Vabbè guardarsi l’ombelico. Ma giornali e tiggì italiani, questa settimana, hanno superato sè stessi. Ci hanno fatto sapere tutto dei (falsi) stupratori della Caffarella. Poi: ci hanno bombardato con i primi passi della campagna elettorale per le prossime europee (con tanto di solito codazzo di promesse annesse e connesse: dalle tasse ai ricchi ai ponti sugli stretti). E alla fine: hanno sostanzialmente ignorato un paio di notiziole che arrivavano dal resto del nostro pianetino. Che forse non avranno avuto lo stesso fascino dei dolori del giovane principe Hanry (notizia di oggi del Corriere.it). Ma che potevano interessare anche gli italiani che non conoscono l’inglese. Così, giusto per sapere dove va e come gira il mondo. E per capire perchè – oggi come oggi – una farfalla (subprime) a New York può provocare un uragano (di velate minacce) a Pechino.
Ma andiamo con ordine. Ecco la numero uno. Scrive l’agenzia di stampa americana Bloomberg (tra le prime al mondo in campo finanziario e di proprietà del sindaco di New York, Micheal Bloomberg), giusto lunedì scorso:
Secondo un rapporto dell’Asian development bank, il valore di tutti gli strumenti finanziari del globo – incluse azioni, bond e monete -probabilmente nel 2008 è sceso di 50 trilioni di dollari (che non sono i fantastilioni di Zio Paperone; un trilione sono mille miliardi di dollari, ndA), l’equivalente di un anno del Pil mondiale”.
E ora la seconda. L’agenzia di stampa inglese Reuters martedì pomeriggio batte:
Stephen Schwarzman, amministratore delegato della società di private equity Blackstone (uno dei primi fondi di investimento al mondo, ndA) ha detto martedì che fino al 45% (leggere due volte: il 45%) della ricchezza mondiale è stato finora distrutto dalla crisi del credito globale. “Tra il 40 e il 45% della ricchezza del mondo è andato distrutto in meno di un anno e mezzo”, ha detto Schwarzman a un conferenza alla Japan Society (a New York, ndA). “Questa è una cosa assolutamente senza precedenti nella nostra vita
Roba che al confronto le perdite per i supbrime – che hanno innescato questa corsa al ribasso e che secondo una buona fetta di analisti ammontano a una cifra compresa tra 1 e 2 trilioni di dollari, più o meno l’intero Pil italiano (fonte: il blog dell’economista americano Nouriel Roubini, post del 10 febbraio 2009) – sembrano bruscolini.
Una cosa senza precedenti, per usare le parole di Schwarzman. E apparentemente inspiegabile. Davvero la ricchezza può svanire così – puf! – in una nuvola di fumo? Ecco. Se è ricchezza vera – cioè se si tratta chessò di petrolio; o diamanti; o di una fabbrica con tutti gli operai che ci stanno dentro – verrebbe da dire di no (a meno di uno Tsunami). Ma se è in qualche modo “falsa” – cioè se si tratta di carta; cartaccia e cartamoneta varia con sotto niente – la risposta è: può essere. Eccome.
Meglio di tutti lo ha spiegato l’economista americano, Nouriel Roubini (sì quello che è stato citato poche righe fa). Roubini nel 2006 aveva previsto l’esplosione della crisi subprime. Guadagnandosi – sulle colonne del New York Times – l’appellattivo di Doctor Doom, dottor Catastrofe. Ora è una celebrità (negli States). Ebbene: ieri un giornalista lo ha intervistato sull’arresto del finanziere americano Bernard Maddoff (avete presente quel signore dall’aria distinta che con il vecchio trucco dello schema Ponzi è riuscito a fregare una cinquantina di miliardi di euro a risparmiatori e isitituzioni finanziari? Ecco, lui). E Roubini (come potete leggere sul suo blog o su quello del Financial Times) ha detto chiaro e tondo:
“Gli americani hanno vissuto in un’economia fatta da una bolla di Ponzi per un decennio o più. Maddoff è lo specchio dell’economia americana e dei suoi agenti iperindebitati: un castello di carte di debiti su debiti fatto da famiglie proprietarie di casa, società finanziarie e aziende che ora è andato per aria”.
Capito bene? L’economia americana, la più forte del mondo, sarebbe basata su un castello di carte. Uno schema di Ponzi. Inzomma: ‘na truffa colossale. Cosa che per altro – riferendosi solo all’Alta finanza – aveva già detto pure un altro economista non qualunque: il premio nobel per l’economia, Paul Krugman. Che sulle colonne del New York Times aveva scritto un articolo intitolato appunto “Madoff economy”.
Madoff economy che pare al tramonto. Ma non senza strascichi. Roubini ha messo in guardia tutti:
“Un governo (sì quello del magico Obama) che emetterà trilioni di dollari di nuovo debito per pagare questa severa recessione a socializzare perdite di privati (le banche in particolare, NdA) può rischiare” pure lui “di diventare un governo Ponzi, se – nel medio periodo – non ritorna a una disciplina fiscale e a una sostenibilità del debito.
Conclusione: “Un paese che ha – per oltre 25 anni – speso più di quello che ha guadagnato (…); che è diventato il più grande debitore netto del mondo (…) è pure lui un paese di Ponzi che può eventualmente fare default sul suo debito estero se non si allaccia la cintura in tempo”.
Ora.
Queste considerazioni di Roubini su un possibile default americano devono essere rimbalzate in Asia. Oppure: a Pechino ci devono essere arrivati da soli. Perchè oggi, come potete leggere per esempio sulle pagine del quotidiano inglese “Telegraph”, il premier cinese, Wen Jiabao, si è detto un tantino preoccupato: “Abbiamo prestato grandi quantità di denaro agli Stati Uniti. Ovviamente siamo preoccupati della sicurezza dei nostri investimenti. Per essere onesti, sono davvero un po’ preoccupato e vorrei fare… appello agli Stati Uniti perchè onorino la loro parola e rimangano una nazione credibile e assicurino la sicurezza degli investimenti cinesi”.
Per la cronaca. Secondo il New York Times, la Cina è il primo “azionista” degli Usa: ha un trilione di dollari in titoli di debito americano. E altri danari investiti in finanza e quant’altro. Se non dovesse sostenere il piano Obama comprando altro debito, sarebbe la catastrofe.
Bene. Mentre vi scrivo questa è la top news del NyTimes.
Ecco come la” traducono” due dei principali “quotidiani big” de noantri nelle loro home page:
- Wen Jiabao: «Cina pronta al dialogo, se il Tibet rinuncia all’indipendenza». (Corriere.it)
- Tibet, il governo cinese: “Disposti al dialogo, se Dalai Lama rinuncia all’indipendenza”. (Repubblica.it)
Con tutto il rispetto per il Dalai Lama, ma… No, dico: l’architettura finanziaria mondiale (sì mondiale, perchè tutto – petrolio, grano, oro – se non ve ne siete accorti si compra in dollari non in dobloni di zio Paperone) traballa. La Cina “minaccia” gli Usa. E zut. Silenzio.Via la notizia cattiva. Dentro quella buona. Uno strepitoso esempio di ottimismo e di fiducia nelle sorti progressive del mondo.
Roba che la Pravda sembrava la Cnn, al confronto.
E allora? E allora spiace dirlo: ha ragione Berlusconi, vero artista del bispensiero di orwelliana memoria. La crisi non è “così grave come ce la descrivono” i media italiani. Lo è molto di più. Ma non diciamolo in giro. Sia mai che con un gran colpo di culo…
Aggiornamento: toh, 40 minuti dopo di noi (alle 18.34) anche Federico Rampini, giornalista di Repubblica, scopre che qualcosa non va sull’asse Pechino-New York. E lo scrive su Repubblica.it? No. Sul suo blog (e in 10-righe-10). Poi si dedica anche lui al Dalai Lama. Ohmmmmm……
Fonte: www.luogocomune.net