migliaia di rapine a mano armata ecc. ecc.
Non solo: ma a differenza di ex detenuti per reati comuni, i Brigatisti appena tornati in libertà, o semilibertà, hanno tutti avuto la possibilità di lavorare anche per società parastatali, vale a dire società create ad hoc, di cui lo Stato si serve, commissionando lavori specie nel settore informatico, con stipendi da capogiro.
Gli ex terroristi se hanno imparato qualcosa sul caso Moro lo hanno fatto quando sono finiti in carcere.
Le BR se hanno imparato qualcosa su Moro, lo hanno fatto quando sono finiti in carcere e si sono “acculturati” sulle “ragioni di Stato” e quanto altro ha permesso loro di inventare false verità durante i processi.
Nelle carceri, vi entrano sotto la copertura di assistenti sociali, suore o preti, con cittadinanza vaticana e che fanno parte dei Servizi Segreti della Santa Sede, e svolgono invece vere e proprie trattative con i detenuti politici assicurandosi a vita, anche nel caso questi tornino in libertà, che le versioni dei fatti che racconteranno sia nei processi sia come cittadini liberi, mantengano i segreti di Stato che la società non deve conoscere.
Mentre in queste carceri, uomini di Stato, politici, che si recano a trovarli, offrono loro benefici di ogni genere a garanzia del loro silenzio. Nella società civile vi sono poi i livelli più alti di questa organizzazione che vede in se anche le massonerie deviate, con infiltrazioni nelle istituzioni, banche, ministeri, telefonia, televisione di Stato, sanità, università.
I compiti per ciascuno sono diversi ma l’obiettivo è unico, rompere gli equilibri dello Stato democratico.
La forza di questa organizzazione eversiva ma istituzionalizzata è nella sua trasversalità,in quanto abbraccia l’intero arco costituzionale, compresa la Chiesa.
Ad esempio, quando mi accorsi di cosa si verificava nel 1985/86 nel carcere di Paliano, ove era anche assistente volontaria Maria Fida Moro che con Morucci lavoravano sul famoso “Memoriale”, e frequentava quel carcere anche una certa suor Teresa Barillà, la quale faceva da portavoce tra Piccoli e i brigatisti del “caso Cirillo”, non sapendo Piccoli cosa rispondere al Giudice Carlo Alemi dal quale era indagato, (fu pubblicato un libro “La seconda trattativa di suor Teresa”), mi recai dai Magistrati e li “costrinsi” a perquisire la suora.
Fu trovato finalmente il “memoriale-Morucci”, con poche righe scritte a mano sul frontespizio:”1986- Solo per lei signor Presidente- Sono atti giudiziari, solo che qui ci sono i nomi!”
Dunque ciò che veniva sottratto alla Giustizia con menzogne nelle Aule, lo si “vendeva” sui tavoli del potere politico, evidentemente “colluso”.
Ma la verità più “ingombrante” è che su quella perquisizione, furono redatti ben due verbali diversi a firma dello stesso Capo della Digos.
In un verbale la perquisizione la si definiva “negativa”, cioè non trovarono nulla. In un altro verbale (stesso giorno, stessa ora, stessa perquisizione, stesso luogo) la perquisizione, definita positiva, rilevava il ritrovamento del memoriale Morucci, portato dalla suora a Cossiga, con tanto di nomi e cognomi dei partecipanti alla strage, nomi che Morucci nella veste di dissociato, non fece mai durante i processi! Non solo.
Il Capo della Digos, evidenziava alla Magistratura la necessità di rivedere la posizione di Morucci e Faranda, in quanto questo documento dimostrava inequivocabilmente che avevano mentito su quanto tuttavia aveva loro fatto guadagnare i privilegi della legge sui dissociati.
Fu da allora che scattò la mia indagine, e pedinai anche qualche brigatista quando gli “addetti ai lavori” che arrivavano da Roma, lo prelevavano a Paliano con la scusa che doveva essere interrogato, e poi giunti a Roma, al casello dell’autostrada lo lasciavano andare libero per c..i propri!

Moro aveva due scorte.
Si è sempre parlato di “scorta”, ma non è mai stato detto, pur essendo noto istituzionalmente, che Moro aveva due scorte: una di Stato, per intenderci quella che finì trucidata, e l’altra, composta da uomini da lui stesso scelti nella Gladio, la struttura creata da lui e Cossiga.
Per tale motivo, lo Stato tardava, nonostante le sue richieste, a cambiare le auto della scorta ufficiale che non avevano i vetri blindati, ma non se ne preoccupavano più di tanto, sapendo appunto che Moro aveva anche l’altra scorta.

Il sequestro.
Moro, in tutta la sua vita, non ha mai omesso un solo giorno di recarsi al mattino presto alla Santa Messa.
la mattina della strage, incomprensibilmente Moro non portò a Messa con sè il nipotino (come era sua abitudine), e invece delle solite tre borse, ne portò ben cinque, di cui in una vi erano delle medicine, e in un’altra degli abiti. Doveva forse partire?
Moro quella mattina, andò come sempre alla Messa delle sette, sette e trenta, con le due scorte. Poco prima che terminasse la Messa, il capo scorta di Gladio disse al Capo della scorta ufficiale di farsi un giro in via Fani e vedere se era tutto tranquillo, e poi tornare alla Chiesa di piazza Giuochi Delfici che ambedue le scorte avrebbero accompagnato Moro in Parlamento.
La scorta ufficiale quindi si avviò per questo giro di ricognizione e fu trucidata in via Fani.

Moro non era in via Fani.
Occorre poi riflettere bene sulla stridente stonatura tra la figura religiosa e cristiana di Moro, e l’assurda omissione da parte sua di un cenno di cordoglio per le vittime e le loro famiglie.
Ed è anche vero che chi lo teneva in custodia, non mi riferisco ai brigatisti, ebbe cura di sottrargli giornali e telegiornali, proprio perchè non sapesse cosa era successo in via Fani.
Egli stesso testimonia di non sapere nulla, quando in una di queste lettere scrive:” Sto facendo del tutto con i miei carcerieri e con i destinatari istituzionali delle mie missive, affinchè questa storia possa andare a buon fine senza spargimento di sangue…”.
Fa quasi sorridere una lettera di Moro, che dalla sua “prigione” dice alla moglie di ricordare a Rana di prendere due delle sue borse che aveva lasciato in macchina. Certo, quando scese per andare a Messa le lasciò in macchina.
Ma se fosse stato in via Fani quando la scorta fu trucidata, Moro non era tanto stupido da non sapere che qualora le borse non fossero andate distrutte, certamente erano sotto sequestro insieme a tutto ciò che fu teatro di quel massacro.
Dunque lui del sangue già versato, nulla sapeva, e per non saperne nulla l’unica spiegazione è che durante la strage Moro fosse da un’altra parte.
La scorta fu necessario ucciderla, ma non furono i brigatisti ai quali si incepparono perfino le mitragliette, la scorta non doveva riferire quanto vide e di cui furono testimoni circa alcune presenze sul posto, volti alla scorta ben noti.
Come mai, solo 13 anni dopo l’eccidio si scoprì che l’uomo ripreso nelle fotografie da Gherardo Nucci da un balcone che dava su via Fani, e che si trovava lì prima che arrivasse la Polizia, corrispondeva al Maggiore Guglielmi, all’epoca del rapimento Capo Nucleo Operativo della VII Divisione del SISMI?
Disse il testimone: “…un uomo brizzolato, sui cinquant’anni, in borghese, che arrivò subito sul luogo dell’eccidio dando ordini come un poliziotto…”.
Come mai il capo scorta, scese dall’auto senza la pistola in pugno?
Forse perchè aveva visto qualcuno di cui si fidava?
E chi prese le borse di Moro, che si vedono chiaramente dalle fotografia scattate dopo l’eccidio,poste ancora dietro i sedili anteriori dell’auto?
Ormai, i Brigatisti erano tutti spariti da via Fani, e i pochi fotografi dell’epoca, scattarono tranquillamente tutto ciò che oggi è documentato, ed io stessa ho la foto dove le borse di Moro si vedono con assoluta chiarezza.

La prigione di Moro.
Nel frattempo Moro con il capo dell’altra scorta, imboccò il corridoio laterale della Chiesa uscendo da una porta su via Zandonai e salì sull’auto del gladiatore. Percorsero tutta via Zandonai e si diressero in zona Palazzo Braschi, sede di tutti i Servizi Segreti. Non a caso Moro in una delle sue lettere scrisse: “Mi trovo in un domino di un unico predominio…” Tradotto, voleva dire mi trovo in una sede di potere dove sono unificati più poteri. Infatti a Palazzo Braschi c’erano il Sisde, il Sismi, il Sifar…Affari Riservati…
Da Palazzo Braschi sarà poi spostato e ospitato in una casa nobile a 50 metri da via Caetani dove fu fatto trovare morto nel bagagliaio della Renault Rossa del Brigatista Teodoro Spadaccini.
In questa “nobile prigione” ben collegata con il sotterraneo di un luogo sacro, dissacrato subito dopo l’uccisione di Moro, poteva andare anche il politico che col caso Moro divenne l’ago della bilancia col suo partito, per le scelte dei Governi.
Ora, nel 1990 vi fu una nobile testimone, tale E.N. che dichiarò quanto segue.
La distinta signora, durante la prigionia di Moro, si trovava insieme a sua sorella, ospite in pensione presso i locali della Chiesa ad angolo tra via del Teatro Marcello e via Margana, le cui mura laterali finivano con un passo carrabile che si ricongiungeva ad uno stabile in uso ai Servizi Segreti, di forte alla Scuola di Francese gemellata con l’Yperion di Parigi, ove spesso si recava Moretti A pochi metri, c’è via Caetani, dove lo Statista fu appunto trovato morto.
La signora E.N. mentre si lavava le mani nel bagno a piano terra della Chiesa, sentì da sotto il pavimento un lamento e una voce che diceva: “sono qui, liberatemi”, e riconobbe la voce di Aldo Moro. Agitata andò dal Parroco e riferì l’accaduto, ma il Parroco le intimò di tacere e di non dire nulla a nessuno.
Pochi giorni dopo la morte di Moro, quella Chiesa fu dissacrata.
Tutto questo lo verbalizzai, ma non seppi più nulla.
Controllai la Chiesa e l’intero stabile che proseguiva con il passo carrabile e il palazzetto in uso ai Servizi Segreti. Anzi, pretesi che il Magistrato mandasse sul posto la DIGOS e insieme agli Agenti fotografammo tutto, e constatammo che sul retro della Chiesa, che si affacciava sui Fori Romani, vi era un terreno sabbioso, la stessa sabbiolina che trovarono nelle scarpe di Moro, e che fu motivo di pensare che lo Statista fosse stato portato a Ostia o comunque vicino al mare.
Ma la testimonianza della signora E.N. non finì lì.
Infatti la stessa raccontò che lei e sua sorella si trovavano ospiti presso quel Parroco, in quanto erano in attesa di stipulare il rogito per l’acquisto di un appartamento sito a Roma in via Nazionale 208. Improvvisamente però, proprio il giorno prima che si seppe della morte dello Statista, il notaio avvertì la signora che non era più possibile procedere alla stipula del contratto in quanto l’appartamento l’aveva acquistato una alta carica dello Stato.
La signora che peraltro aveva già avuto il mutuo dalla Banca, tentò di esercitare il suo diritto, ma non vi riuscì e dovette riprendersi i soldi versati per il compromesso.
Qualche tempo dopo, indispettita e incuriosita, la signora si recò in via Nazionale 208, e notò che le finestre della casa che voleva comprare erano ancora chiuse e sbarrate come la prima volta che le vide. Chiese dunque al portiere chi aveva acquistato quella casa.
Il portiere le rispose che l’appartamento era di una società riconducibile all’onorevole Flaminio Piccoli, e che il giorno dopo la morte di Moro, arrivò un furgone, e furono portati in quella casa molti scatoloni imballati, presumibilmente contenenti dei documenti. Il portiere riferì che da quel giorno nessuno più andò lì e la casa rimase chiusa. A dire il vero, anche attualmente, sono passata io stessa a controllare, e quelle finestre restano sbarrate come quando le vidi a seguito della testimonianza della signora, nel 1994.
Tutto questo lo pubblicai sul mio settimanale “L’Altra Repubblica”, ma non fui più convocata da alcuno, né mai alcuno smentì ciò che scrissi e firmai, ma anzi mi richiamò la testimone, dicendomi che nel fare il suo nome agli inquirenti, io avevo rovinato la sua tranquillità. Io feci capire alla signora, che una persona che mi riferisce fatti di questa portata, non essendo io un confessore, mi obbliga di fatto a rappresentare la circostanza all’Autorità Giudiziaria. Era tuttavia molto spaventata. Non la sentii più da allora.
In ogni caso, anche in considerazione dell’elevato ceto sociale della testimone, quando venne da me, ebbi l’impressione che fosse stata mandata da un potentissimo senatore a vita, pensai ad un “pentito” di Stato, che si serviva di una portavoce.
Nel 1994, pubblicai questi fatti sul mio settimanale “L’Altra Repubblica”, e lo recapitai ancora una volta agli inquirenti, Nessuno mi chiamò, nessuna smentita ne seguì, tutto finì nel silenzio più assoluto. Come quando mi recai presso il magistrato titolare per il terrorismo, insieme ad un ex brigatista che non ebbe il coraggio di parlare al processo, ma confessò a me dove erano nascoste le bobine originali delle registrazioni di Moro durante la sua “prigionia”.
Il Magistrato mi rispose: “Lei signora Carlizzi crede che noi siamo uomini liberi,Un giorno capirà che non è sempre così”.

Berlusconi.
Persino Berlusconi ebbe una “parte” nella vicenda Moro in quanto prestò il proprio aereo privato a sua  moglie  Eleonora nell’occasione in cui costei manifestò il desiderio di conferire con Gheddafi affinchè esercitasse pressioni su Andreotti e il Governo italiano.
Ciò premesso, quando venni ascoltata dall’allora Presidente della Commissione Stragi, il sen. Libero Gualtieri, lo stesso scrisse una relazione in cui sottolineò l’importanza delle mie dichiarazioni, in particolare quelle che dimostravano l’esistenza di una etero direzione delle Brigate Rosse.

Il ruolo della SIP.
Il 5 aprile vi fu il famoso “black out”.
Un funzionario comunicò alla DIGOS che non si era riusciti ad intercettare la telefonata al MESSAGGERO con cui le BR annunciavano il comunicato n.4, perchè 5 linee telefoniche erano andate il tilt proprio nel momento in cui i brigatisti telefonavano, esattamente come nell’altro “black out” del 2 maggio.
Il dottor Domenico Spinella, Capo della DIGOS dichiarerà in Commissione “di avere costatato un atteggiamento di assoluta di assoluta non collaborazione da parte della SIP.”
E se collegassimo tutto ciò al fatto che la SIP all’epoca dipendeva dalla STET, di cui era Amministratore Delegato Michele Principe, iscritto alla Loggia P2?
E se aggiungiamo che Lorenzo Marracci dal 1977 agente del preSISDE di via Fauro, nel 1978 ricopriva l’incarico di caponucleo della SIP a Roma durante il rapimento Moro?

Come e quando è morto Moro?
In realtà come sia morto Moro, non lo sappiamo, in quanto, sebbene nei processi sia stata fatta passare come verosimile la versione secondo cui venne assassinato nel bagagliaio della celebre Renault Rossa dell’ex brigatiista Teodoro Spadaccini, tale interpretazione dei fatti non corrisponde al vero.
Infatti se andiamo a comparare sul corpo nudo dello statista i colpi da arma da fuoco, questi NON COINCIDONO con i colpi repertati sugli abiti con i quali fu rinvenuto morto.
Ne consegue, che Moro, specie per il vero luogo dove fu ucciso, e ci arriveremo più in là, subì verosimilmente un rituale, e dai colpi si rileva che la posizione era eretta in piedi o supina, poi fu vestito, e si sparò anche contro l’abito.
Se l’abito non fosse stato ,non lo sappiamo, distrutto come reperto, si potrebbe riesumare il corpo di Moro, e procedere con una tecnologia più avanzata di allora ad una reale verifica.
In ogni caso, se i reperti fotografici non sono stati eliminati, come prescrive la Legge dopo un determinato tempo, non è detto che non si possa recuperare anche questo pezzo di verità.

Il covo di via Gradoli.
Via Gradoli era già all’epoca una via nota in quanto vi abitavano agenti dei Servizi e giornalisti sotto copertura.
Intanto dobbiamo risalire al pre-SISDE in ordine alla scelta del covo di via Gradoli, l’appartamento dato in uso a Morucci e Faranda, e del quale si dimostrerà appunto che la proprietà era del pre-SISDE e di Antonio Parisi.
L’amministratore di quel palazzo era Domenico Catracchia, socio dal 1973 della Immobiliare Gradoli Spa. Catracchia, quando il covo di via Gradoli fu scoperto a causa della famosa perdita d’acqua, si mise in contatto con tale Gianfranco Bonoli,(prestanome della vera proprietà?) il quale era consocio di Catracchia, nella Immobiliare Gradoli.
Ma Bonori è la stessa persona che troveremo insieme a Maurizio Broccoletti in un atto della GATTEL Srl, la società con sede in via Baglivi 11, dove facevano capo sia il SISDE che la Banda della Magliana.
Ci sarebbe ora da chiedersi, chi disse loro di non intervenire, nel covo di via Gradoli? E perchè non furono mai interrogati? Di questa mia ricerca esistono naturalmente i documenti reperiti al catasto e dal libro delle Assemblee della srl GATTEL.
Infine, se vogliamo decriptare la parola GRADOLI, non è difficile per gli esperti, convenire che il riferimento era al più alto grado massonico, appunti GRADO LI .