Triplice fischio finale. Finito lo spoglio delle schede di queste elezioni – tre contemporaneamente questa volta: europee, provinciali e comunali – finirà anche quest’ennesima partita elettorale. Una partita di routine per un ex Belpaese in cui leggi elettorali demenziali costringono a votare almeno una volta all’anno. E come da routine: nel dopopartita arriverà a sommergerci – attraverso schermi, teleschermi e giornali – una pioggia di commenti di giocatori-deputati, allenatori-leader di partito e elettori pon pon. Un can can di dichiarazioni, e dibattiti, e accuse, e difese che terrà banco – se l’esperienza insegna e a meno di imprevisti o di un bel delitto estivo in stile Garlasco, con cui riempire di plastici gli studi tivù – per una settimana almeno. O forse più.
E allora, sarà bene dirlo subito: fiato, inchiostro e ore di diretta sprecati. Perchè se il copione ben rodato in questi anni verrà rispettato, non si discuterà di programmi e quindi di idee e di cose da fare. Ma solo di rapporti di forza, e giochi e giochicchi di potere. Però: la cosa che più dovrebbe dare da pensare è un’altra. Di programmi, di idee e di cose da fare – nella campagna per le elezioni europee; quelle più politiche e che hanno coinvolto tutti i 60 milioni di italiani e quasi mezzo miliardo di persone in tutto il Vecchio continente – non si è discusso proprio. Anzi: non si è discusso – letteralmente – mai. Tanto che all’appello sono mancati perfino gli indispensabili orpelli di qualunque elezioni che si rispetti: le promesse da (non) mantenere.
Solo per fare qualche esempio a caso e probabilmente neppure dei più intelligenti. Si poteva parlare del paradosso di una Banca centrale, quella europea, che continua imperterrita da anni a decidere la politica monetaria dei 16 Paesi dell’euro. Paesi che però fanno politiche fiscali, industriali, di welfare – in una parola economiche – completamente diverse. Con buona pace di logica e di coerenza. E pure della saluta delle tasche di aziende e contribuenti.
Ma niente.
Si poteva parlare – finalmente – di quell’oggetto volante non identificato della politica del Vecchio continente che si chiama Parlamento europeo. Un Parlamento che – nonostante conti ben 787 deputati (più di senato e congresso degli Stati Uniti messi assieme) – per giornali e tivù italioti praticamente non esiste (chi ha mai visto due minuti di tiggì a riguardo, alzi la mano). Un vero peccato. Perchè – secondo una stima un po’ a braccio del quotidiano “La Stampa” – i 787 di cui sopra influenzano un buon 80% delle leggi degli Stati Ue. E perchè – come nel caso celebre dell’”aranciata senza arancia” – ogni tanto si fanno prendere un po’ la mano. E perchè magari – honi soit qui mal y pense – si fanno un po’ influenzare dalle migliaia di lobbisti (addirittura 15mila secondo una stima ufficiosa citata dal Corriere della Sera, in un articolo di un annetto fa) che vivono e lavorano a Bruxelles per conto di aziende e comitati di pressione di ogni genere e sorta. Praticamente 80 lobbisti per ogni deputato. No, per dire.
Ma di nuovo, niente.
Oppure si poteva parlare – infine e per una volta – di quella benedetta crisi economica, la peggiore degli ultimi ottant’anni, che in Europa solo nell’ultimo mese ha cancellato più di mezzo milione di posti di lavoro. E si poteva puntare il dito su una ricetta europea che non c’è. E sul fatto che – nonostante le belle parole spese nell’ultimo mezzo secolo – di fronte a questo primo scoglio della Storia, ognuno ha deciso di fare da sè. E dio per tutti.
Ma, inutile dirlo: niente di niente di niente.
Risultato finale. Grazie al centrosinistra (Franceschini come Di Pietro), con la complicità del centrodestra (che così ha evitato argomenti più ostici) e pure con l’aiuto di qualche blogger outsider; non si è parlato d’altro che della vita sessuale grottesca e improbabile dell’ultrasettantenne signore di un certo maniero di Arcore. E le elezioni si sono trasformate in una specie di referendum sul (presunto) erotomane che vive tra Palazzo Chigi e la costa Smeralda. Per dirla all’antica: un plebiscito di poca democratica memoria. Per dirla moderna: uno squallido (sur)reality show.
Ciliegina sulla torta: gli italiani, alle urne, si sono comportati da par loro. E alla domanda “vuoi tu Berlusconi finchè morte non vi separi?”, hanno risposto in coro: “Non abbiamo mica capito bene, potete ripetere?”. Scegliendo di non scegliere. Ed è andata come doveva andare. i voti son rimbalzati, come le palline nel flipper, tra i soliti noti di destra&sinistra¢ro. E tutti – chi più; chi meno – potranno dire di aver vinto. E avranno ragione.
Per chi avesse memoria corta: tutta la (per molti versi) sacrosanta polemica sulla Casta, dopo nemmeno un anno, si è dissolta come neve al sole. E gli stessi partiti che si alternano al governo da tre lustri – con le stesse facce di sempre: Berlusconi, Casini, Di Pietro, Bossi e Franceschini (fu Veltroni, sarà Bersani) – anche questa volta hanno fatto il pieno di voti e quindi di consensi. Mastella – eletto nelle file del Pdl, con ben 112mila voti tutti per lui – compreso.
Dirà qualcuno: ma l’astensione è cresciuta. Certo. Quest’anno alle europee si è votato un po’ meno della volta precedente (il 66,2% contro il 72,88% del 2004, secondo SkyTg24). Ma in media – e come al solito – gli italiani sono stati molto più ligi al dovere delle urne dei loro colleghi europei (che hanno risposto all’appello, in media, solo nel 43,09% dei casi, sempre secondo SkyTg24 ). Legittimando persone e status quo. A Roma, come a Bruxelles. E infatti: i media non parleranno affatto del partito dell’astensione o della protesta – o del tema della legittimità della classe politica, che in una democrazia occidentale, poi, è la stessa cosa. E così: gli unici a perdere saranno stati proprio gli elettori. Che hanno firmato – vista l’assenza di programmi, e idee e cose da fare – una bella delega in bianco. E hanno perso l’ennesima occasione per dire “no” alle bizzarrie dei mandarini italioti e per pretendere una classe politica normale. Mediocre, s’intende, come in tutte le democrazie occidentali. Ma almeno normale. E con la buona abitudine di levarsi dai piedi, quando le elezioni si perdono.
L’ennesima occasione per cercare di smuovere le acque paludose e immobili della politica italiota è andata perduta. E gli italiani – forse più prima che poi – finiranno per rimpiangere le tante, troppe chance sprecate.
Non esistono pasti gratis. Neanche per l’ex Belpaese della pizza e degli spaghetti.