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Simone Santini – da clarissa.it

censura-iranL’analisi del voto iraniano comparsa sul Washington Post (che è possibile leggere di seguito a questo commento) consente alcune importanti riflessioni. Eseguito da una società di sondaggi indipendente, americana, lo studio è stato finanziato dal Rockfeller Brothers Fund. L’agenzia ha certificato che, secondo le rilevazioni demoscopiche a tre settimane dal voto, il presidente Ahmadinejad avrebbe avuto un netto vantaggio sullo sfidante Moussavi, con un rapporto di 2 a 1, addirittura maggiore ai risultati elettorali reali.
Se questi dati fossero aderenti alla realtà, anche solo in linea di massima, significa che le attuali manifestazioni popolari anti-governative si basano su falsi presupposti, ovvero che il voto sia frutto di frodi macroscopiche (si calcola che circa 10 milioni di voti sarebbero dovuti sparire). Al contrario, la rielezione di Ahmadinejad sarebbe, volente o nolente, legittima.
Accanto a queste banali considerazioni di fatto, il dato politico che esce dalla lettura del quadro generale implica fortissime responsabilità di tutto lo scenario istituzionale che sta sprofondando lo stato iraniano nel baratro.
Lo sfidante Mir Hussein Moussavi ha agito in modo del tutto irresponsabile ed avventurista. Ammesso che creda in buona fede che la sua sconfitta derivi da brogli, le improvvide affermazioni durante la notte del voto in cui dichiarava di essere il vincitore con oltre il 60% dei suffragi, il suo appello alla popolazione a resistere contro il pericolo di "tirannia", l’aver chiamato a raccolta i suoi sostenitori in una manifestazione di piazza oceanica, non ha fatto altro che creare i presupposti per un clima da scontro civile e offrendo soprattutto il destro (come ovviamente accaduto) a provocazioni e contro provocazioni di chi mira a far divampare l’incendio. Ora il rischio che le tensioni si avvitino e rincorrano senza più nessun controllo appare tangibile.
Il presidente Ahmadinejad ha dimostrato incapacità nel cogliere i nessi profondi della posta in gioco. Invece di minimizzare le proteste avrebbe dovuto prontamente spiazzare il nemico spuntandone le armi, forte, se i dati sono veri, dell’ampio consenso popolare di cui gode. Senza indugio avrebbe potuto lui stesso chiedere un nuovo conteggio dei voti, se non addirittura sfidare ad un ballottaggio il contendente.
Allo stesso modo la Guida spirituale Khamenei sembra aver assistito in maniera insipiente a quanto stava avvenendo sotto i suoi occhi. Dichiarazioni di prammatica, minimizzazioni, vuoti appelli alla calma ed alla legalità che di certo non hanno contribuito a stemperare le tensioni.
Il risultato è che tutti sembrano aver interpretato, finora magistralmente, un ruolo. Sullo sfondo il popolo iraniano, anche esso, ci pare, utile strumento nella mani di un oscuro regista. A noi sembra che gli unici a poter trarre un vantaggio strategico da questa drammatica situazione siano i nemici geopolitici dell’Iran che stanno utilizzando per i loro scopi gruppi di potere dentro il regime, sia tra i riformisti che tra i falchi.
In questo momento non ci sembra possibile che la rivolta popolare possa sfociare in un "regime change". Molto più probabile l’obiettivo di ottenere una dura repressione delle manifestazioni che porterebbe ad una unanime condanna internazionale, a stringere l’Iran ancor più nell’isolamento esterno e nella destabilizzazione interna. Terreno fertile per molte altre manovre a venire.
Il timore evidente è che il popolo iraniano venga ancora una volta ingannato, tradito e oppresso, per impedirne la missione spirituale nel mondo. Ingannato, tradito e oppresso come nei quasi trenta anni di occidentalizzazione forzata ad opera dello Shah, dopo il colpo di stato che nel ’53 stroncò un governo nazional-popolare; ingannato, tradito e oppresso in questi venti anni di teocrazia che nacque deviando la rivoluzione del ’79, ancora una volta un ampio movimento nazional-popolare e laico (il primo presidente dell’Iran post-rivoluzione fu il socialista Bani Sadr col 75% dei voti), complice lo stato di guerra determinato dall’invasione da parte dell’Iraq di Saddam Hussein e il conflitto che durò otto anni. E in quegli anni, sotto la guida suprema dell’Ayatollah Khomeini, presidente era Alì Khamenei e primo ministro Mir Hossein Moussavi, due dei protagonisti di questi giorni terribili.
Quale altro inganno, tradimento e oppressione si sta preparando per il popolo iraniano? Chi sta agendo lo fa su larga scala ed in modo criminale e spregiudicato, dal Mediterraneo all’Asia centrale passando attraverso Libano, Palestina, Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan, un arco di crisi lungo migliaia di chilometri pronto a scoppiare ed incendiarsi in uno qualsiasi dei suoi punti; oppure tenuto semplicemente a bruciare sotto la cenere, in un amplissimo progetto di destabilizzazione e "libanizzazione" di tutto intero il Medio Oriente.
Chi ci guadagna? Chi sta tradendo la voce dell’Iran?