CAMPIONI DI INFANTICIDIO

DI FULVIO GRIMALDI
Mondocane

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E il Signore Jahvé disse a Giosué di distruggere totalmente tutto ciò che si trovava nella città, uomini e donne, giovani e anziani, e i buoi, le pecore, gli asini, passati al filo della tua spada (Bibbia)
Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi resterà da fare e darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una bottiglia (Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, “New York Times”, 14/4/1983).
Sul crimine che lo Stato psicopatico, sostenuto da una società nazificata (85% a favore dello sterminio di Gaza), sta effettuando le notizie, almeno in rete, si susseguono incalzanti e esaurienti. Abbiamo visto e denunciato ancora una volta che Israele "dove coje, coje", basta che siano arabi e ogni superamento delle atrocità nazifasciste, o del Ku Klux Klan, è giustificato.
Ma manca spesso la visione geopolitica e, quasi sempre, una precisa e complessiva individuazione dei criminali, della loro storia e dei loro sodali, camerati, opportunisti, utili idioti, cerchiobottisti e muti.

 







Un amico e compagno, prestigioso accademico, mi ha rimproverato:”Non si possono trattare allo stesso modo i vicini e i lontani, Rifondazione e la Lega, Berlusconi e Bertinotti, Curzi e Vespa…” Non so se ha ragione quando mi critica per “sparare a zero su tutti”. Dico che non ci posso fare niente perché le cose stanno a mio avviso così: non c’è quasi nessuno nell’empireo di cui questo amico cita alcuni protagonisti che non faccia letteralmente schifo e che io possa considerare a me “vicino”. Anzi, coloro che sarebbero i “lontani”, non ci sono proprio. Cioè non si discutono. Lo facciano altri. Li trascuro nelle mie intemperanze perché sono scontati. Sappiamo tutti che sono l’arcinemico di classe. Lo manifestano e confermano con ogni cinguettio o grugnito e in ogni tratto della faccia e del corpo. Sparare su Berlusconi, la Lega o Vespa è come sparare sui serpenti a sonagli. Perché devo aggiungere le mie alla grandine di pallottole? A ognuno il suo target. Quanto ai “vicini”, beh, non riesco a vedere un Bertinotti, un Curzi, una Rifondazione bertinot-vendoliana se non alla lontananza che separa le scene di Gaza dall’Isola dei famosi. Crede, il mio stimatissimo amico, che alla classe in cui noi ci identifichiamo faccia più male il serpente a sonagli che a distanza identifichi e di cui conosci il veleno, o la mantide religiosa che ti seduce e poi ti divora? In altre parole, la classe sa chi sono i nemici mortali, ma spesso, oggi perlopiù, non sa chi sono coloro che al nemico evidente spianano la strada, mentre a lei lisciano il pelo.
Faccio un esempio. Tale Gennaro Carotenuto, docente e giornalista di sinistra, frequente presenza sulla rivista “Latinoamerica” di Gianni Minà, dopo aver criminalizzato le FARC colombiane secondo i più efficaci stereotipi di Condoleezza Rice, si avventura in Medioriente e, sotto il titolo urlato “GAZA!”, dopo aver acconsentito a criticare “l’impresentabile espansionismo colonialista” di Israele e definito il sicario giornalistico di Israele alla Rai, Claudio Pagliara, “guitto del giornalismo”, così accreditandosi a sinistra, impegna metà della sua estrinsecazione a tirare melma addosso a Hamas, “trogloditi razzisti e sessisti”, ai quali le forze di quello che dovrebbe essere “il cuore del Medioriente” (Israele, nientemeno) hanno proprio dovuto “reagire”. Reagire al “lancio pesante e forse intollerabile” di Hamas! Razzi di latta e di cartone che non ti fanno niente se proprio non ti prendono sul cranio. Fustigati i compagni che rispettano l’intervento sociale di Hamas, unica salvaguardia di quel che resta di vita nella Striscia, con l’accusa che essi “scambiano le organizzazioni clientelar-caritatevoli di Hamas come progressiste” (qualche dissenso con la sintassi), questa sofisticata penna invita a “sforzarsi di capire le ragioni di Israele, dell’ebreo di Masada". Lo sconcio si conclude addebitando a Hamas “i peggiori umori dei palestinesi” e, a conferma dell’approfondita conoscenza della tematica, chiama col nome delle forze d’offesa israeliane, Tsahal, i combattenti di Hamas Ezzedin Al Kassam E’ peggio Pagliara o Carotenuto, il pornografo che si esibisce nella sua oscena nudità, o il cialtrone mascherato che ti cogliona? Sono peggio i Tg, Paolo Mieli, “la Repubblica”, “Libero”, che, leccandosi i baffi, cianciano di “autodifesa di Israele”, o “l’Unità” che si barcamena, con il suo lobbista ebraico Giovannangeli, tra estremisti israeliani e “estremisti“ palestinesi? E’ peggio Pagliara, o quel rettile di Zvi Schuldiner del “manifesto”, funambolo in equilibrio tra “criminali di Hamas” e “criminali del governo israeliano”? E’ peggio il serial killer Olmert, o l’osceno quisling Abu Mazen, che finge di essere capo del popolo palestinese occupato, predato e sterminato, e concorda con i carnefici sionisti l’assalto genocida a metà di quel suo popolo, attribuendo della macelleria la colpa a coloro che hanno reagito, loro sì, con quattro bombe carta a un killeraggio di massa, prima economico e poi militare? Si viene uccisi solo dai missili di mentecatti sadici israeliani, o anche dalla negazione di farmaci, pane, acqua, energia per le macchine salvavita, vie di fuga? Che differenza c’è tra un missile bunkerbuster fornito dagli Usa e nel cui cratere scompare un palazzo con dieci bambini e il blocco che fa morire in sei mesi 250 persone cui è stata negato di curarsi all’estero? Chi è che ha cominciato? Oggi e nel 1948? 52 palestinesi assassinati durante 18 mesi di tregua senza un Kassam. 400 uccisi in quattro giorni di massacri ad alta tecnologia contro tre vittime dei razzi di Hamas, rapporto di uno a cento, uno dell’occupante razzista, ladro e assassino, cento di chi ha tutte le ragioni più una. Il nemico che non conosci è il più pericoloso. Una volta il mal nominato Migliore, famiglio di Bertinotti, urlò paonazzo in assemblea di partito: “Intifada fino alla vittoria non sarà mai uno slogan accettabile per Rifondazione!”. Più nemico dei palestinesi di così. E dunque anche nemico nostro.
Prima di andare avanti, sbarazziamoci una volta per tutte della patacca “antisemita”, riflesso condizionato dell’universo vittimista ebraico e annessi corifeim, ma più strumentale del Lodo Alfano "che garantisce la governabilità". Di antisemita qui c’è soltanto il secolare olocausto degli arabi, unici semiti di questo pianeta insieme alla minoranza araba convertitasi all’ebraismo (sefarditi). Gli stragisti e usurpatori ashkenazi sono in grandissima maggioranza indoeuropei, discendenti di quei Kazari del Caucaso che si convertirono e poi inondarono l’Occidente (vedi "Kazari" in Google). Di questa vera e propria arma di distrazione-distruzione di massa che è l’anatema “antisemita”va tagliata la mano che la brandisce. Semmai ai fruitori dell’ ”Industria dell’olocausto” (così intitola il suo libro Norman Finkelstein, figlio di vittime dei Lager precedenti) e ai terminator dell’antisemitismo va spiegato come, se il popolo ebreo fosse anche semita, nessuno abbia inferto alla sua storia di elevazione politica, culturale e scientifica, e all’etica del suo abusivo Stato, ferite insanabili come coloro che impazzano nel sangue altrui dietro lo schermo dell’ ”antisemitismo”.
Era il 10 giugno del 1967 e per "Paese Sera" stavo raccontando la Guerra dei sei giorni e il suo seguito. Erano quasi vent’anni da quando poche migliaia di ebrei immigrati, attuando il piano secolare di Hertzl, dei Rothschild e dello Judenrat (l’organismo ebreo complice dei nazisti nelle deportazioni), si erano fatti regalare da un’ONU, docile mandatario delle potenze imperialiste fin da allora, il 72% della Palestina. Per la bisogna, gli emuli dei loro persecutori avevano inventato una nuova forma di guerra contro oppressi ed esclusi: il terrorismo. Ne fecero le spese 800mila palestinesi espulsi su un milione – e da allora agonizzanti, ma resistenti – e diverse centinaia di villaggi rasi al suolo, spesso con dentro gli abitanti. Ma anche i negoziatori dell’ONU, i diplomatici internazionali negli alberghi, i rappresentanti della tragedia e lotta palestinese all’estero, i giornalisti troppo occhiuti. Olocausto se mai ce ne fu uno, anche se così si chiamano solo quelli dei vincitori. La buona riuscita dell’impresa guadagnò da allora ai razzismi, ai fascismi e ai regimi oligarchici, sudafricani e latinoamericani in testa, e a tutte le destre del mondo, l’ottima carta dell’intelligence, delle forze di repressione, dei maestri di tortura israeliani. Non per nulla Fini e Bush hanno un bungalow nel giardino della camicia bruna Tzipi Livni.
Accompagnati i carri armati di Tsahal nella devastazione dei territori rapinati, al termine del conflitto fui imbarcato con un gruppo di giornalisti in una perlustrazione delle zone “liberate giacché assegnate da Jahvé in perpueto al popolo eletto”. Scorremmo lungo scritte su tutti i muri che definivano gli arabi “cani, scimmie, scarafaggi”. Ai lati della strada verso Gaza stracci di uniformi percuotevano i cadaveri in decomposizione di soldati egiziani. “Non li restituite al loro paese, o non li seppellite, come vorrebbe il diritto di guerra?” chiesi al capitano di Tsahal che guidava la spedizione: Rispose con il lemma che mi era stato sbavato addosso da mille bocche israeliane: “No, vogliamo che li vedano tutti: l’unico arabo buono è l’arabo morto”. Così, più o meno, sta scritto negli abbecedari delle scuole israeliane. A Rafah, in fondo alla Striscia, l’ufficiale dell’ ”esercito più etico del mondo” e in procinto di rimpinguarsi di armi nucleari, convocò nell’aula consigliare i vecchi governanti locali. Tra l’ilare compiacimento dei nostri accompagnatori, sbattè questi austeri e dignitosi sconfitti contro una parete, sprofondò nella poltrona del sindaco, schiaffò i piedi sul tavolo e abbaiò:”Dite, bastardi, ai signori della stampa internazionale chi è meglio, l’Egitto (c’era Nasser) o Israele, noi o i lustrascarpe arabi” Azzardai l’invito agli anziani in jallabiah a non rispondere. E non risposero. Ma tra me e il capitano finì in rissa e il giorno dopo fui espulso dall’ “unico Stato democratico del Medio Oriente”. Non meno di quanto accadde giorni fa a Richard Falk, relatore ONU per i diritti umani. A dispetto del burattino suo principale, Ban Ki Moon, si era permesso di definire la “democrazia” israeliana a Gaza un genocidio, il blocco che, affamandoli, doveva ammorbidire i palestinesi in vista della carneficina, un "crimine contro l’umanità", le operazioni in corso “atrocità disumane”, e aveva sollecitato o sanzioni, o l’espulsione dello Stato ebraico dalle Nazioni Unite. Roba che qualunque processo di Norimberga avrebbe sancito con più facilità di quella occorsa per la condanna di Goering, Keitl, o Hess. Gente le cui prodezze, quanto meno, sono durate un sesto del tempo in cui Israele infierisce sulle sue vittime. Alcuni lustri più tardi, quando Israele mi aveva finalmente riammesso nell’”Unica democrazia mediorientale”, a Gaza vaste terre ho visto desertificate perché la gente non avesse olive o farina, di centinaia di case ho calpestato la polvere, abbattute a Rafah e Khan Yunis perché la gente non avesse rifugi, il 60% della popolazione attiva era senza lavoro, la metà viveva sotto il livello di povertà, a pescatori palestinesi si sparava perché non ci fosse neanche pesce sulle tavole di Gaza, i dirigenti della comunità, o democraticamente eletti, o capi della legittima Resistenza venivano disintegrati da missili insieme alle famiglie e ai vicini. E mentre guardavamo queste cose, ci sparavano addosso gas tossico e pallottole di acciaio gommato. Non è che Gaza sia successa adesso.
Appaiono sui muri qui da noi manifesti di “solidarietà” che invocano “due Stati per due popoli”. Una formula razzista che ormai accontenta solo gli israeliani terrorizzati dalla forza morale e demografica dei palestinesi e la corrotta feccia di traditori di Ramallah, entrambe consorterie che affidano il loro dominio e le loro ruberie a uno “Stato” palestinese di scimmie addomesticate, rinchiuse in recinti sparpagliati sul 12% di un paese che dagli inizi della storia è palestinese. E arabo.
Il cerchiobottismo dei sinistri nel mondo, quelli che dovremmo sentire “vicini”, pavimenta la strada per l’inferno in cui il “popolo eletto” e i suoi sponsor Usa e UE hanno ridotto Gaza e, prima e sempre, l’intera Palestina. Sono quelli che denunciano compunti e addolorati gli “estremisti di entrambe le parti”. Estremista la volpe sbranata che addenta nell’ultimo spasmo un polpaccio del segugio. E estremista la muta di venti cavalieri e cento cani che dalla volpe “è provocata”. Ci mette il bitume anche tutta quella gente che verbalmente vola al cordoglio per lo strangolamento e poi per la liquidazione dei palestinesi, invoca tregue e moderazione da tutti, ma non evoca il parto mostruoso di uno Stato predatore, costruito su basi antigiuridiche, antidemocratiche, militariste ed etnico-confessionale e che, anziché accontentarsi del mal tolto e riconosciuto, punta a escludere dalla comunità umana, perlopiù a prezzo della vita, i disperati ma non rassegnati residui della più colossale pulizia etnica della storia. Fanno l’effetto di uno sputo al vento le recriminazioni dei dirittiumanisti per le “punizioni collettive” con cui lo stato nazisionista defeca sulle convenzioni internazionali a protezione dei civili. Sarebbero accettabili se fossero “individuali”? E punizioni di che? Del delitto per cui un popolo attua la Carta dell’Onu che sancisce “la lotta con tutti i mezzi contro un’occupazione straniera”? I mortaretti lanciati da Hamas contro i coloni che hanno eretto le loro confortevoli case sulle macerie dei villaggi palestinesi sono legittimi. Ogni azione di resistenza contro l’occupante è legittima. E se sono rivendicate da Israele le stragi di bambini da zero anni in su, delle donne, insomma dei palestinesi armati o non, ma tutti sotto occupazione, a maggior diritto devono essere rivendicate le operazioni dei combattenti suicidi che colpiscono occupanti militarizzati.
Per quanto ci occupiamo dei palestinesi, ci dimentichiamo del contesto arabo di cui i palestinesi, insieme agli iracheni, sono i primi attori. In Iraq i signori della guerra per la riconquista coloniale hanno frantumato una nazione promuovendo, col terrore indotto e manipolato, spaventose lotte intestine. In Libano lavorano da anni al sabotaggio dell’unità di popolo contro aggressori e caste di proconsoli imperiali, sostenendo, armando, foraggiando contrapposizioni confessionali. In Sudan la creazione di fratture etnico-confessionali e poi socioeconomiche ha demolito l’unità del paese con la quasi secessione del Sud e il separatismo armato dall’Occidente nel Darfur. In Palestina, concentrando i suoi attacchi prima su Arafat, Fatah, l’Autorità Nazionale e poi, cooptata quest’ultima nel disegno genocida ed espansionista, Israele, confortato da un’opinione pubblica sotto ricatto da Shoah, sotto minaccia di sacrilegio antisemita e sotto alterazione tossica da 11 settembre e “terrorismo islamico", la divisone l’ha fatta tra “buoni” e “cattivi”. Fuori crittografia, tra farabutti venduti e popolo resistente (dopo quasi una settimana di orrori israeliani, a Gaza e in Cisgiordania, Hamas ha un consenso e una militanza come mai prima: segno anche dell’ottusità di chi, qui o in Iraq, pensa che a forza di sofferenze e compravendite si raccatta qualcosa di più di una screditata partita di zerbini). E’ la strategia elaborata da Israele nei primi anni ’80 e poi pianificata sotto le ultime amministrazioni Usa: il Nuovo Medio Oriente con il perno israelo-iraniano a sovrastare una nazione araba triturata in segmenti confessionali e tribali. Una strategia che cammina sui cingoli dei carri armati e sulle ali nere della diffamazione e dell’inganno. E’ a quest’ultima che la sinistra si è inchinata come un sol monaco tibetano, eliminando dalla marcia razzista e imperialista l’ostacolo di una consapevole e militante solidarietà politica e militare. Quanto terreno ha tolto sotto ai piedi dei resistenti di Gaza la succube e stolta sussunzione del paradigma del “terrorismo islamico”, del Saddam “mostro sanguinario”, dei regimi arabi “moderati”, dell’Abu Mazen ragionevole interlocutore, dei mascalzoni Oz, Jehoshua, Grossman, grandi vindici di assalti al Libano e a Gaza, ospitati con reverente stima per il loro “pacifismo” sul "manifesto", dallo scendiletto Fabio Fazio, ovunque. Quante bombe di F-16 hanno agevolato, vuoi la sciagurata Fiera del libro di Torino dedicata allo Stato genocida e difesa dal “manifesto” e da Bertinotti come voltairiana libertà d’espressione, vuoi i muri dell’Apartheid interpretati come autodifesa, la guerra ai palestinesi fatta passare per guerra a Hamas o i partigiani iracheni calunniati come fanatici tagliagole di Al Qaida, l’Islam visto solo sotto la specie giulianasgreniana del velo e delle lapidazioni? Quante volte, ripetendo il karma delle posizioni della “comunità internazionale”, si sono legittimate le peggiori nefandezze dei potenti e degli assassini? Altrettanti colpi di ruspa sullo scudo di verità che la mobilitazione dei giusti nel mondo avrebbe dovuto sollevare a difesa di Gaza.
E poi ci sono coloro che ancora guardano all’Iran come al baluardo antimperialista e antisionista nel Medio Oriente. Per non aver accettato questa definizione, qualcuno mi ha rimproverato la mancanza di una visione di classe. Ma come, qui c’è un’oligarchia feudalcapitalista, davvero oscurantista e repressiva, senza neanche il merito della resistenza a un invasore, cui Israele ha fornito le armi per disfare il vero nodo dell’opposizione antimperialista, l’Iraq, i cui pagamenti hanno permesso agli Usa di scatenare i contras contro il Nicaragua, che partecipa con gli Usa allo squartamento dell’Iraq e alla pulizia etnica della metà sunnita, che sostiene il regime-fantoccio in Afghanistan e, in combutta con gli Usa, chiude a ovest il cerchio imperialista contro il Pakistan che l’India serra a est. E a sinistra ci si precipita sereni nella trappola di questo totale rovesciamento dei dati sociali e geopolitici, al punto da chiudere gli occhi su un sodalizio Iran-Usa, teso ad rifilare alle masse arabe, nauseate da Al Maliki, Mubarak, Abu Mazen, il socio persiano quale vero e unico protagonista del riscatto arabo e islamico. Dice, ma Hamas e Hezbollah sono sostenuti da Tehran. Già, come lo sono i criminali del regime e delle milizie scite irachene. Forse toccherebbe essere un po’ meno schematici e, soprattutto meno succubi della retorica dei balconi di Tehran. L’Iran, che con il consenso di Usa e Israele a un suo limitato ruolo regionale, deve tenere a bada il bau-bau più grande, il risorgere dell’elemento più temuto dallo stesso Iran e dall’imperialismo, l’unità araba dall’Atlantico al Golfo, gioca con grande abilità su più tavoli di quelli che il nostro schematismo possa figurarsi. Fa parte della gara sui rapporti di forza all’interno di un disegno condiviso, che si giochi contro a destra e a favore a sinistra. Non so valutare l’integrità politica dei massimi dirigenti delle organizzazioni di resistenza in Libano e in Palestina, ma penso che siano più espressione diretta dei loro popoli che non degli ayatollah. Conosco per esperienza diretta negli anni l’integrità assoluta di quelle masse popolari e di quei combattenti e credo che ci vorrà altro che degli Abu Mazen in turbante per distoglierli dal loro obiettivo.
In tutto il mondo arabo, dalla Baghdad martoriata al Cairo sotto il satrapo caro a Cia e Mossad, nelle capitali del mondo insanguinate da un terrorismo detto islamico, ma che sempre più si percepisce come opera degli stessi che trucidano a Gaza, nelle piazze non più controllabili di emiri, sceicchi, fantocci, nelle carceri degli 11mila patrioti sequestrati di Palestina, con manifestazioni, scioperi della fame e, dove occorre, giusta violenza di massa, si sta con i palestinesi, si traccia sulla faccia del mondo l’orribile profilo dei criminali di guerra, di dominio e di sfruttamento. Non sarà l’ultimo spallata a regimi di pochi delinquenti in putrefazione storica. Ma è una delle onde d’urto che eroi e martiri di Palestina e della nazione araba continueranno a innescare. E che li seppellirà. Non facciamoci cogliere in difetto di lucidità e partecipazione.
Ciò su cui mi pare ci si debba impegnare è combattere e svergognare tutti gli equilibrismi dei finti imparziali che riempiono di carburante i tank, gli F-16, gli Apache e coprono la feroce protervia di governanti che si battono per il voto di un popolo mitridatizzato contro la giustizia e i diritti umani da anni di indottrinamento razzista e fascista, facendo le regate su questo mare di corpi maciullati, terre devastate e rubate, focolari polverizzati, futuro annichilito. Dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale per rispondere al ricatto antisemita e olocaustiano con la richiesta della liquidazione delle istituzioni di questo Stato ebraico fondato sull’unicità ed esclusività etnico-confessionale peggio del Terzo Reich arianeggiante, con il rifiuto della radiazione dei diritti nazionali palestinesi sotto la formula dei due Stati per due popoli, con l’unica rivendicazione realistica e giusta, quella dello Stato Unico Democratico per entrambe le nazionalità. Dobbiamo respingere le intimidazioni dell’apparato sionista offrendo ogni solidarietà a tutti quei “terroristi” che, a partire dalla Palestina e dall’Iraq, resistono alle armate barbare e insorgono contro i regimi di turpi lacchè dei despoti occidentali. Dobbiamo alzare la testa e affermare che qualsiasi operazione di Hamas e delle altre organizzazioni palestinesi è, questa sì, la legittima reazione al furto della loro terra, agli eccidi di sessant’anni, agli embarghi genocidi, alle punizioni collettive, agli assassinii extragiudiziali, al sequestro e alla tortura di decine di migliaia di cittadini, comunque innocenti, alla spaventosa dimensione delle angherie e delle prevaricazioni, all’infanticidio strategico. Dobbiamo contribuire alla cacciata e all’incriminazione di neofiti del nazismo come la kapò Tzipi Livni, il macellaio Barak, lo squadrista Netaniahu, il boia Olmert, il rancido criminale di guerra Peres. Blateriamo ottuse falsità su un Saddam che non si sarebbe sognato di perpetrare efferatezze come quelle dei sunnominati e ogni menzogna sui nemici dell’imperialismo è un bancomat per la riscossione di vite, risorse e terre da parte delle giunte militari USraeliane. Israele, che decide degli Stati Uniti e, dunque, di tutti noi, è uno Stato gangster, è il paese più pericoloso del mondo. Ha 400 bombe atomiche e provocherà la fine del mondo se non lo fermiamo. Nel nome anche dei pochi coraggiosi ebrei che, tra le sue zanne, cercano lo strumento per l’estrazione: Ilan Pappe, Jeff Halper, Uri Avnery, "Ebrei contro l’occupazione", per citarne solo alcuni. Israele fuori dall’ONU, Israele boicottato in tutte le sue attività politiche, economiche, culturali. Ne va dei palestinesi, degli arabi, delle classi e dei popoli oppressi sui quali si abbattono i frutti del laboratorio sionista, e di molto di più.
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
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