DI
CARLO BERTANI
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Ho da tempo affermato che non guardo più la televisione, ed è vero. Trovandomi, però, in vacanza in un luogo dove non giunge nemmeno il segnale per le comuni “chiavette” a banda (pressappoco) larga, ho dovuto “nutrirmi” delle verità delle due mamme, RAI e Mediaset.
La prima curiosità che mi ha assalito, è che stavo ricevendo notizie sul G8 organizzato da Silvio Berlusconi dalle emittenti di proprietà di Silvio Berlusconi, oppure controllate da Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio, dove si citavano giornali di proprietà della famiglia Berlusconi.
Prima domanda: è ancora l’Italia o siamo diventati il Bananaland?
La seconda, più che una domanda, è l’approfondimento di un’omissione che viene data per scontata: il presidente cinese Hu-Jin-Tao è dovuto tornare in Cina per la rivolta dei turcomanni del Xinjiang.
Le comunità islamiche turcomanne sono dislocate – almeno dal XV secolo – lungo la via “alta” della Seta, ossia nel percorso che giunge in Cina passando per gli odierni Iran ed Afghanistan, Persia e Carmania di un tempo: 50.000 turcomanni abitano tuttora a Kirkuk, nel cosiddetto “Kurdistan iracheno”.
Guarda, guarda…proprio nell’occasione del G8, alcune migliaia (o decine di, centinaia di, poco importa) – visto che stiamo parlando di una nazione di oltre 2 miliardi di persone – si ribellano al governo di Pechino e giungono allo scontro. La battaglia dura un solo giorno poiché, quello seguente, già va in scena la vendetta dell’etnia dominante, quella han, e tutto sembra seguire il solito copione cinese già osservato per la questione tibetana oppure per le rivolte sindacali. Ma, ecco la novità: il presidente cinese Hu-Jin-Tao ritorna precipitosamente in Cina, secondo le Berluscomanie nazionali, per “riprendere in mano la situazione”. Come se la Cina fosse paragonabile a qualche dimenticata Repubblica delle Banane dove, quando il Presidente è all’estero, ne approfittano per portargli via l’argenteria. Ora, pur sorvolando che la rivolta ha avuto luogo in una dimenticata città di confine cinese, che sarebbe bastata una misera brigata motorizzata per domarla (come sta avvenendo), viene da chiedersi chi siano stati i fomentatori della rivolta, in pieno stile complottista.
L’ipotesi A racconta che, gli Amerikani Kattivi, abbiano trovato uno Yuschenko turcomanno “arancione” e gli abbiano fornito una montagna di soldi per fomentare i disordini: a quel punto, un nonnetto rinfanciullito napoletano – di professione Presidente della Repubblica italiana – scambiava i fatti d’Ungheria del 1956 con lo Xinjang del 2009, e si permetteva di rammentare a Hu-Jin-Tao l’annosa questione dei diritti umani.
Hu-Jin-Tao lo squadrava di traverso poi, impaurito dalla minaccia (!) turcomanna, riprendeva la via della Cina con la coda fra le gambe e – fatto tesoro delle raccomandazioni italiane (!) – decretava migliaia di condanne a morte. Cosa che, senza il Presidente in cattedra sulla Piazza Tien an Men, non si può ovviamente fare (!).
L’ipotesi B è che le impostazioni definite dalle cancellerie occidentali per le questioni più spinose – controllo delle emissioni di gas nocivi, riduzione della temperatura del Globo, ecc – non fossero poi così gradite a Pechino. Nota: alla nazione che s’avvia, nei prossimi decenni, a diventare la prima economia del Pianeta.
Nella seconda ipotesi, una rivolta in una città di confine viene rintuzzata, fino a diventare un caso mondiale proprio per volontà cinese: a quel punto, Hu-Jin-Tao ha la scusa per tornarsene in Patria e lasciare quel vertice dal quale non poteva portare a casa nulla di buono.
Qualcuno dirà che, a L’Aquila, è rimasta la delegazione cinese: chi conosce almeno un poco il “palazzo” cinese e la sua storia, potrà facilmente comprendere quanto siano importanti i funzionari cinesi rimasti.
Difatti, fra i tanti successi strombazzati dalle Berluscomanie nostrane, c’è l’accordo sul clima e sulle emissioni gassose: peccato che non è stato accolto né dalla Cina e né dall’India, ovvero dalle nazioni che sono il vero apparato industriale del Pianeta.
Non vorrei, con queste poche righe, affrontare i problemi della questione turcomanna (che risale, come tante altre, all’eredità dell’Impero Ottomano) né trattare la questione del clima, che richiederebbe un saggio, altro che un semplice post, manco un articolo.
Desidero solo sottolineare che, quanto esposto dai media nazionali ed internazionali, non può corrispondere a verità, poiché nell’ipotesi A – l’unica propalata ai quattro venti (senza, ovviamente, approfondire il “come mai” i turcomanni s’erano sollevati) – un cenacolo di vecchie ed azzimate vecchiette indebitate, più una Russia sorniona, non era in grado d’imporre alla Cina proprio niente. Tanto meno un giovane avvocato dell’Illinois, il quale sa benissimo in quali mani è il debito estero americano, ovvero a Pechino e, in minor misura, a Mosca.
L’unico spettacolo al quale abbiamo assistito è stato, dunque, quello delle abbuffate di ravioli, delle degustazioni di vini abruzzesi, delle visite alle gelaterie romane da parte delle mogli con figli al seguito.
Nessuno, s’è accorto che la Cina ha lasciato il vertice con una scusa, a dir poco, puerile.
Domanda: se era un vertice internazionale, dov’è finita la politica estera?
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9-07-2009