Il “Corriere della Sera” la chiama una svolta “verde”. “La Stampa”, idem. Mentre “La Repubblica”, invece, preferisce metterla giù in altri termini: “Pirelli ristruttura e taglia il dividendo”. Ma in un italiano, diciamo così, più spicciolo, si potrebbe banalmente dire che il gruppo Pirelli – famoso per i suoi pneumatici e per la faccia perennamente imbronciata del suo numero uno (al secolo, Marco Tronchetti Provera) – ha chiuso un pessimo 2008. Con un discreto mucchietto di debiti sulle spalle (oltre un miliardo di euro). E conti in affanno. Risultato: per il prossimo anno – come ha spiegato ieri il suo imbronciatissimo presidente – si punterà, sì, su nuove gomme ecologiche. Ma soprattutto su una valanga di licenziamenti.
Per la precisione: a perdere il posto, secondo l’agenzia di stampa americana Bloomberg, saranno ben 1.500 dipendenti (qualcosa come il 15% del totale) solo nel settore pneumatici. Più oltre 600 lavoratori (su 1.437) nella divisione “Real Estate” (nome “esotico” per qualcosa che tanto esotico non è: ossia il casereccio braccio immobiliare del gruppo). Numeri da brivido. Eppure quella funesta parola con la “elle” – licenziamenti, appunto – sulle pagine dei tre principali quotidiani italiani semplicemente non c’è. Al suo posto un florilegio di espressioni che sanno tanto di neolingua di orwelliana memoria. “Riduzione dell’organico” (Repubblica). “Razionalizzazione delle strutture produttive” (Corriere). E per finire (sulle pagine de “La Stampa) la più franca di tutte: “tagli di dipendenti” (che sa tanto di giardinaggio e di lavoratori uguale rami secchi; però almeno rende l’idea). Peccato solo che la sostanza del problema rimanga.
E il problema – in questo primo scorcio di 2009 – non sono solo i licenziamenti. Ma il fatto che giornali e tiggì, come dire?, fatichino a trovare spazio e parole per parlarne. Per capirci: a “tagliare”, non è solo Pirelli. Ma per scoprire che anche il re dei maglioni Benetton chiuderà in tronco un intero stabilimento (quello di Piobesi; 20 chilometri da Torino), bisogna avere la pazienza di arrivare fino a pagina 120 dell’ultimo numero de “L’espresso”. Mentre proprio oggi: per sapere che Brembo, quella dei freni, manderà in cassintegrazione più di mille lavoratori (tra marzo e maggio, a rotazione), bisogna arrivare fino alla sezione “Economia” del solito “Corriere” (cioè da pagina 30 in avanti). E solo dopo aver fatto lo slalom tra notizie di ogni tipo. Compresa un’autentica chicca: il nostro ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha indeciso di inviare a tutti i nostri soldati un manuale per buttar giù la pancetta (”eroici sì, grassi no”). Come a dire: uno scoop. Ma di cui si poteva tranquillamente fare a meno.
E dire che, invece, su internet basta poco. Basta digitare la famosa parolina con la “elle” su “Google” e subito si scopre che quella dei licenziamenti ha tutta l’aria di un vera e propria ondata. Che non risparmia nessuno. Nord. E sud. Aziende piccole; aziende medie; e aziende grandi. Solo negli ultimi dieci giorni: l’italianissima De Agostini ha aperto le trattative per licenziare 237 persone. La multinazionale Hugo Boss ha avviato le procedure per mettere in mobilità 59 dipendenti nel suo stabilimento in provincia di Macerata. Mentre la “Ratti” – azienda tessile del comasco, che fa viaggiare i suoi impianti al 50% – ha chiesto e ottenuto la cassaintegrazione per 520 dipendenti di tutti i reparti (per 12 mesi e a rotazione).
E ancora. Gli operai della Emilceramica, a Modena, hanno protestato contro altri 116 licenziamenti. La Asm di Avellino, che fa parte dell’indotto Fiat, ha tagliato 33 interinali (con tanto di coda di sciopero ad oltranza). Mentre la società di call center “Conversa” di Napoli ha deciso di chiudere direttamente i battenti. Lasciando con un palmo di naso i suoi 151 dipendenti. Va da sè che non è finita qui. Che ci sono anche fatti di cronaca eclatanti: due dipendenti di una impresa di pulizia, sempre a Napoli, hanno addirittura minacciato di buttarsi da una terrazza per paura di essere licenziate. Mentre – stando a un’interrogazione presentata dalla senatrice Pd, Colomba Mongiello – anche lo stato ha fatto la sua parte. Tagliando con la mannaia i fondi per i lavoratori socialmente utili. E mettendo a rischio altri 20.000 posti di lavoro in tutto il meridione. Ma niente da fare. Di questa ondata, sulle prime pagine della stampa titolata, non c’è traccia.
Qualcuno potrebbe dire che le Cnn e i New York Times de’ noantri si siano fatti contagiare dalle lune e dal celebre ottimismo del nostro presidente del consiglio. Che ultimamente preferisce discettare di bioetica, piuttosto che promettere (come faceva un tempo) milioni di posti di lavoro. Qualcun altro – sempre pensando male – potrebbe insinuare che alcune delle aziende che licenziano sono anche ottimi inserzionisti pubblicitari. E i più maligni potrebbero perfino ricordare che dietro alcuni giornali ci sono imprenditori che hanno attività che nulla hanno a che fare con l’editoria e che magari non hanno nessuna voglia di lavare certi panni sporchi in pubblico. Come Pirelli che è azionista, per coincidenza, proprio del Corriere della Sera. O la Fiat che è proprietaria de La Stampa e azionista del Corriere. E che pochi giorni fa – lo sapevate? – ha deciso di mettere in cassa integrazione (per un paio di settimane, a marzo) anche 5mila “colletti bianchi” (dopo gli operai a Natale). Ma noi bamboccioni alla riscossa non siamo maligni. E non vogliamo pensare male.
Anzi – al coraggiosissimo direttore del Corriere, Paolo Mieli; al valorosissimo collega de La Stampa, Giulio Anselmi e all’audace numero uno di Repubblica, Ezio Mauro – vogliamo fare i complimenti. Perchè siamo convinti che fossero animati dalle migliori intenzioni: evidentemente volevano distrarre i loro lettori da quella che i giornali di mezzo mondo definiscono la peggior crisi economica dalla Grande depressione. Non volevano guastargli le giornate, insomma. E ci sono riusciti. Informare, però, è un’altra cosa.
Fonte: bamboccioni-alla-riscossa.org