Osama Bin Laden, Gianni Riotta, bamboccioni, bamboccioni alla riscossa

Certo vivamo nel secolo del pensiero unico. E pure un po’ scarso. Ma il consenso bulgaro che ha incassato il discorso all’università del Cairo del neo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama fa un po’ impressione. Per carità: le sue sono state belle parole di pace. Una mano tesa al medioriente e al mondo arabo. Epperò lascia comunque stupefatti che i media italioti si siano lasciati andare a una standing ovation così collettiva. Quasi nessuno – tra opinionisti della blogosfera ed editorialisti dei giornali – si è permesso d’osservare che i propositi della amministrazione Obama saranno senz’altro buoni. Ma che tali – cioè solo buoni propositi – per ora rimangono. Così come per ora rimangono in piedi pure due guerre – in Iraq e Afghanistan – che hanno fatto centinaia di migliaia di vittime anche e soprattutto tra i civili. Morti che – da quando le famose armi di distruzione di massa sono scomparse come miraggi nel deserto iraqeno; e Bin Laden si è perso in qualche grotta afghana – attendono in gran parte un perchè. Tradotto e per parlare piatto piatto: uno straccio di giustificazione.

Per fortuna: a metterci una pezza ci ha pensato la penna e l’occhio fino di un cronista di razza: al secolo, Gianni Riotta. Che dopo aver mosso i primi passi da giornalista sotto le insegne del quotidiano “il Manifesto” – e dopo una carriera tutta in ascesa e culminata con la direzione del Tg1 – ora si trova a guidare, sempre dalla poltrona di direttore, la corazzata “Sole 24 ore”.

Da lì – qualche giorno fa e nell’indifferenza della pubblica opinione italiota – Riotta ha pensato bene di non limitarsi, come gli altri colleghi di Destra e Centro e Sinistra – ad andare in brodo di giuggiole per le parole “di svolta” del presidente Obama. Ma – già che c’era – ha lavorato sodo per sparare qualche cartuccia sui soliti “estremisti”. E per illuminare i suoi lettori sul  perchè di quel pantano afghano, in cui tra l’altro si trovano a sguazzare anche i nostri soldati.

Ha osservato, infatti, Riotta con tono particolarmente ispirato:

virgolette4I saggi presenti (al discorso di Obama al Cairo, NdA), come i milioni di musulmani in ascolto, dai caffè del Nobel Mahfouz, alle periferie di Parigi e Detroit, all’Indonesia dove il presidente è cresciuto, alle caverne di al-Qaida, hanno capito che l’America cambia. Non per l’elogio del Corano, non per l’infanzia di Obama sotto i minareti e neppure per l’affettuosa citazione del papà musulmano o del proprio nome completo, Barack Hussein Obama. Il segnale nitido viene dalle 6000 parole dell’appello: mai è citata «terrorism», la maledizione che dall’11 settembre 2001 strega America e Islam. Obama ha ricordato che il suo paese ha commesso errori, abbattere in Iran il governo legittimo di Mossadeq nel ‘53, ma ha chiamato tutti ad andare avanti, senza il mito dei complotti – cari alle chat arabe sulla «Cia che ha minato le Torri» e ai nostri siti estremisti sull’oleodotto fantasma di Kabul «sognato dalle multinazionali» – e senza odio.

Difficile dire come la penna e l’occhio fino di Riotta abbiano potuto penetrare fin nei cervelli dei “milioni di mussulmani” che hanno ascoltato il discorso del presidente Usa. Ma una cosa è certa. Secondo il direttore de “il Sole 24 ore”: petrolio, gas e oleodotti vari nulla hanno a che fare con la guerra in Afghanistan. Quelli sono sospetti da “estremisti”.

Bene. O meglio: bene per lui. Ma male per il quotidiano torinese “La Stampa”. Che in un lungo articolo – pubblicato poche settimane fa e firmato dal giornalista brasiliano e editorialista dell’Asia Times On Line, Pepe Escobaraveva scritto esattamente il contrario. Fin dal titolo: “Il gioco delle pipeline dietro la guerra a Kabul”.

Possibile? Altrocché. Scriveva infatti Escobar, e senza tanti giri di parole:

virgolette4Nel grande gioco, sempre mutevole, dell’Eurasia, una domanda fondamentale – perchè l’Afghanistan conta tanto? – negli Stati Uniti è semplicemente ignorata. Forse l’idea che l’energia e l’Afghanistan possano avere qualcosa in comune è “verboten”, proibita. Eppure, statene certi, nulla di significativo avviene nell’Eurasia senza una implicazione energetica.

Ovvero? Ovvero, spiegava Escobar:

virgolette4L’Afghanistan si trova all’incrocio di qualunque Via della Seta che colleghi il Caucaso con la Cina occidentale e quattro potenze nucleari (Cina, Russia, Pakistan, India) stanno in agguato nelle vicinanze. Perdere l’Afghanistan e la sua rete di basi militari Usa sarebbe, dal punto di vista del Pentagono, un disastro, anche perchè il Paese è molto più delle montagne dell’Hindu Kush e degli immensi deserti: si ritiene sia ricco di giacimenti inesplorati di gas naturale, petrolio, carbone, rame, cromo, talco, barite, zolfo, piombo, zinco e minerali di ferro, oltre a pietre preziose e semipreziose.

E il famoso “oleodotto fantasma”? E il famoso oleodotto – tanto caro, secondo Riotta, ai soliti “siti estremisti” nostrani – in effetti non esisterebbe proprio. Ci sarebbe, semmai, un gasdotto. Ma per nulla fantasma. Secondo l’analisi pubblicata da “La Stampa”, infatti:

Poi, ovviamente ci sono quei corridoi energetici che, se mai verranno costruiti, escluderanno o includeranno Iran e Russia. Nell’aprile 2008 Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e india hanno firmato un accordo per costruire un gasdotto da 7,6 miliardi di dollari – acronimo Tapi – che fornirà il gas dal Turmenistan a Pakistan e India senza coinvolgere Iran e Russia. Tapi taglierebbe il cuore dell’Afghanistan occidentale, a Herat, e punterebbe a Sud attraverso le popolissime province di Nimruz e Helmand, dove tra taleban, guerriglieri pashtun e rapinatori assortiti sii raggiunge un numero che supera di gran lunga le forze Usa e Nato. E dove – sorpresa! – gli Usa stanno costruendo, a Saht-e-Margo (”il deserto della morte”) una nuova megabase per le truppe di Obama. (…) Teoricamente la costruzione del Tapi inizierà nel 2010 e il gas comincerà a scorrere nel 2015.

Che dire? Roba da pazzi.  Che i soliti autori dei soliti siti estremisti – se l’hanno letta – avranno subito ricollegato alla decisione dell’amministrazione Obama – alla faccia dei propositi di pace – di spedire altri soldati in Afghanistan (21.000 uomini in più, secondo il New York Times). Tirando – va da sè – conclusioni errate.

Ma inutile dire che l’occhiuto e occhialuto Riotta avrà sicuramente ragione. E che questa storia di intrighi e gasdotti sarà un puro delirio. Solo: a questo punto ci permettiamo di dare un consiglio – ovviamente non richiesto – all’ex giovane giornalista del “Manifesto”, ora in forze a “il Sole 24 ore”. Bisogna segnalare alla Fiat – che è proprietaria de “La Stampa” – la presenza di un covo di estremisti nella redazione delle pagine dell’economia che ha ospitato questo pezzo di Escobar. Meritano – indubbiamente – una punizione esemplare. Per dire: almeno un anno a guidare una Fiat Duna – secondo il modesto parere di chi scrive – non glielo dovrebbe levare nessuno.

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