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Massimo Mazzucco

In questo momento in America un milione e 600.000 persone stanno fremendo, pregando e implorando per essere fra gli 8.750 nomi estratti che potranno assistere personalmente alla cerimonia pubblica in ricordo di Michael Jackson, che avrà luogo martedì (domani) a Los Angeles.
Tanti sono infatti coloro che si sono iscritti a questa impensabile “lotteria funebre”, sperando di poter raccontare un giorno ai propri nipoti che “quando fu sepolto Michael Jackson io c’ero”.
Ma tutti coloro che non saranno estratti potranno seguire comunque la diretta mondiale in TV, e persino chi non ha la TV potrà vedere la stessa trasmissione attraverso le dozzine di “streams” che si stanno organizzando freneticamente in tutta la rete.
Il record assoluto di audience per un evento televisivo fino ad oggi è detenuto dalla trasmissione dei funerali di Diana, nel 1997, dove pare che sia stata raggiunta la cifra di due miliardi di spettatori. Ma grazie al contributo di Internet, molti prevedono che quel record domani sarà addirittura sorpassato.
Da sei giorni in America le televisioni non parlano d’altro. Non c’è divo, aspirante divo o personalità di qualunque livello che non abbia voluto esternare in TV il suo personale dolore per la morte di Jackson, che non abbia voluto esprimere la sua personale opinione sul suo stile musicale, che non abbia voluto raccontare il modo “unico e irripetibile” in cui si svolse il suo primo (e probabilmente unico) incontro con Michael Jackson.
A questo si aggiunga la pletora interminabile di medici, paramedici e veterinari, …
… che fanno la fila negli studi televisivi per dirci quale sia stato, secondo loro, il farmaco micidiale che avrebbe stroncato l’esistenza di Jackson.
Il circo equestre è completato da un numero apparentemente indeterminabile di fratelli, sorelle, madri, padri, zii nonni e cugini di Jackson, che sembra quasi aver vissuto, nello stesso periodo di tempo, almeno quattro volte in quattro famiglie diverse.
In particolare, uno dei fratelli di Jackson sta praticamente piangendo in diretta TV da tre giorni consecutivi. (Lo ha intervistato, piangente, Larry King venerdì scorso, dopodichè la CNN ha replicato la trasmissione sia sabato che domenica). Altre sorelle si vantano di “essere state loro” a dire a Jackson che cosa doveva fare per sfondare.
Devono averglielo detto così chiaramente che lui ha deciso, fra le altre cose, che doveva assolutamente diventare bianco.
In tutto questo, il figlio di Marlon Brando – sì, esiste anche un figlio di Marlon Brando, quando può venire utile – ci fa visitare quella parte della enorme villa di Jackson dove loro hanno stretto la più tenace amicizia.
Ovviamente, ciascuno parla solamente di se stesso, e Jackson non è altro che una scusa più appetibile di altre per farlo in diretta TV. Parimenti, tutta questa follia idolatra non ci parla affatto di Michael Jackson, ma di una nazione che sembra essere improvvisamente tornata indietro di trent’anni, quando si abbandonò a deliri molto simili in seguito alla morte di Elvis Presley, avvenuta nel 1977.
Graceland ieri, Neverland oggi. Il sogno impossibile del suburbano che diventa metropolitano, nella Memphis degli anni ’50, il sogno impossibile del negro che diventa bianco, nel villaggio globale del terzo millennio.
Nessuno, in tutto questo, spende mezza parola sulla persona che, in tutta probabilità, doveva esistere dietro al personaggio di Michael Jackson. Nessuno si domanda perchè mai una pop-star di quel livello si fosse ridotta ad una caricatura umana, devastata dalle plastiche facciali, perennemente nascosta dietro ad occhiali più grandi di lui, e imbottita di medicinali dalla testa ai piedi. Una persona circondata da un tale vuoto che nel momento della crisi cardiaca chi l’ha soccorso non riusciva nemmeno a trovare un telefono per chiamare un’ambulanza.
Una persona talmente "amata" che ha dovuto lascire i figli alla sua migliore amica.
Nessuno si chiede perchè mai un talento naturale innegabile – quello di Jackson in gioventù – si sia ridotto ad un ibrido artistico irriconoscibile, una specie di Mick Jagger con la voce da bambino, un burattino senz’anima che si muove meccanicamente su uno sfondo di effetti speciali permanenti, fingendo nel frattempo di inventare “mosse” che esistevano già prima che lui nascesse.
Ma nulla di tutto questo sembra interessare. E’ molto meglio narrare la superficie di Jackson, restando prudentemente in superficie, piuttosto che rischiare di scatenare nel pubblico un solo pensiero reale.
A questo punto non ci resta che aspettare Mandrake, che di colpo farà resuscitare Michael Jackson per il delirio delle folle, e scomparirà insieme a lui all’orizzonte in compagnia di John Wayne, di Zorro, e di Pippo, Pluto e Paperino.
Solo così potrà aver fine il più terrificante incubo di kitsch mediatico mai vissuto fino ad oggi.

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