di
Roberto Quaglia – da Roberto.info
Premetto che io ero uno di quelli che ci capivano qualcosa di Internet. Mi ero sprofondato in internet appena il World Wide Web fece capolino in Italia nel 1995, con VideoOnLine. Non c’era quasi nulla, su Internet, e i motori di ricerca facevano schifo, eppure si trovava tutto.
Quindici anni dopo il paradigma si è invertito: su Internet c’è tutto, e i motori di ricerca sono intelligentissimi, ma non si trova più nulla. Quindici anni fa i motori di ricerca erano decisamente stupidi, si limitavano ad indicizzare le pagine web e l’unico criterio di ricerca che usavano era contare quante volte una parola chiave compariva all’interno di una certa pagina. Dato che io producevo pagine web e non ero altrettanto stupido, compresi quindi che bastava ripetere centinaia di volte una parola chiave all’interno di una pagina per finire in testa ai motori di ricerca, il più importante dei quali era Altavista. Iniziai quindi a fare proprio così usando praticamente tutte le parole chiave che mi venivano in mente, colorando le migliaia di parole chiave dello stesso colore dello sfondo, così che non si vedessero. Adesso questo suona oggi banale, ma all’epoca era un’idea brillante. Tanto brillante che tutti me la copiarono (forse anch’io copiai qualcosa da altri, ma in Italia fui uno dei primi e, di sicuro, per almeno un paio di anni il più efficiente) e ben presto il web italiano divenne in parte un immondezzaio. Qualcuno criticò il mio operato (il responsabile motori di ricerca di Virgilio quasi mi tirò la tazzina di caffé che stava bevendo quando, dopo avermi incontraro, apprese da me chi ero), ma l’aspetto positivo di quelli come me è che costrinse i motori di ricerca a farsi più intelligenti. In seguito utilizzai le mie competenze per mandare affanculo qualche milione di italiani che probabilmente se lo meritavano (i nostalgici possono ancora andarci su Affanculo.org) e per un po’ di altre cosucce, che qui non ci interessano. Questo preambolo non serviva a vantarmi, ma a premettere che di Internet non sono proprio a digiuno. Ebbene, oggi, nel 2009, su Internet non riesco neppure più a trovare quello che cerco. Forse è capitato anche a voi, ma eventualmente non ve ne siete accorti. Tutto dipende da cosa cercate. Se per esempio volete semplicemente trovare il profilo Facebook di un vostro amico, nessun problema. Eccolo lì, in testa ai risultati di ricerca. Se siete alla caccia di un albergo in una località turistica, ne trovate a volontà. Ma se cercate semplici informazioni a proposito di un luogo, è quasi impossibile sfuggire alla fitta giungla di siti alberghieri che vogliono attirarvi nelle loro stanze. Alla fine, siete costretti a ripiegare su Wikipedia, che non manca mai in testa ai risultati di ricerca. Ma bisogna proprio essere schiavi di Wikipedia se si vuole qualche informazione non commerciale? (E tra l’altro si è scoperto che è ormai pratica comune fra le grosse aziende il rivolgersi ad aziende di marketing che a pagamento provvedono a manipolare Wikipedia a beneficio dei clienti – quindi la tanto decantata obiettività di Wikipedia è solo un mito). Ci sono cose che si trovano sempre, su Google. Talmente sempre esse si trovano, che è diventato quasi impossibile trovare altro. Ci sono virtualmente milioni di pagine su Internet, ma gira che ti rigira ti ritrovi sempre a finire sulla manciata dei soliti siti. Io ho una homepage personale che esiste ormai da quasi 15 anni, eppure la gente del mio passato mi trova su Facebook, come se il resto di internet non ci fosse. E la mia pagina ha un buon ranking e si trova con facilità su google, ma per sempre più gente Internet si è ormai ristretta a Facebook e pochi altri “luoghi”. Buon per loro (tranne quando poi si ritrovano eventualmente buttati fuori da Facebook senza sapere il perché, come ad alcuni accade). Io invece rimango attratto dall’internet più “underground”, che però è sempre meno facile da trovare. E’ ormai quasi del tutto invisibile, come se non esistesse. Il sistema del ranking inventato da Google, certamente geniale e per molto tempo decisamente efficiente, ha tuttavia nel tempo finito per privilegiare (e formare) i grandi centri di gravità attorno a cui ormai ruota tutto. Nulla di innaturale, dopotutto, anche l’universo stesso è diventato ciò che è in modo non dissimile. Se le galassie si sono formate è a causa di quel misterioso principio di gravità che ora sembra essere efficace pure nel mondo virtuale di Internet, anche se a livello cosmico è per ora da escludersi che ci abbia messo lo zampino Google. C’è chi chiama questa nuova forma di Internet il Web 2.0, come se fosse una novità. Tecnicamente si tratterrà pure di una novità, ma concettualmente il Web 2.0 assomiglia sempre di più al vecchio mondo rispetto al quale il Web 1.0 costituiva una novità effettiva, un mondo essenzialmente oligarchico dove sono in pochi – i veramente grossi e potenti – ad avere audience e voce in capitolo su ciò che importi. Se ciò avviene, significa che probabilmente è inevitabile e non andrebbe giudicato in termini di bene o di male, che sono sempre categorie soggettive. A me personalmente disturba, ma questo è eventualmente solo un mio problema. Il mondo è raramente come a noi farebbe comodo che fosse. A questo processo – per così dire – “naturale”, si aggiunge però adesso anche quello più artificiale dei legislatori, che probabilmente agli ordini di occulti burattinai sembrano indirizzati a formalizzare sul piano legislativo e quindi consolidare questa trasformazione. La Francia è su questo all’avanguardia. Una legge che costringe gli IPS, i fornitori di accesso, a bloccare l’accesso ad Internet a chi si scambi files peer-to-peer, costituisce l’antipasto. Ma è allo studio una legge ben più aggressiva, la quale prevede la creazione di “white lists” di siti web consentiti, e per essere inclusi nella white list bisognerà pagare una tassa. Questo significherebbe il definitivo affossamento della parte non commerciale di Internet. In America si discute anche di una tassa sull’invio di ogni email. Ma in America Pentagono o dintorni hanno già definito Internet come la più grande minaccia esistente per gli Stati Uniti. Probabilmente non li rende troppo felici il fatto che tramite Internet i loro stessi cittadini si scambino informazioni non approvate dal governo, tipo quelle che sui fatti dell’11 settembre raccontano una storia diversa (e io sul tema ne so qualcosa). Immagino che per quello che riguardi la “minaccia” si riferissero al Web 1.0, perché qualcosa mi dice che il Web 2.0, nella sua forma consolidata, non genererà gli stessi “problemi”. Ho provato a cercare su Facebook l’esistenza di gruppi per la verità sull’11 settembre (dei quali il web 1.0 è traboccante), ma non ne ho trovati, se non di dimensioni risibili. Questo vorrà pur dire qualcosa.
Il nome Internet nacque quando vennero connesse la rete Arpanet e la rete Usenet. Il nome suggerisce un ambiente che connetta reti. La direzione in cui ci muoviamo adesso è per certi versi contraria, si va verso una disconnessione (reale o virtuale) dei “piccoli” dal mondo dei “grandi”. Ragione per cui il Web 2.0 (o il 3.0, scegliete voi in quale release…) si chiamerà Internet in modo filosoficamente improprio. Sarebbe molto più appropriato chiamarlo Oligonet. E forse – chissà – sarà proprio così che gli esclusi lo chiameranno. Ma nessuno lo verrà mai a sapere.