La festa è finita. E (per ora) gli amici se ne vanno. Milano non è più da bere. E nemmeno da sorseggiare. Almeno non per alcuni grandi investitori stranieri. Che, fino a lunedì scorso, hanno venduto letteralmente a mani basse le loro azioni quotate a Piazza Affari. Una fuga di capitali che non promette nulla di buono.
E infatti: che le Borse di mezzo mondo non sprizzino salute da tutti i pori, non è certo una novità. Ma a Milano, nella nostrana Piazza Affari, qualcosa davvero non torna. E per capirlo basta mettere in fila i numeri – freddi, ma chiari – pubblicati negli ultimi giorni da “Il Sole 24 ore” e dal quotidiano “Libero”. Dall’inizio del 2009 e fino a lunedì scorso è stato un bagno di sangue. Piazza Affari – come ha osservato la giornalista Moyra Longo sulle colonne del “Sole”, in un articolo intitolato “Borsa, la caduta è senza rete” – ha perso più di un terzo del suo valore: il 35,4%. Molto peggio della media delle altre Borse europee (che si sono fermate a un pur sempre poco confortante -20%). Uno tsunami che non ha risparmiato quasi nessuno. Non le banche che secondo il nostro presidente del consiglio sarebbero “solidissime” (con Unicredit che solo da inizio anno ha visto le sue azioni crollare fino al -58% di venerdì scorso). Non le assicurazioni (i titoli di “Generali” lunedì valevano sotto i 10 euro, contro i 33 di 17 mesi fa; e l’intero comparto da inizio anno ha patito di più dei colleghi europei: -45% contro – 43%). E neppure i media (ovvero grandi giornali e tivù) che tutti insieme – e si suppone per nulla appassionatamente – hanno visto crollare le loro azioni del 32% (contro il -11% della media europea). Per la cronaca: Mediaset – che proprio oggi si è distinta tra le peggiori di Piazza Affari (-5 e rotto per cento) – compresa.
Il risultato finale è impressionante. Come sottolineava sempre “il Sole 24 ore”, in un altro articolo pubblicato domenica scorsa: le oltre 300 società quotate alla Borsa tricolore, il gotha dell’industria e della finanza italiana – venerdì scorso, alla chiusura delle contrattazioni – valevano 272 miliardi di euro. Per capirci: meno degli immobili dei tanti signori Brambilla che abitano Milano (che oggi tutti assieme valgono circa 317 miliardi di euro). Di più. Secondo i calcoli di “Libero”: oltre cento titoli – tra cui i blasonati Telecom, Piaggio, Pirelli o la stessa Unicredit – valgono ormai meno di un euro. Meno di un caffè al bar.
Che è stato? Ovviamente sta avendo un peso l’arcinota crisi dei mutui subprime e il pessimismo che regna sovrano nei mercati di mezzo mondo. Ma nel caso dell’Italia, in questo primo scorcio di inizio anno, c’è un elemento in più. Da non sottovalutare. “E’ un dato di fatto che grossi flussi di vendite siano arrivate da oltreconfine”, scrive sempre Moyra Longo in “Borsa, la caduta è senza rete”. Cioè da investitori stranieri. Forse grandi banche, grandi hedge fund o grandi assicurazioni. Già ma perchè? “Qualcuno – scrive la giornalista del “Sole” – pensa la Borsa sia penalizzata da un maggior rischio-Paese”. Che – tradotto in un linguaggio più spicciolo – sembra voler dire: quel “qualcuno” teme che l’Italia – travolta dai conti pubblici e dal terzo debito pubblico al mondo – possa fare default. Insomma: un bel crac che trascinerebbe tutti e tutto a fondo.
Possibile? Possibile. I termometri che misurano lo stato di salute dei nostri conti pubblici, infatti, sono due. E segnano febbre alta. Osserva Moyra Longo: “proprio” lunedì scorso “i credit default swap”, cioè il costo delle “polizze assicurative” contro il fallimento del nostro (ex) Belpaese “hanno raggiunto il loro record storico” (arrivando per parlar tecnico a 200 punti base). Per contro e per fortuna: lo “spread” – cioè la differenza tra quanto pagano i nostri titoli pubblici a dieci anni (Btp) e quelli tedeschi (i Bund, ritenuti più sicuri); da non confondere con lo spritz, l’aperitivo (anche perchè decisamente più indigesto) – è sceso leggermente da 157 a 148.
Conclusione della giornalista del “Sole 24 ore”, quotidiano che appartiene a Confindustria: non è comunque il caso di arrivare a conclusioni azzardate. Perchè “forse cercare una spiegazione razionale” al crollo di Piazza Affari “non è la cosa più razionale da fare”. Modo elegante per nascondere la mano, dopo aver lanciato il sasso. Che però non cancello quell’unico dato di fatto: i capitali stranieri sono in fuga. E questo fa tanto nave che affonda. E topi che scappano.
Ma forse, no. Non è così. E ha ragione il nostro premier: la crisi è meno grave di quel che sembra. Bisogna smetterla con il pessimismo. E tutti dobbiamo continuare a vivere e spendere in grande allegria. Finiremo comunque in mutande, ma di cachemire; e con le ciabatte di Gucci. Vuoi mettere che chiccheria?
P.S. Per finire: gli articoli – “Borse, la caduta è senza rete”, il Sole 24 ore10 marzo 2009; e “Mezza Borsa vale meno di un caffè”, Libero, 7 marzo 2009 – non sono disponibili on line. Li pubblicheremo a breve in versione jpg. Leggere, per credere.
Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org