DI GIANLUCA FREDA
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Il mio articolo di ieri (vedi il precedente) ha sollevato alcune critiche, soprattutto nella parte riguardante la situazione postelettorale in Iran. Le critiche sono di tre tipi:
1) Ho affermato che Mousawi, lo sfidante di Ahmadinejad che ha perso con disonore le elezioni presidenziali, è un quisling americano; in realtà, mi fanno notare, egli è stato primo ministro per ben 8 anni ai tempi di Khomeini;
2) Ho affermato che i sostenitori di Mousawi, che stanno facendo di tutto per svendere il loro paese agli interessi israelo-americani, sono “quattro gatti”. In realtà sarebbero un sacco di gente (e vai con le foto delle folle oceaniche in via Azadi);
3) Ho affermato che i capi politici e religiosi dell’Iran – sempre che le rivalità reciproche in cui sono da tempo impelagati non prevalgano sull’interesse nazionale – dovrebbero stroncare senza pietà e con tutti i mezzi a disposizione le manifestazioni pro-Mousawi. Tale mia speranza renderebbe impossibile pensare ad Ahmadinejad e ai suoi sostenitori come ai profeti di un mondo migliore.
Riguardo la prima obiezione, confesso di averla girata e rigirata da ogni lato ma di non averla capita. E già, Mousawi è stato primo ministro per 8 anni sotto Khomeini. E quindi? In che modo ciò gli impedirebbe di essere un fantoccio manovrato da zampe USraeliane? Immagino che nella fervida fantasia di chi muove quest’obiezione un tale possa dirsi manovrato dagli Stati Uniti solo se ha la barba a pizzetto e la tuba a stelle e strisce come lo Zio Sam e solo se ingurgita cheeseburger a pranzo e cena. Anche se vive in una Repubblica Islamica e deve guadagnarsi il favore di folle islamiche. A chi muove quest’obiezione non posso che offrire la mia disponibilità a prestargli, quando lo desidera, la mia lunga scala da potatura che lo aiuti a scendere dal pero.
Riguardo l’obiezione numero due, devo effettivamente correggermi. I sostenitori di Mousawi non sono semplicemente “quattro gatti”: sono quattro gatti ben finanziati e istruiti da chi tenta di utilizzarli per garantirsi un maggior controllo sulla politica interna del paese, nonché ottimamente sostenuti e pubblicizzati dall’intera stampa filoamericana internazionale. Solo uno scemo potrebbe pensare che una manifestazione di protesta possa tenersi nel centro di Teheran, contro le disposizioni del governo, in una congiuntura così delicata, senza essere appropriatamente sostenuta, favorita e logisticamente diretta da un apparato di potere di qualche rilevanza. Per gestire una simile manifestazione occorre garantire che i trasporti funzionino, che le comunicazioni siano efficaci, che i leader dell’adunata siano ben protetti e ciascuno al proprio posto, che i poliziotti entro certi limiti lascino fare e che la stampa internazionale assicuri una copertura tale da scongiurare un’azione di forza opportunamente drastica. In questo senso Repubblica, giornale-maggiordomo dei nostri colonizzatori, ha svolto un lavoro eccellente, riferendo senza esitazione dei “milioni di persone” in piazza a Teheran (immagino non si tratti di dati della questura), delle terribili e antidemocratiche manganellate buscate dai facinorosi (come se ci si potesse difendere dall’ingerenza di potenze straniere nella politica nazionale con le orazioni francescane) e supportando senza esitazione la tesi dei brogli elettorali basandosi sulla pura parola d’onore di Mousawi. Chi crede che le manifestazioni di protesta di questo tipo sorgano “spontaneamente” dall’anima del popolo ha urgente bisogno di darsi una ripassata alla fenomenologia delle “rivoluzioni colorate” dell’est europeo. Anche la mia scala dai molti pioli potrebbe essergli utile.
Infine la terza obiezione: manganellare e prendere a calcioni nelle palle un branco di decerebrati traditori del proprio paese non contribuirebbe all’edificazione di un mondo di pace in cui il leone giaccia con l’agnello. Ora, io so poco di leoni e di agnelli e che trombino come ricci o si facciano reciprocamente a cotolette poco mi cale. Quello che so è che se si desidera un mondo non dico “migliore”, ma appena diverso dall’obbrobrio attuale, occorre una trasformazione degli assetti geopolitici presenti. Tali assetti geopolitici vedono Stati Uniti e Israele in posizione di netta e monolitica dominanza politico-strategica in molte zone del globo, particolarmente nella nostra. Vedono ogni paese che desideri una qualche autonomia (economica, politica, militare, energetica, industriale, perfino ideologica) dallo strapotere di questo moloch bifronte venire sistematicamente zittito e schiacciato con una prepotenza e una crudeltà senza eguali. So che solo in un mondo policentrico, in cui il potere USraeliano sia soltanto uno degli attori in gioco, sarà possibile trovare quel minimo di libertà di movimento che ci consenta di fare progetti di qualunque tipo, compresi quelli concernenti lo status relazionale di leoni e agnelli. Sperare che la bestia USraeliana rinunci a parte del proprio potere senza lottare equivale a essere suicidi, rimbecilliti o traditori. E i traditori – come sono appunto in Iran i sostenitori di Mousawi – vanno schiacciati, non solo per profilassi, ma anche per privare i dominanti della loro migliore e più efficace arma segreta: il rincoglionimento ideologico collettivo che riduce la ribellione ad agitazione scomposta e mediaticamente sostenuta di scimpanzè ammaestrati. Chi pensa che tutto ciò si possa ottenere con le bandiere della pace e i digiuni gandhiani si faccia pure avanti ad elencare i suoi successi.
Per capire ciò che sta succedendo a Teheran sarebbe sufficiente, ad un lettore appena smaliziato, ascoltare ciò che i padroni del mondo hanno da dire sugli avvenimenti in corso. La Casa Bianca ha appena espresso la sua "preoccupazione" sulla regolarità delle elezioni” (le irregolarità di casa loro sono evidentemente meno preoccupanti). E il dipartimento di Stato è "profondamente turbato" dalle notizie delle violenze seguite al voto. Il primo ministro inglese Gordon Brown ha detto che Teheran dovrà rispondere (a chi?) su “seri interrogativi” riguardo al voto. Anche un idiota capirebbe, a questo punto, per chi parteggiano questi marpioni. E si sa che nel loro modus operandi non esiste il parteggiare privo di sostegno finanziario e organizzativo.
Per rendere le cose ancora più chiare, vorrei infine citare un paio di brani tratti da questo articolo di Robert Fisk sull’Independent. Fisk è al di sopra di ogni sospetto di faziosità: detesta Ahmadinejad, inorridisce dinanzi alle repressioni poliziesche contro i sostenitori di Mousawi, apostrofa il rieletto presidente soprannominandolo “The Democrator”. Tuttavia, essendo pur sempre un giornalista (specie ormai rara) e non uno sguattero dell’ideologia imperiale, non può non far notare alcune evidenze. Cito e traduco dal suo articolo. Riguardo a Mousawi, Fisk scrive:
La vita, per il presidente Barack Obama, sarebbe molto più semplice se Mir Hossein Mousawi risultasse vincitore delle elezioni in Iran. L’uomo che fu primo ministro durante la guerra Iran-Iraq degli anni ’80 dice di mirare alla distensione con l’occidente, chiede a Mr. Obama di parlare insieme a lui alle Nazioni Unite ed ha avanzato l’idea di una commissione internazionale che sovrintenda alle procedure di arricchimento dell’uranio in Iran.
Chiaro a tutti? Mousawi vuole essere eletto per spostare l’asse dei rapporti internazionali dell’Iran, finora felicemente sbilanciato verso la Russia, a favore dei peggiori nemici del suo paese. Non è ancora stato eletto e già lecca i piedi a chi minaccia, un giorno sì e uno no, di intervenire militarmente per impedire il legittimo progresso scientifico e militare della nazione di cui aspira a diventare l’indegno presidente. Ma c’è molto di più. Fisk prosegue:
Egli [Mousawi] è a favore della liberalizzazione economica, sostiene il controllo dell’inflazione attraverso politiche monetarie e vuole rendere la vita più facile alle aziende private. Ha anche promesso di “modificare” l’immagine estremistica che l’Iran si è guadagnato all’estero sotto la presidenza di Ahmadinejad ed ha attaccato la spesa sregolata di petrodollari e denaro contante a favore dei poveri, la quale, egli afferma, ha provocato l’aumento dei prezzi al consumo. Ha anche perorato la rimozione del divieto imposto alle aziende private di possedere stazioni televisive.
Noi sudditi dell’Impero abbiamo già largamente sperimentato le gioie della liberalizzazione economica, delle politiche di controllo dell’inflazione, dei tagli al welfare, delle privatizzazioni e della svendita ai privati delle emittenti televisive. Chissà chi ha scritto questo originalissimo programma politico del candidato “moderato”?
Infine due parole sui tanto sbandierati “brogli elettorali”:
Faccio una pausa pranzo con un fedele e sincero amico della Repubblica Islamica, un uomo che conosco da molti anni, che ha rischiato la propria vita, che è stato in carcere per il suo paese e che non mi ha mai mentito. Abbiamo cenato in un ristorante che offre esclusivamente cucina iraniana, insieme a sua moglie. Egli è stato spesso critico verso il regime. E’ un uomo senza paura. Ma io devo ripetere ciò che mi ha detto: “I risultati delle elezioni sono corretti, Robert. Qualunque cosa tu abbia visto a Teheran, nelle altre città e in migliaia di paesi tutti hanno votato a stragrande maggioranza per Ahmadinejad. A Tabriz ha votato per Ahmadinejad l’80 per cento degli elettori. E’ stato lui che ha aperto in città i corsi universitari per la minoranza azera, affinché potessero laurearsi in lingua azera. A Mashad, la seconda città dell’Iran, si è determinata un’ampia maggioranza a favore di Ahmadinejad dopo che l’imam della grande moschea ha attaccato Rafsanjani del Consiglio d’Esame Rapido, il quale aveva iniziato ad allearsi con Mousawi. Essi hanno capito cosa significava: dovevano votare per Ahmadinejad”.
E direi che noi tutti possiamo capire che cosa significhi, nell’ambito della lotta interna per il potere, questa alleanza dell’ex presidente iraniano Rafsanjani, a suo tempo sconfitto proprio da Ahmadinejad, con un candidato dalle posizioni così marcatamente filoamericane. Lo capiamo benissimo. Qualcuno crede sul serio che gli iraniani siano più stupidi di noi?
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15.06.2009