di Paolo Maccioni – Megachip
Alcune domande sulle cose lette negli ultimi giorni a proposito dell’attacco di Israele nella Striscia di Gaza.
L’analogia scomodata dal signor Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma intervistato su Epolis il 30 dicembre 2008, mette a dura prova l’ostinazione di chi – come me – vuole credere a tutti i costi alla buona fede altrui.
Come si può credere che calzi l’analogia: «è come se Firenze o Bologna si trovassero costantemente sotto il lancio di razzi da parte di un paese, non so, come l’Austria, e si chiedesse al governo italiano di non fare nulla»? Davvero si pensa che quest’analogia possa funzionare? Che chi legge possa bersela supinamente? L’Austria, che evoca boschi, montagne innevate, castelli e carrozze, Sachertorte e sale da concerto stuccate dove si suonano concerti mozartiani. Che c’entra dunque l’Austria? L’Austria è forse assediata su tre lati dall’Italia? Forse l’Austria subisce da parte dell’Italia l’imposizione del blocco all’accesso di cibo, carburante, forniture mediche? Forse l’Italia controlla lo spazio aereo, tutta l’acqua, tutta l’elettricità e le altre risorse austriache? Forse anziché i concerti mozartiani si sentono i caccia italiani che superano il muro del suono sopra le misere baracche di Vienna e Salisburgo?
Si potevano scomodare esempi storici più aderenti alla realtà della Striscia di Gaza. Troia assediata dagli Achei, Lisbona assediata dai Mori, il Kuwait invaso dall’esercito iracheno, Grozny occupata dai carri armati russi, o ancora, come dice bene il parlamentare greco Theodoros Pangalos: «Le azioni come quelle che attualmente esercitano i militari di Israele a Gaza, ricordano gli olocausti dei greci a Kalavrita, Doxato, Distomo e certamente nel ghetto di Varsavia.» Analogie forse fallaci, forse non appropriatissime, ma che diventano improvvisamente adeguate se paragonate a quella infelice e fuorviante dell’Austria che gratuitamente lancerebbe razzi sulle città italiane.
Altrettanto indigeribile è l’ostinato ritornello che alcuni alti esponenti e funzionari di paesi occidentali, fra cui il nostro ministro Frattini, ripetono: la colpa è di Hamas. Come si può sostenere una cosa del genere, quando si sa che questo piano d’attacco era stato meditato e preparato da sei mesi?
Un paese occupante, un paese occupato. La quarta potenza bellica del mondo contro un ghetto di un milione e mezzo di persone alla fame, allo stremo. Un Paese che contravviene all’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra contro un paese che subisce il coinvolgimento della popolazione civile nelle operazioni militari. Eppure si chiede che a fermarsi sia l’assediato, non l’assediante. Accadrà: se l’esercito israeliano non si ferma fino alla soluzione finale.
«Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi resterà da fare è darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una bottiglia» (Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, “New York Times”, 14/04/1983).
Se continua il fuoco dei Qassam su Israele «i Palestinesi andranno incontro ad un olocausto più grande perché useremo tutta la nostra potenza per difenderci» (Matan Vilnai, vice ministro della Difesa di Israele, “Reuters” 29/02/2008)
Allora sì, accadrà: a Gaza riusciranno finalmente ad accontentare coloro che chiedono ad Hamas di fare il primo passo.
Dato che la propaganda ha scomodato parallelismi fuorvianti, sarà permesso azzardarne un altro, meno infelice di quello “austriaco”.
I militari argentini dell’ultima dittatura potevano ben dire – come oggi fanno i vertici militari e politici di Israele – di difendere la Patria. E secondo il metro dei nostri soloni che oggi imperversano nei notiziari e quotidiani, i militari argentini ne avevano ben d’onde: d’altronde Montoneros ed ERP mettevano a segno attentati più distruttivi di quelli causati dai razzi Qassam, cilindri di latta con dentro polvere da sparo che qualcuno arditamente definisce “missili”. Pure i militari argentini “per estirpare il terrorismo” si scatenarono contro la popolazione civile. Detenevano il potere, non solo quello militare, ma pure quello di poter etichettare gli avversari come “terroristi” e pertanto screditare chi non fosse d’accordo con loro: “chi si oppone a noi flirta con i terroristi”, identica accusa che oggi viene mossa contro chi osi sollevare obiezioni all’operato di Israele.
Tuttavia, trent’anni dopo, sia in sede storica che in sede giudiziaria, l’operato dei militari argentini verrà definito come "genocidio". E complici sono definiti coloro che allora li appoggiarono, o guardarono dall’altra parte.
Non basterà la mastodontica macchina di propaganda bellica apparecchiata dal ministro Tzipi Livni che ha perorato pubblicamente la causa del giornalismo embedded. La gittata di questo tipo di propaganda per quanto lunga si esaurirà nell’ambito della cronaca. La Storia non la scriveranno coloro che oggi fanno finta di non capire e cadono di buon grado nello stesso vecchio tranello retorico del generale Videla, che fu già del gerarca nazista Hermann Goering e in seguito del procuratore generale Usa John Ashcroft e oggi dei vertici israeliani e dei loro proseliti.
La Storia se ne ride delle menzogne dei contemporanei da ben 2500 anni, quando il maestro Sun Tzu in L’arte della guerra scriveva “tutte le guerre si fondano sulle menzogne”.
Anche questa.
La Storia considererà tutti coloro che non vogliono vedere, per bene che possa loro andare, complici. I conduttori radiofonici e gli editorialisti arruolati all’unico pensiero “Delenda Gaza”. Non una parola spendono costoro sulle sofferenze del popolo palestinese.
Io non voglio essere complice di questa carneficina, di questa punizione collettiva.