di
NOURIEL ROUBINI
informationclearinghouse.info
Per coloro che sostengono che il tasso di crescita dell’attività economia stia ritornando positivo – e cioè che le economie si stiano contraendo ma ad un ritmo più lento rispetto al quarto trimestre del 2008 – gli ultimi dati non confermano questo relativo ottimismo. Nel quarto trimestre del 2008 il prodotto interno lordo è diminuito di circa il 6% negli Stati Uniti, del 6% nell’Eurozona, dell’8% in Germania, del 12% in Giappone, del 16% a Singapore e del 20% in Corea del Sud. Quindi, le cose sono addirittura più agghiaccianti in Europa e in Asia rispetto agli Stati Uniti.
Esiste, in effetti, un rischio crescente di una depressione globale a forma di L che sarebbe addirittura peggiore dell’attuale dolorosa recessione globale a forma di U. Ecco perché.
Innanzitutto, notate come la maggior parte degli indicatori mostrino che la derivata seconda dell’attività economica sia ancora fortemente negativa in Europa e in Giappone e vicina alla negatività negli Stati Uniti e in Cina. Alcuni segnali del fatto che la derivata seconda stava volgendo alla positività per Stati Uniti e Cina si sono rivelati dei fuochi di paglia. Per gli Stati Uniti, gli indici Empire State e Philly Fed per l’attività manufatturiera sono ancora in caduta libera; le richieste dei sussidi di disoccupazione sono ancora a livelli preoccupanti, suggerendo un’accelerazione della perdita di posti di lavoro. E l’incremento delle vendite di gennaio è un caso fortunato – più un rimbalzo da un dicembre molto depresso, dopo le impetuose vendite post-festività, che una ripresa sostenibile.
Per la Cina, la crescita del credito è guidata solamente dalle imprese che prendono a prestito a buon mercato per investire in depositi ad alto rendimento, non per investire veramente, mentre i prezzi dell’acciaio in Cina hanno ripreso la loro forte discesa. I dati più preoccupanti sono quelli per i flussi commerciali in Asia, con le esportazioni che stanno diminuendo dal 40 al 50% in Giappone, Taiwan e Corea.
Persino apportando le correzioni per l’effetto del Capodanno cinese, le esportazioni e le importazioni in Cina stanno bruscamente diminuendo, con le importazioni che diminuiscono (-40%) più delle esportazioni. Questo è un segnale inquietante, perché le importazioni cinesi riguardano principalmente materie prime e input intermedi. Quindi, mentre le esportazioni cinesi sono diminuite finora meno che nel resto del continente asiatico, potrebbero diminuire ancor più drasticamente nei mesi a venire, come indicato dalla caduta a picco delle importazioni.
Con l’attività economica che si contrae nel primo trimestre del 2009 allo stesso ritmo del quarto trimestre del 2008, un brutta recessione a forma di U potrebbe trasformarsi in una più grave quasi-depressione a forma di L (detta anche stag-deflazione). Le dimensioni e la velocità della contrazione economica globale sincronizzata è davvero senza precedenti (almeno a partire dalla Grande Depressione), con una caduta a picco del PIL, delle entrate, dei consumi, della produzione industriale, dell’occupazione, delle esportazioni, delle importazioni, degli investimenti residenziali e, cosa più inquietante, degli investimenti aziendali in tutto il mondo. Ora molte economie dei mercati emergenti sono a tutti gli effetti sull’orlo di una crisi finanziaria, a partire dall’Europa in crescita.
Gli incentivi fiscali e monetari stanno diventando più aggressivi negli Stati Uniti e in Cina, e meno nell’Eurozona e in Giappone, dove i legislatori si sono bloccati e rimangono nelle retrovie. Ma tali incentivi difficilmente porteranno ad una ripresa economica sostenibile. Le agevolazioni monetarie – persino quelle non ortodosse – hanno scarsi effetti quando (1) i problemi dell’economia sono quelli dell’insolvenza/credito invece che una semplice mancanza di liquidità; (2) esiste un’eccedenza globale della capacità produttiva (abitazioni, automobili, beni durevoli e un’enorme capacità produttiva inutilizzata, a causa di anni di sovrainvestimenti in Cina, Asia e in altri mercati emergenti) mentre le imprese in difficoltà e le famiglie non reagiscono di fronte a tassi di interesse più bassi, perché servono anni per uscire da questa eccedenza; (3) la deflazione mantiene alti i tassi reali mentre i tassi nominali sono vicini allo zero; e (4) gli spread ad alto rendimento sono ancora a 2.000 punti base rispetto ai solidi Buoni del Tesoro nonostante i tassi a zero.
La politica fiscale negli Stati Uniti e in Cina ha anch’essa i suoi limiti. Degli 800 miliardi di dollari degli incentivi fiscali americani, solo 200 miliardi di dollari verranno spesi nel 2009 mentre la maggior parte verrà rimandata al 2010 e oltre. E di questi 200 miliardi di dollari, per la metà si tratta di tagli alle tasse che saranno soprattutto risparmiati invece che spesi, perché le famiglie sono preoccupate dei posti di lavoro e del pagamento del mutuo e delle fatture delle carte di credito (dei 100 miliardi di dollari di tagli fiscali dello scorso anno, solamente il 30% è stato speso, il resto è stato risparmiato).
Perciò, considerato il crollo di cinque delle sei componenti della domanda aggregata (consumi, investimenti residenziali, investimenti aziendali, scorte di magazzino ed esportazioni), gli incentivi alla spesa da parte del governo quest’anno saranno deboli.
Anche gli incentivi fiscali cinesi avranno minore importanza sulle prime pagine (480 miliardi di dollari). Tanto per cominciare, c’è un’economia fortemente dipendente dal commercio: un surplus commerciale del 12% del PIL, le esportazioni oltre il 40% del PIL e la maggior parte degli investimenti (che rappresentano quasi il 50% del PIL) che vanno nella creazione di ulteriore capacità produttiva/macchinari per produrre altre merci da esportare. Il resto degli investimenti è nelle costruzioni residenziali (ora in forte diminuzione dopo lo scoppio della bolla immobiliare cinese) ed investimenti infrastrutturali (l’unica componente di investimento che sta aumentando).
Con un’enorme capacità produttiva inutilizzata nel settore industriale/manufatturiero e migliaia di aziende che chiudono i battenti, perché le aziende private e quelle di proprietà dello stato dovrebbero investire di più, anche se i tassi di interesse sono più bassi e il credito è più conveniente? Obbligare le banche di proprietà dello stato e le aziende a, rispettivamente, dare a prestito e spendere/investire di più aumenterà solamente la dimensione delle inadempienze e l’ammontare della capacità produttiva inutilizzata. Essendo la maggior parte dell’attività economica e degli incentivi fiscali ad alto impiego di capitale – invece che di forza lavoro – gli ostacoli alla creazione di nuovi posti di lavoro continueranno.
Quindi, senza un recupero nell’economia degli Stati Uniti e in quella globale, non ci può essere una ripresa sostenibile nella crescita della Cina. E con il recupero degli Stati Uniti che richiede consumi inferiori, maggiori risparmi privati e minori disavanzi commerciali, un recupero americano ha bisogno che la crescita della Cina e di altri paesi che hanno un surplus (Giappone, Germania, e così via) dipenda maggiormente dalla domanda interna e meno dalle esportazioni. Ma la crescita della domanda interna è anemica nei paesi in surplus per ragioni cicliche e strutturali. Perciò una ripresa dell’economia globale non può avvenire senza una rapida e metodica riorganizzazione degli squilibri nelle bilance dei pagamenti globali.
Nel frattempo sta continuando la riorganizzazione dei consumi e dei risparmi americani. Le cifre delle spese personali di gennaio erano in aumento rispetto al mese precedente (un colpo di fortuna temporaneo guidato da fattori transitori), e i risparmi personali erano aumentati del 5%. Ma quest’aumento dei risparmi è solamente un’illusione. C’è differenza tra la definizione di “risparmio delle famiglie” data dalla Ragioneria nazionale (le entrate a disposizione meno le spese per i consumi) e le definizioni economiche di risparmio visto come cambiamento del valore delle ricchezze/patrimonio netto: il risparmio come cambiamento nelle ricchezze è uguale alla definizione della Ragioneria nazionale di risparmio più i guadagni/perdite in conto capitlae sul valore della ricchezza esistente (i beni finanziari e i beni reali come, ad esempio, la ricchezza immobiliare).
Negli anni in cui i mercati azionari e i valori delle abitazioni stavano salendo, gli apologeti del forte aumento dei consumi e della moderata diminuzione dei risparmi andavano sostenendo che i risparmi moderati erano distorti al ribasso perché non si teneva in considerazione il cambiamento del patrimonio netto dovuto all’aumento dei prezzi delle abitazioni e dei mercati azionari.
Ma ora, con i prezzi delle azioni che sono diminuiti del 50% dal loro picco massimo e i prezzi delle abitazioni diminuiti del 25% dal loro picco massimo (e che che diminuiranno ancora di un altro 20%), la distruzione del patrimonio netto delle famiglie è diventata drammatica. Dunque, apportando le correzioni per la diminuzione del patrimonio netto, i risparmi personali non sono il 5%, come suggerisce la definizione ufficiale della Ragioneria nazionale, ma piuttosto fortemente negativi.
In altre parole, considerata l’enorme distruzione del valore delle ricchezze/patrimonio netto delle famiglie dal 2006-2007, il calcolo dei risparmi della Ragioneria nazionale dovrà aumentare in modo più netto di quanto sta attualmente avvenendo per ripristinare i bilanci delle famiglie così gravamente compromessi. Perciò, la contrazione dei consumi reali dovrà continuare ancora per diversi anni prima che la riorganizzazione sia completata.
Nel frattempo, il Down Jones è sceso oggi sotto quota 7.000 e gli indici di equity americani sono diminuiti del 20% dall’inizio dell’anno. Avevo detto all’inizio di gennaio che l’impennata del 25% del mercato azionario dalla fine di novembre alla fine dell’anno era una ripresa di un mercato già in declino che sarebbe svanita una volta che fosse sopravvenuto un bombardamento di notizie peggiori del previsto sui ricavi e sulle macro, e degli scossoni finanziari peggiori del previsto. E gli stessi fattori metteranno ulteriore pressione sugli Stati Uniti e sugli equity globali per il resto dell’anno, perché la recessione continuerà nel 2010, se non oltre (un rischio crescente di una quasi depressione a forma di L).
Naturalmente non si può escludere un’altra impennata di questo mercato in declino nel 2009, molto probabilmente nel secondo o nel terzo trimestre. Chi guiderà questa impennata saranno il miglioramento della derivata seconda della crescita economica e delle attività negli Stati Uniti e in Cina che le politiche di incentivi riusciranno a fornire su base temporanea. Ma dopo che gli effetti dei tagli fiscali svaniranno alla fine dell’estate, e una volta approntati i progetti infrastrutturali, la politica degli incentivi rallenterà prima del quarto trimestre, e alla maggior parte dei progetti infrastruttuali occorreranno anni prima di essere cominciati, figuriamoci terminati.
In modo analogo, in Cina gli incentivi fiscali offriranno un aumento fasullo delle attività produttive non negoziabili mentre il settore commerciale e quello manufatturiero continueranno a contrarsi. Ma considerata la gravità degli squilibri dei macro, delle famiglie, delle aziende e delle società finanziarie negli Stati Uniti e nel resto del mondo, l’impennata di questo mercato in declino nel secondo o nel terzo trimestre svanirà alla fine dell’anno, come le precedenti cinque che sono avvenute negli ultimi 12 mesi.
Nel frattempo, sta continuando il massacro nei mercati finanziari e nelle società finanziarie. Il dibattito sulla “nazionalizzazione delle banche” è al limite del surreale, con il governo americano che si è già impegnato – tra garanzie, investimenti, ricapitalizzazioni e forniture di liquidità – in circa 9.000 miliardi di dollari di risorse finanziarie per il sistema finanziario (e avendo già speso 2.000 miliardi di dollari di questa cifra sconcertante di 9.000 miliardi di dollari). Dunque, il sistema finanziario americano è de facto nazionalizzato, perché la Federal Reserve è diventata il prestatore di prima ed unica istanza invece che il prestatore di ultima istanza, e il Tesoro americano è sia colui che spende che il garante di prima e unica istanza. L’unico problema è se le banche e gli istituti finanziari debbano anch’essi essere nazionalizzati de iure.
Ma anche in questo caso, la distinzione è solamente tra nazionalizzazione parziale e nazionalizzazione totale. Con il 36% della proprietà (e presto sarà maggiore) di Citi, il governo degli Stati Uniti è già il principale azionista. E allora cosa sono quei discorsi assurdi sul fatto di non nazionalizzare le banche? Citi è già, di fatto, parzialmente nazionalizzata. L’unico problema è se debba essere nazionalizzata del tutto.
La stessa cosa vale per AIG, che ha perso 62 miliardi di dollari nel quarto trimestre e 99 miliardi di dollari in tutto il 2008 e che è già all’80% di proprietà del governo. Con perdite così spaventose dovrebbe essere ufficialmente di proprietà del governo al 100%. E ora l’impiego di risorse pubbliche da parte della Fed e del Tesoro per il salvataggio degli azionisti e dei creditori di AIG è salito da 80 miliardi a 162 miliardi di dollari.
Dato che gli azionisti comuni di AIG sono già stati spazzati via (l’azione vale solamente alcuni centesimi), il salvataggio di AIG è un salvataggio dei creditori di AIG che altrimenti ora sarebbero insolventi. AIG ha venduto più di 500 miliardi di dollari di protezioni per credit default swap tossici, e le controparti di queste assicurazioni tossiche sono i più importanti intermediari e le principali banche americane.
Le notizie e i rapporti provenienti dagli analisti bancari hanno indicato che Goldman Sachs ha ricevuto all’incirca 25 miliardi di dollari dal salvataggio del governo di AIG e che Merrill Lynch è stato il secondo più grande beneficiario della generosità governativa. Si tratta di ipotesi ragionevoli perché il governo sta nascondendo i beneficiari del salvataggio di AIG (forse Bloomberg dovrebbe citare di nuovo in giudizio la Fed e il Tesoro per obbligarli a rivelare queste informazioni).
Ma alcune cose sono risapute: Lloyd Blankfein di Goldman è stato l’unico amministratore delegato di una società di Wall Street presente alla riunione della Fed tenutasi a New York in cui è stato discusso il salvataggio di AIG. Quindi non prendiamoci in giro: il salvataggio di AIG da 162 miliardi di dollari è un salvataggio oscuro e non trasparente delle controparti di AIG: Goldman Sachs, Merrill Lynch e altri istituti finanziari nazionali e stranieri.
Quindi, per il Tesoro nascondersi dietro la scusa del “rischio sistemico” per sborsare altri 30 miliardi di dollari ad AIG è un modo gentile di dire che senza un simile salvataggio (e un’altra mezza dozzina di programmi di salvataggio come il TAF, il TSLF, il PDCF, il TARP, il TALF e un altro programma che ha concesso 170 miliardi di dollari di ulteriore debito prendendo a prestito dalla banche e da altri intermediari, senza una piena garanzia da parte del governo), Goldman Sachs e tutti gli altri intermediari e le principali banche americane sarebbero già oggi completamente insolventi.
E anche con il sostegno da 2.000 miliardi di dollari da parte del governo, buona parte di questi istituti finanziari rimangono insolventi, perché le morosità e gli storni stanno aumentando ad un ritmo per cui – viste le prospettive macro – le perdite di credito previste per le società finanziarie americane toccheranno i 3.600 miliardi di dollari. Quindi, in parole povere, il sistema finanziario degli Stati Uniti è di fatto insolvente.
Nouriel Roubini (docente presso la Stern Business School alla New York University e presidente della Roubini Global Economics)
Fonte: http://informationclearinghouse.info
Link: http://informationclearinghouse.info/article22168.htm
7.03.2009
Traduzione a cura di JJULES (www.primit.it) per www.comedonchisciotte.org