di

Chiara Collizzolli

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Giovedì 29 gennaio 2009 il Sole24ore ha pubblicato due interessanti articoli, uno in prima pagina e l’altro nell’inserto Finanza&Mercati.

Ma partiamo dal primo, analizzando anzitutto il suo titolo: “E JP Morgan abbandonò in tempo la barca Madoff”.

Per la verità, si tratta di un titolo che si commenta da sé. Dando per scontato che tutti abbiano presenti le enormi proporzioni e la dinamica dello scandalo Madoff, c’è da chiedersi come abbia fatto la JP Morgan a uscire indenne da un ciclone che ha coinvolto i maggiori gruppi finanziari mondiali.

Per la verità, se lo chiede anche il giornalista dell’articolo in questione, che a un certo punto scrive:

“…risulta che JP Morgan ha venduto prodotti finanziari direttamente legati a due fondi di Madoff….E ancor più significativo è che la banca abbia ritirato i propri capitali da quei prodotti appena prima che il finanziere venisse arrestato. E c’è chi sospetta non sia stato un semplice colpo di fortuna”.

Sembra che per certi soggetti la fortuna, solitamente cieca, ci veda benissimo. JP Morgan è incredibilmente fortunata: crisi epocali, guerre mondiali, catastrofi naturali la lasciano intoccata, anzi, più prospera di prima. Non è straordinario? Ma quale sarà il suo segreto?

Dalla prima pagina, l’articolo prosegue a pagina 13, con tanto di foto di un pensieroso Bernie Madoff, spalla a spalla con un poliziotto americano.

C’è un altro titolo alquanto significativo, bello grande, a tutta pagina, che recita: “Caso Madoff, JP Morgan si salva i clienti no”. Il sottotitolo approfondisce il concetto: “Il doppio ruolo del colosso: a New York banca del finanziere, a Londra emittente dei suoi titoli”.

Allora, ragioniamo come potrebbe fare un bambino delle elementari: la JP Morgan, che è la più grande banca americana in termini di capitalizzazione (lo dice nell’articolo il Sole24ore), da una parte prestava i soldi a Madoff e dall’altra ne piazzava i titoli a clienti ignari e desiderosi di guadagni più o meno lauti. Un po’ semplificato, ma in pratica era così.

Ovviamente, essendo la sua banca, JP Morgan sapeva benissimo le reali condizioni degli affari del signor Madoff, e questo spiegherebbe perfettamente come abbia potuto scegliere il momento più propizio per abbandonare una barca che stava affondando.

Peccato però che non abbia avvertito i propri clienti, che adesso sono giustamente infuriati.

Ma sentiamo cosa dice a proposito la signora Kristine Lemkau, autorevole portavoce di JP Morgan Chase.

Essa ha confermato che la banca ha ritirato i capitali dai fondi legati a Madoff dopo “un’analisi della nostra esposizione nei fondi hedge”, e sulla base di “preoccupazioni sulla mancanza di trasparenza”. Scelta rispettabilissima. Peccato che però lo abbia fatto senza avvertire i clienti.

Come si giustifica la signora Lemkau?

“Non c’erano le condizioni che ci autorizzavano a rendere noti i nostri timori”, dice serafica.

Da notare la spettacolare faccia tosta della signora: alla vigilia di una catastrofe finanziaria, non c’erano le condizioni per avvertire gli investitori, che difatti hanno “continuato a pagare commissioni…e sono rimasti gli unici esposti al rischio che JP Morgan non voleva correre”.

L’articolo continua analizzando piuttosto tecnicamente e nei dettagli la struttura finanziaria degli intrecci tra JP Morgan e Madoff. A una profana come me fa pensare al famoso gioco delle tre carte dove si rimane invariabilmente imbrogliati.

Un’altra cosa appare chiaramente: il nome e il prestigio di JP Morgan erano stati l’elemento decisivo che aveva spinto moltissimi a investire sui prodotti finanziari di Madoff.

Ora Madoff è stato travolto e JP Morgan è assolutamente indenne. A pensar male si fa peccato ma difficilmente si sbaglia, dicevano una volta, e a questo punto verrebbe da pensare: e se Bernie Madoff stesso non fosse stato che una pedina di JP Morgan, da buttare via senza tanti complimenti adesso che si è bruciata?

Ma no, forse è una conclusione esagerata….forse è solo il fatto che JP Morgan è un po’ come Gastone Paperone, baciata da una fortuna sfacciata.

Ma passiamo all’analisi del secondo articolo, quello sulla prima pagina dell’inserto Finanza&Mercati.

Il titolo recita: “Borse in rally, Wall Street crede alla bad bank”.

Leggo l’articolo, lo rileggo, e rimango perplessa. Non solo io; anche il giornalista in questione (molto più competente di me) si lascia sfuggire un commento, e cioè che questa storia delle bad bank gli sembra un po’ un uovo di colombo (testuali parole).

In pratica, le borse hanno reagito entusiasticamente, con un forte rialzo dei titoli finanziari e bancari, alla proposta dell’amministrazione Obama che ormai viene data per certa.
Questa proposta è di disarmante semplicità, come recita l’articolo: “le banche americane, piene di titoli ‘tossici’, conferiscono questa spazzatura a una nuova banca creata dallo Stato. Cosi ripulite, possono ricominciare a lavorare seriamente e a prestare denaro a imprese e famiglie”.

Bravi, bene, bis.

In pratica, si scarica il patatrack sulle spalle del contribuente americano, che lo pagherà sotto forma di tasse, imposte e balzelli vari, mentre le banche, di nuovo “libere e belle”, potranno ricominciare a lavorare “seriamente”.

Tanto, paga sempre Pantalone!