di
Fulvio Grimaldi
La Grande Bugia è una bugia così enorme da far credere alla gente che nessuno potrebbe avere
l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame.
(Adolf Hitler, “Mein Kampf”)
Qualcuno ha messo in dubbio l’autenticità delle citazioni del Talmud che avevo qui riportato. Le sostituisco con alcune dichiarazioni di ebrei israeliani contemporanei e forse ancora più autorevoli, a dimostrazione di quanto scrupolosamente siano applicate quelle "false" norme del Talmud:
Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea della sua popolazione araba:
(David Ben Gurion, maggio 1948, discorso allo Stato Maggiore. Da "Ben Gurion a Biography", di Michael Ben Zohar, Delacorte, New York)
I palestinesi sono bestie con due zampe
(Iitzahk Shamir, premier, discorso ai coloni ebraici, New York, 1. aprile 1988).
Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un solo centimetro di Eretz Israel… Capiscono solo la forza. Noi useremo una forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi.
(Rafael Eitan, capo di Stato Maggiore, in Yedioth Ahronot, 13 aprile 1983)
1500 uccisi in 22 giorni (di cui solo 95 combattenti), con altri da recuperare da sotto le macerie, oltre 400 bambini, 5.600 feriti, di cui gran parte morituri per ferite incurabili, 1 milione mezzo contaminati dalle bombe all’uranio, 22mila case demolite, 220mila persone senza tetto, tutte le infrastrutture per la vita distrutte. Questi i numeri dell’eroico, moralissimo, quarto esercito del mondo nella sua guerra contro un popolo inerme, affamato, minato nel corpo e nello spirito, privato di tutto da mesi, che lancia razzi di latta e fa qualche buco nella sabbia o nei muri. E lo fa DOPO che l’aggressore di sempre aveva bloccato la vita di tutta una popolazione per 18 mesi e infranto la tregua il 4 novembre uccidendo sei palestinesi a Gaza. Questi i numeri da sempre di noialtri civilizzati che, dal “nuovo mondo” da rapinare e ripulire di gente indigena, al Congo dei 20 milioni trucidati da Leopoldo I, dal Vietnam napalmizzato all’Iraq uranizzato, sappiamo tecnologicamente uccidere a distanze irraggiungibili da nemici con frecce e kalashnikov. Così i mitici combattenti di Tsahal hanno potuto radere al suolo l’intera Gaza, senza rischiare di arrivare a tiro dei moschetti palestinesi. E tuttavia hanno perso e sono dovuti andar via senza aver raggiunto lo scopo dichiarato: eliminare la Resistenza, fargli rivoltare contro il popolo. Così i prodi occupanti della Cisgiordania sanno fucilare ragazzini, prima che gli arrivi il loro sasso. Per tentare di schiacciare questo popolo in una tenaglia di morte e sottommissione, la quarta potenza militare del mondo ha lanciato da aria, terra e mare un ininterrotto tsunami di morte a base di armi proibite.
Quello che i Mengele israeliani combinano con queste armi l’avevo visto con i miei occhi nel laboratorio Libano, estate 2006, insieme al Dr. Ibrahim Faraj dell’ospedale di Tiro, rimasto nel suo ospedale mentre gli psicopatici di Tel Aviv lo tempestavano di ordini di andarsene e polverizzavano i dintorni (vedi il mio Gaza, Baghdad, Beirut: delitto e castigo, Malatempora ed.). Ragazzi in fiamme inestinguibili da fosforo bianco, interni di persone maciullati da DIME(Dense Intensity Metal Explosive), gambe stroncate da bombe a grappolo, necrosi inarrestabili da armi chimiche. E il Dr. Ibrahim amputava, amputava, fino a che non c’era più nulla da amputare. La guerra era persa, i sadici vigliacchi erano stato respinti nel loro Stato razzista, teocratico, monoetnico, ma la tecnologia Usa fornita all’avamposto imperialista in Medio Oriente aveva vinto la sua scommessa. Si poteva procedere con Gaza.
Su questo sfondo va vista l’esibizione di Lucia Annunziata nella trasmissione “Anno Zero” dell’8 gennaio 2009, quando si lanciò contro i corpi frantumati dall’infanticidio di Gaza, mostrati da Michele Santoro, urlando improperi sull’impostazione “filopalestinese” dell’unico giornalista che aveva osato far vedere ciò che l’intera ciurma del giornalismo italiano aveva occultato. Già era successo con Santoro ai tempi dell’aggressione alla Jugoslavia, quando un premier italiano, criminale di guerra e violatore della Costituzione, si precipitò a frantumare Belgrado e, addirittura, il Kosovo “da salvare” da una fittizia “pulizia etnica” del fittizio “dittatore” Milosevic. Una trasmissione dal Ponte Branco della capitale serba che lacerò i pudichi veli con i quali i corifei dell’ ”intervento umanitario” avevano coperto i massacri. Anche lì ci si accanì contro i bambini: non solo bombe a grappolo che sembrano balocchi o biscotti, ma, come mostrarono i miei documentari girati in quei giorni (Il popolo invisibile, Serbi da morire, Popoli di troppo), bombe intelligentemente mirate a bloccare il funzionamento delle incubatrici negli ospedali, bombe su scuole e asili. Togliere di mezzo l’infanzia è lo strumento per eliminare popoli di troppo.
Lucia Annunziata la conosco bene. Sul finire degli anni ’90 ci capitò tra capo e collo come direttore del TG3. Si mormorava che la sua marcia trionfale dal “manifesto” alla "Repubblica" e al "Corriere della Sera", per progressivi spostamenti di degrado professionale, fosse su vetture Fiat con alla guida lo sbruffone Nato con i baffetti. Arrivò con la testa cinta di allori sionisti per aver battuto i marciapiedi di tutto il Medio Oriente drappeggiata nel vessillo con la stella di Davide. Da noi durò poco. I suoi epiteti volgari all’indirizzo di colleghi convinti di far parte di una categoria degna di rispetto, le sue astruserie redazionali, la sua abissale incompetenza, i suoi bollori ormonali, le dovevano fisiologicamente aprire la strada verso qualche vertice nella mafirepubblica delle mafibanane, nella fattispecie la presidenza Rai, ma non la salvarono da una sollevazione senza precedenti di tutto il corpo redazionale, conscio di quel minimo di dignità che la testata conservava rispetto alle altre. Ne conservo un ricordo che ne anticipa qualità poi impostesi all’ammirazione di tutto il cucuzzaro nazionale filoisraeliano quando, in “Anno Zero”, si acquisì meriti imperituri presso la SpA Genocidi e Infantici. Fu, credo, nel 1996, cinque anni dopo la prima Guerra del Golfo e sei anni da quando l’Occidente cristiano, civile, democratico, aveva fatto strame dei diritti umani imponendo al popolo iracheno la punizione collettiva dell’uranio, prima, e dell’embargo poi. Le proposi di andare a vedere cosa stava succedendo in quel paese. Alla mercè del “mostro sanguinario Saddam” per Lucia c’erano solo i curdi di cui si diceva che erano stati gassati dal dittatore (poi risultò che furono le truppe iraniane). Ma c’era anche un popolo che resisteva all’embargo più feroce mai attuato prima di Gaza, una mortalità infantile decuplicata, in gran parte per merito dell’uranio sganciato dagli Usa, c’erano i neonati deformi, c’era una popolazione affidata alla scomparsa per fame, malattie, acqua tutta inquinata per distruzione degli impianti, contaminazioni, isolamento dall’universo mondo. Sapete cosa mi intimò la commessa viaggiatrice di Bush? Testuale: “Vai pure e parlaci dei datteri, dei monumenti assiri e babilonesi, ma guai a te se mi fai vedere un solo bambino iracheno menomato dall’uranio, o inscheletrito dalla fame. Mica voglio fare un favore a quel farabutto di Saddam…” . Glielo ricordai proprio in una trasmissione di Santoro. Farfugliò qualcosa su come mi sarei piuttosto dovuto occupare della frana nel Sarno.
Nessuna sorpresa per come reagì all’oscena piazzata della bipartisanamente cara signora, strabica nell’ottica e non ce ne potrebbe fregare di meno, ma molto più strabica più nell’etica, il verminaio politico e mediatico della marca imperiale. Dal fascista presidente della Camera, riscattato nell’antica fede dal modello ultradestro israeliano e dall’olio di ricino potenziato a fosforo, alla ciurmaglia dell’intendenza a suivre veltroniana. La quintessenza della deontologia giornalistica l’ha espressa ancora l’Annunziata quando, a sostegno delle armate nucleari accorse a tappare la voragine di verità aperta dalle immagini di “Anno Zero”, ha sentenziato: “Dobbiamo orientare il pensiero degli italiani su questa cosa”. “Orientare”, capito? E’ l’orientamento cui sono chiamati e votati i nostri operatori dell’informazione. Orientare come si è orientato il pensiero degli italiani su una pulizia etnica serba che era solo subita e mai attuata, su “interventi umanitari” che si risolvono nella decimazione dei civili, sulle armi di distruzione di massa in Iraq, sulle Torri Gemelle abbattute da Osama, sull’ “esportazione della democrazia” che comporta l’annientamento di paesi, popoli, culture, su un libero mercato che ci fa galoppare verso la fine del mondo, su una “lotta alla mafia” che è garantita dall’obliterazione di magistrati che ne rivelano l’intima convivenza-connivenza con la classe politica ed economica, su operazioni di peace keeping che mirano esclusivamente a imporre le soluzioni colonialiste e totalitarie dell’associazione per delinquere, detta comunità “internazionale”, all’ invincibile resistenza di popoli e classi deformata in “terrorismo”. Tutto questo è un deja vu. Ma poi ci sono, più perniciose dei rematori di questa nave di licantropi, le quinte colonne del pacifismo equidistante. Quelle che, contro una manifestazione di massa che si schiera accanto alle vittime di sessant’anni di ineguagliate atrocità di Stato, il 17 gennaio in tutta Italia, allestiscono una contromanifestazione ad Assisi che blatera di pace “contro tutte le violenze”, “contro tutti gli estremismi”. Quelle che si adontano, proprio da Assisi!, proprio all’ombra di benedicenti tuniche, dell’unica risorsa rimasta agli esclusi e banditi dal consesso civile, la preghiera. Quelle che si stracciano le vesti perché si da fuoco ai simboli di una etnolatria che incenerisce l’altro, dopo averlo derubato e lagerizzato. Quelle che concedono pagnotte e aspirine ai sopravvissuti, purchè lascino rimpiazzare l’occupante genocida da quisling venduti, protettei da caschi ONU o Nato, che hanno lo stesso compito di spezzare le reni e annichilire la dignità di chi resiste. “Sinistre cristiane”, fameliche ong, firmaioli di accorati appelli alla moderazione degli uni e degli altri, sinistri campioni del cerchiobottismo, predicatori di confronti e dialogo. Dialogo con una società deumanizzata che al 92% ha appoggiato la carneficina, famigliole che facevano picnic ai varchi per Gaza, esplodendo in applausi a ogni botto e a ogni colonna di fumo che garantivano l’intensificazione della mattanza. Dialogo con una cultura i cui libri sacri, altrettanti decreti esecutivi, assicurano l’impunità a ogni nefandezza inflitta al non ebreo. Sì, dialogo, ma una volta che Israele sia stata ammorbidito dal boicottaggio, dal ritiro degli investimenti, dall’esecrazione mondiale, dalla fine dell’immigrazione, dall’irriducibilità della Resistenza.
Una melma maleodorante che ha per effetto strategico la rimozione di quando, come e perché, tutto è iniziato: l’esproprio terroristico e bellico di un popolo stanziale da millenni, una successione ininterrotta di crimini di Stato, tutto nel quadro di una strategia coloniale secolare per impedire il riscatto di popoli attraverso eliminazione fisica, frantumazione, pulizia etnica e corruzione di quanto rimane. Umanitaristi dei cerotti a nascondere le piaghe, onde la cancrena possa continuare la sua opera fuori da sguardi importuni. Oh, da quali vertiginose altezze morali precipita sui dannati della Terra, purchè non “integralisti”, purchè non terroristici lanciatori di petardi, la caritatevole comprensione della nostra cristiana civiltà democratica. Purchè “riconoscano Israele”, cioè uno Stato razzista, escludente, militarista, espansionista, assassino, che non si è mai sognato di riconoscerne nemmeno l’esistenza. Non andavano così a consolare gli autoctoni sopravvissuti agli stermini continentali i nostri missionari? Solo quelli domati, s’intende. Solo quelli che, anche loro, ci riconoscevano padroni, emissari dell’unico sovrano e ministri del dio giusto.
Grande sollievo al manifestarsi, puntuale dopo ogni imbarazzante efferatezza israeliana, della compagnia di giro dei letterati israeliani sguinzagliati per eludere, con rimbrotti agli eccessi dei generali di Tsahal e alle “criminali provocazione di Hamas”, lo spaventoso peccato originale razzista e colonialista e il diritto di chi si difende attuando la Carta dell’ONU. Vediamo i Grossman, gli Oz, gli Jehoshua, mistificatori liberal da strapazzo, onorati in ogni ricettacolo del perbenismo collaborazionista, bofonchiare auspici di pace e di compromesso. Si sorvola, con disinvolta noncuranza, sui battimani con cui queste anime belle hanno sostenuto l’invasione del Libano, l’erezione del muro, l’olocausto di Gaza. Arrivano, con la stessa programmata puntualità (a conferma di quanto tempo prima l’attacco a Gaza fosse stato deciso) i film della mistificazione, che parlino di limoni contesi tra povera palestinese e buona israeliana (“Il giardino dei limoni”), o di “Valzer con Bashir”, piagnucolosa autocoscienza di reduce israeliano da Sabra e Shatila, perfidamente intesa a scaricare la colpa dell’orrendo massacro sui soli falangisti, che invece erano stati addestrati, indirizzati e diretti da Ariel Sharon. E quando non bastano questi emissari del Mossad dalla faccia umana, soccorre l’equipollente nostrano. E’ girato nei giorni dell’orrore sionista un appello del “venerando maestro” di parte ebraica, Moni Ovadia, cui infelicemente ha dato copaternità il palestinese Ali Rashid. Quale indiscutibile combinazione di fraternità, quale luminoso esempio di “dialogo”! Simmetria perfetta: l’invasione di uno degli eserciti più potenti del mondo è alla stessa stregua di un atto pur esecrabile di terrorismo.
E’ dunque grazie alla simmetria di “invasione” e “atto esecrabile di terrorismo” che crescono l’odio e il rancore, si radicalizzano le posizioni e le distanze diventano incomunicabilità. Già, perché con una Palestina massacrata per sessant’anni e una colonizzazione di mezzo milione di fanatici ebrei sul 22% residuo di Palestina, ridotto dal muro a un 12% spezzettato da posti di blocco e strade dell’apartheid, le posizioni non dovevano certo radicalizzarsi, odio e rancore erano paranoia pura e la comunicabilità era assidua e affettuosa. Ma se qui la presenza del palestinese pareva aver messo qualche freno alle equidistanze del guru ebreo, la maschera cade nell’intervista data a Guido Caldiron di “Liberazione”. Caldiron, punta di lancia della lobby ebraica nel quotidiano del PRC, è uno che s’era fatto notare a sinistra per gli inni di gioia con cui aveva celebrato la reazione delle destre libanesi alla vittoria di Hezbollah. Sollecitato da domande intrise di virulenza sionista, Ovadia si esercita nella pratica ossomorica dell’equilibrio sbilanciato. “La situazione è terribile e disastrosa anche per gli israeliani sottoposti a missili che possono ferire e uccidere ( tre morti contro 1.500)… La difesa (sic) dei cittadini dello Stato di Israele legittima e sacrosanta… I paesi arabi hanno accumulato pesanti responsabilità… le mire egemoniche della Siria… si sta gettando benzina sul fuoco, si rischia di creare le condizioni per una nuova generazione di terroristi… Quando mai il rogo di una bandiera è servita a fare qualcosa per un oppresso (magari sì, già soltanto dandogli il conforto di non essere solo al mondo e, comunque, fornendo un buon esempio)… che un palestinese perda la testa (sic) è comprensibile, ma che lo faccia uno che vive qui, o un italiano, mi sembra assolutamente inaccettabile… chi fa simili gesti non pensa minimamente ai palestinesi: pensa a se stesso, guarda il proprio ombelico, cerca di farsi notare… io di simili atteggiamenti non ne posso più, non ne posso più di questo ciarpame (sic)… Non è Paolo Mieli, non è Fiamma Nirenstein. E’ Moni Ovadia. Peccato che Ovadia non guardi il proprio di ombelichi. Forse avvertirebbe un buco nero nel quale sono scomparsi i torti e le ragioni, gli strumenti criminali della rimozione di un popolo dalla sua terra, usati in 60 anni di terrorismo di Stato, e i sacrosanti strumenti di una disperata resistenza. Poi Caldiron incalza con, in prima pagina, l’intervista alla “pacifista” israeliana, sfuggita ai razzetti di Hamas, che anche lei si proclama equidistante: “La loro paura è la nostra”. Immaginatevi il terrore del bracconiere alla vista del fringuello che potrebbe cagargli sulla giacca.
Del resto tra religiosi ci si intende. All’Ovadia equidistante segue a ruota, su “Liberazione”, il Tonio Dell’Olio (Pax Christi) specularmente “equivicino”. Gonfiato di aria fritta il pallone aerostatico con le “innumerevoli iniziative che hanno portato volontari, pellegrini, giovani, a incontri di testimonianza con gli israeliani”, ecco l’esaltazione dell’ “equivicinanza” che ti fa “biasimare tutti coloro che ricorrono all’uso della forza e che continuano a credere, contro ogni evidenza, che la violenza possa risolvere problemi profondi… Bruciare fantocci e bandiere è il segnale preoccupante che la logica del disprezzo dell’altro ci ha catturati, aggiunge fuoco a fuoco, odio a odio, è l’ultima delle cose di cui abbiamo bisogno". Parrebbe dunque che per questi salomoni, impegnati a spaccare in due il bambino conteso tra madre vera e madre falsa, la cosa peggiore di tutte sia il rogo di uno straccio imperialista e di un pupazzo di killer in uniforme. Canagliesco, poi, il richiamo in finale alle vittime della Cecenia, della Somalia e del Darfur, tutte situazioni care ai missionari cristiani, care e rimpiante per non essere riusciti ad impadronirsene, nonostante la grande abilità interventista degli imperialisti e l’ancor più grande abilità mistificatrice dell’apparato mediatico e pacifinta. Naturale che, ahimè in sintonia con il dabbenuomo Paolo Ferrero, segretario del PRC a dispetto della marmellata poltronara di Svendola, questa gente sostenga come unico sbocco “realistico” i “due Stati per due popoli”. Uno Stato militarizzato fino ai denti, sostenuto dalla sedicente comunità internazionale a costo di qualsiasi obbrobrio (anche perché buon modello per repressioni interne e spedizioni internazionali future), accanto a uno “Stato” che non è che un puzzle su cui sia piombato un masso, senza confini, senza sovranità, senza forze armate confrontabili con stati sovrani, butterato dalle città del mezzo milione di coloni a crescere, privato di autonomia economica, politica, culturale. Com’è che vengono taciute da tutti le voci degli ebrei d’onore e umanità che si levano contro questa aberrante finzione per gonzi e dimostrano come l’unica uscita realistica e giusta sia lo Stato unico, democratico, possibilmente laico, con pieno diritto degli espulsi a tornare nella loro terra.
Massimo D’Alema è ribalzato sugli scudi dell’onorabilità a sinistra per aver borbottato due banali ovvietà: che l’azione israeliana era “sproporzionata” e che con Hamas si deve pur parlare. Ma che bravo il furbetto di un partitino da sottrarre al controllo del rivale troppo destrorso, facendo le fusa ai detriti della sinistra e al papa e occhieggiando verso quella maggioranza di paesi nel Sud del mondo che danno segni di insofferenza verso l’apocalisse planetaria perseguita dagli USraeliani, senza soluzione di continuità da Monroe a Obama! Sarebbe stato più credibile, il baffetto dai mille fiaschi, se avesse fatto qualche passo indietro sulla Jugoslavia. Questo è il sergente di ferro e politico di fuffa a stelle e strisce che ancora si vanta di aver fermato con le sue bombe stragi in Kosovo inventate per la bisogna, che nulla hai mai detto sui massacri perpetrati dai gangster narcotrafficanti dell’UCK, addestrati dall’agente Cia Bin Laden, a danni della minoranza serba in Kosovo. E’ il traffichino che ha sponsorizzato l’Operazione Arcobaleno in Albania, butterata dalla corruzione e dal ladrocinio e inquisita a Brindisi. E’ il tentacolino imperialista che ha sottoscritto, in piena aggressione alla Jugoslavia, la mutazione genetica della Nato da alleanza difensiva a coalizione di aggressori imperialisti in tutto il mondo. E’ il propedeutico dello Stato di Polizia piduista che ha messo al posto dell’esercito di leva una forza professionale di sgherri interni ed esterni e che ha dato ai Carabinieri lo status di Quarta Arma e poteri senza confronto con le polizie di altri paesi che non siano la Colombia.
Chiudo con un triste sorriso per quei compagni che si tagliano le palle politiche e morali frenando sulla solidarietà e sul rispetto per i combattenti di Hamas, “integralisti religiosi senza progetto politico accettabile”. Si risentono, le anime ortodosse e delicate, anche dell’ eccessivo indugiare di Santoro sui macabri particolari dei bambini di Gaza. Li svergogna perfino il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che, correttamente, mette da parte ogni differenza ideologica nel momento dell’unica priorità, la resistenza. Meschino e saccente eurocentrismo che, questo sì, guarda solo al proprio ombelico. Dicono che quelli di Hamas, riconosciuti da un popolo sbranato, non sono per la rinascita araba, ma per l’ umma musulmana. Rieccheggiano le diffamazioni dei predatori. Ma chi glie lo ha detto? Ci portino i documenti di Hamas che parlano di califfato e non di liberazione della Palestina. Nella quale Palestina liberata se la vedranno poi liberamente ideologie e sistemi sociali e chi avrà più filo più tesserà. Mi ricordano quel puzzone del PRC che, di fronte all’immane tragedia irachena e ai successi dei suoi partigiani, scrollò le spalle e dichiarò con sufficienza: “La resistenza irachena non ci parla””. E anche così che Bertinotti è arrivato alla terza carica dello Stato.
Sei tu che non la sai ascoltare, coglione!