Una foto di famiglia. Che sa di antico. La rivista americana Fortune, come ogni anno, è tornato a stilare la sua classifica delle 500 aziende top al mondo. Dirà qualcuno di voi: embè, l’avete già detto. Vero. Ma quella classifica – ignorata dai soliti giornali e tiggì italioti -ha molto da dire. Sul mondo in cui viviamo (dominato, economicamente parlando, dalle grandi compagnie petrolifere). E anche sul nostro (ormai ex) Belpaese. Che nella classifica – per carità – ha un posto di un certo rilievo. Grazie ai soli due grandi imprenditori che ha. Lo Stato. E la famiglia.
I numeri messi in fila da “Fortune”, del resto, parlano chiaro:
(Tabella tratta dall’edizione cartacea de “Il Sole 24 ore”, 9 luglio 2009)
Al netto di banche e assicurazioni (Unicredit; Intesa e Generali), quindi, tra le prime dieci grandi aziende italiane troviamo il meglio – se così si può dire – del capitalismo famigliare italiano. Fiat, che ancora oggi fa capo alla famiglia Agnelli. E Premafin, che non è altro che una holding finanziaria che ha una partecipazione pesante, tra l’altro, nelle assicurazioni Fondiaria-Sai. E che fa capo alla famiglia (di costruttori) Ligresti. Dopodiche, finita lì. A parte al privatizzata (e ormai sgangherata) Telecom, ci sono solo aziende a partecipazione statale, come negli anni Ottanta. Ovvero: Eni (reginetta del petrolio e azienda numero 17 al mondo); Enel; Poste italiane e la meno nota ai più Finmeccanica (quella degli elicotteri Agusta, azienda aerospaziale che al 30 e rotto per cento è in mano al ministero del Tesoro). Quattro aziende (a partecipazione statale) che da sole hanno 480mila e passa dipendenti.
Molto ci sarebbe da dire sugli intrecci che – come in una ragnatela – in realtà legano queste società. A partire dal fatto – per esempio – che la famiglia Ligresti ha sì una partecipazione in Fondiaria Sai, attraverso Premafin. Ma è anche socia di Mediobanca (di cui è socia anche Unicredit) che ha una quota di Generali. Mentre – per coincidenza e come ricordava un paio di settimane fa anche “Repubblica” – nel consiglio di amministrazione di Premafin siede La Russa Geronimo, figlio del ministro della Difesa Ignazio. E nel cda di Fondiaria Sai, c’è anche il fratello di Geronimo, La Russa Vincenzo, sempre figlio (ma maggiore d’età) del suddetto ministro.
Ma per dipingere il tutto bastano appunto – in fin dei conti – due parole. Anzi, tre. Stato, dunque partiti; e famiglia. Anzi, famiglie. Quelle dei soliti noti. E un’unica considerazione: forse la crisi economica avrà dato un duro colpo al (cosiddetto) libero mercato. Ma quel modello di libero mercato – coi suoi difetti e coi suoi pregi – da noi, non era mai arrivato.