di
Israel Shamir
Titolo originale: Il ritorno dei ladri di cadaveri
traduzione di Gianluca Freda
dal sito www.israelshamir.net
Nel film d’azione turco “La valle dei lupi” un medico ebreo-americano nella prigione di Abu Ghraib estrae delicatamente un rene da un prigioniero arabo vivo e sofferente e lo depone in un pacchetto speciale con l’etichetta “per Tel Aviv”, rafforzando in questo modo l’eterno legame di amicizia tra Stati Uniti e Israele. La vita reale imita il cinema, come abbiamo potuto apprendere dalla terribile storia dei giovani palestinesi rapiti dall’esercito più morale del mondo, quello di Israele, per estrarre i loro organi interni, secondo quanto pubblicato da uno dei più importanti giornali svedesi [vedi traduzione dell’articolo qui sotto].
Donald Boström, fotografo svedese che nel 1992 aveva lavorato nella West Bank, ha ricevuto da un funzionario delle Nazioni Unite una soffiata con cui lo si invitava a seguire la scia di sangue di certi soldati israeliani, che avevano rapito alcuni giovani palestinesi per poi restituire, cinque giorni dopo, i loro cadaveri “con una cicatrice da taglio che andava dall’addome fino al mento”. Le loro famiglie di Gaza e della West Bank pensano di sapere con esattezza che cosa è successo: “I nostri figli sono stati usati come donatori d’organi non volontari; sono scomparsi per alcuni giorni solo per essere restituiti, nel cuore della notte, morti e con i segni dell’autopsia. Perché hanno trattenuto per cinque giorni i loro corpi, prima di permetterci di seppellirli? Che è successo ai loro corpi in questo intervallo? Perché conducono autopsie contro la nostra volontà, quando la causa della morte è ovvia? Perché restituiscono i loro cadaveri durante la notte? Perché lo fanno con la scorta militare? Perché tutta la zona è stata isolata durante i funerali? Perché è stata interrotta l’energia elettrica?”
Queste domande continuavano a perseguitare Boström. Egli ha così scattato alcune terribili fotografie dei cadaveri restituiti. Come Vanunu, è riuscito a portare le sue riprese all’estero. Di ritorno in Svezia, ha offerto la sua storia al Dagens Nyheter, un giornale liberale che, incidentalmente, è di proprietà della famiglia ebrea Bonnier. DN ha rifiutato la pubblicazione. La storia è così rimasta nascosta finché un giornale socialdemocratico, l’Aftonbladet, ha deciso di concederle spazio.
La reazione degli israeliani è stata isterica. Il paese rischia di farsi esplodere le budella dalla rabbia. Sulle autorità svedesi sono state esercitate forti pressioni per ottenere una condanna del giornale, una punizione dell’autore dell’offesa e un’implorazione di perdono. L’ambasciatore svedese a Tel Aviv, membro della ricca e influente famiglia ebraica dei Bonnier che incidentalmente possiede la maggior parte dei giornali, delle reti Tv e dei cinema svedesi, ha espresso il suo “sconcerto e disapprovazione” su un apposito sito web. Ma la sua pronta accettazione del diktat di Tel Aviv è andata a vuoto. Il governo svedese ha sconfessato la sua interferenza con la libertà di stampa del paese; gli editori dell’Aftonbladet hanno insistito sul proprio diritto di dire ciò che ritengono opportuno e hanno richiesto un’indagine internazionale.
Carl Bildt, ministro degli esteri svedese, è rimasto turbato dal proposito israeliano di cancellare le visite programmate e ha già scritto in un blog che “articoli come questo possono provocare antisemitismo e l’istigazione è contro le leggi svedesi”. Tuttavia le sue lagne sono state minori di quanto Netanyahu e Lieberman avessero richiesto, mentre l’indomito responsabile culturale di Aftonbladet, Åsa Linderborg, vero eroe di questo dramma, ha inviato due suoi corrispondenti sulla scena del delitto. Costoro hanno confermato le scoperte di Boström. Impreparata a tanta risolutezza, la rabbia e l’isteria di Tel Aviv si è rapidamente placata, trovandosi davanti il fronte compatto dell’opinione pubblica svedese.
Esprimere “sdegno per le solite vecchie panzane” è più facile che rispondere alle domande poste da Boström. I fatti sono orribili e le accuse non sono nuove. Esistono troppi rapporti di avvenimenti similari, al di là di quelli riportati dall’Aftonbladet. I membri della Knesset Ahmed Tibi e Hashem Mahmid avevano già accusato l’istituto di medicina forense Abu Kabir di prelevare organi interni dai cadaveri dei palestinesi. Avevano affermato che alcuni medici palestinesi si erano lamentati per aver ricevuto i cadaveri dei loro morti privi di organi. I giornali israeliani avevano riferito che nel 2007 tre teenager palestinesi erano stati uccisi vicino a Khan Younes, nella striscia di Gaza, e i loro corpi erano stati restituiti ai genitori sei giorni dopo pieni di tagli e di lividi. Spesso Israele non restituisce neppure i cadaveri dei palestinesi alle loro famiglie ma li fa seppellire in un cimitero segreto. Questo genera ulteriori sospetti.
Peggio ancora, tutto sembra far parte di un progetto più vasto.
In ogni parte del mondo, Israele e gli israeliani sono coinvolti nel traffico di carne umana, questa moderna forma di cannibalismo. Oltre al caso del cartello del New Jersey, citato nell’articolo di Boström, ce ne sono molti altri.
- – Turchia: un professore israeliano, Zaki Shapira, è stato arrestato dalle autorità turche perché sospettato di aver estratto parti di ricambio a cittadini turchi vivi, come riportato dal Jerusalem Post, giornale notoriamente antisemita.
- – Sudafrica: un altro giornale antisemita, il New York Times, ha riferito di un’organizzazione israeliana dedita al traffico d’organi operante fra Sudafrica e Brasile.
- – Brasile: un ufficiale israeliano, Gedalya Tauber, è stato arrestato per aver convinto alcuni disperati a separarsi da parti del proprio corpo. Ha pure vuotato il sacco sulle attività di questo tipo gestite dai suoi connazionali.
- – Ucraina: Il Jerusalem Post ha riferito dell’arresto di “un cartello dedito al traffico d’organi illegale” che offriva viaggi aerei in Ucraina a donatori e destinatari.
Nella maggior parte dei casi, medici, trafficanti, spacciatori e destinatari degli organi erano tutti israeliani, poiché lo stato ebraico è l’unico paese del mondo in cui il trapianto di organi ottenuti illegalmente sia finanziato dallo Stato, con medici regolarmente assunti per eseguirlo, secondo quanto riportato da Ha’aretz. Il passo successivo era l’evoluzione delle reti internazionali dedite a questo tipo di commercio. Gli ebrei si trovano in ottima posizione per dedicarsi a questo sordido business: esistono moltissimi medici israeliani, molti legami fra le comunità ebraiche nei diversi paesi e le inibizioni morali sono assai scarse.
Questa assenza di inibizioni morali ha spinto un noto rabbino della Chabad, Yitzhak Ginzburgh, a concedere agli ebrei il beneplacito religioso a sottrarre il fegato ad un goy anche senza il suo consenso. Egli ha affermato che “un ebreo ha diritto di estrarre il fegato da un goy se ne ha necessità, perché la vita di un ebreo ha più valore di quella di un goy, così come la vita di un goy ha più valore di quella di un animale”.
Gli israeliani di oggi hanno dimenticato la loro fede, ma hanno conservato questa mancanza di inibizioni. Un giornale d’affari israeliano, The Marker, ha pubblicato l’opinione di un avvocato israeliano che giustificava il traffico d’organi poiché “gli organi non sono che beni, dunque possono essere venduti e acquistati come qualunque altro bene sul mercato”.
La distanza tra acquistare un rene e sottrarlo non è poi molta: se “gli organi non sono che beni”, è sicuramente ammissibile sottrarli ai palestinesi, così come è “ammesso” espropriarli degli ulivi secolari durante la costruzione del Muro.
Indignarsi è facile, ma non è altrettanto facile dimostrare che gli israeliani, i quali non esitano a spezzare braccia e gambe agli scolari palestinesi e a bombardarli col napalm, siano in grado di trattenersi dal fare profitti con gli organi interni dei palestinesi. La richiesta di un’indagine internazionale avanzata dall’Aftonbladet è ragionevole: se gli israeliani non hanno fatto nulla di male (a parte massacrare centinaia di persone) non hanno nulla da temere da un’inchiesta. Ma Israele aveva già rifiutato alla commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite di visitare Jenin dopo il massacro del 2002 e Gaza dopo il massacro del 2009.
Per Israele il lato più irritante di questa faccenda è la breccia che si è aperta nel muro. Non parlo del mostruoso Muro di Sharon, che protegge il più grande ghetto ebraico del Medio Oriente, ma del muro dei media da cui è protetto oltreoceano. Gli ebrei si sono comprati i media di ogni parte del mondo non certo per divertirsi, e nemmeno per profitto, ma per l’influenza che essi esercitano sulle menti. E’ il caso della Svezia, dove i membri dell’esigua comunità ebraica possiedono giornali, riviste, case editrici e perfino la Hollywood svedese, la Svensk Filmindustri AB. Questi media promuovono attivamente le politiche neoliberali di privatizzazione, mercificazione, flusso migratorio, smantellamento del welfare: in sostanza, politiche che sono vantaggiose per i ricchi ebrei.
I rappresentanti di Israele si fanno in quattro per tenere sotto controllo le notizie provenienti dal Medio Oriente. Qualche anno fa, la rivista della sinistra radicale Ordfront pubblicò un ponderato articolo di Johannes Wahlström, Il regime israeliano controlla i media svedesi, in cui si parlava dei legami di Israele con la stampa svedese, di funzionari israeliani che si recano dagli editori e dai corrispondenti dei giornali svedesi. In quello stesso articolo Donald Boström accennava alla terribile storia che avrebbe voluto raccontare, ma che non riusciva a penetrare il muro della censura filoisraeliana dei media svedesi.
Israele non è il solo paese sospettato di tali nefande attività. Carla Del Ponte, procuratore capo del Tribunale dell’Aia per i crimini nei Balcani, scrisse nel 2008 nel suo libro La caccia: io e i criminali di guerra che sotto l’egida dell’Esercito di Liberazione del Kosovo, alleato della NATO e degli USA, centinaia di giovani prigionieri serbi erano stati trasportati in camion dal Kosovo verso il nord dell’Albania, dove avevano subìto l’espianto degli organi. Alcuni prigionieri erano
stati ricuciti dopo l’asportazione dei reni, fino al momento in cui erano stati uccisi per prelevare altri organi vitali. Carla Del Ponte aveva visto i locali in cui venivano eseguiti questi espianti chirurgici e aveva incontrato alcune delle persone coinvolte, una delle quali aveva “eseguito personalmente una consegna di organi” all’aeroporto albanese per la spedizione all’estero.
Tuttavia le accuse di Carla Del Ponte contro gli albanesi non avevano provocato tanto baccano, nessuno l’aveva accusata di essere “antialbanese”, né a lei sarebbe importato granché se qualcuno lo avesse fatto, poiché è perfettamente legittimo essere anti-chi-si-vuole, purché non si sia anti-ebrei. Gli ebrei possiedono l’arma poderosa dell’etichetta di “antisemitismo”. O forse no?
E’ possibile che lo spauracchio dell’antisemitismo, così utile a Israele, non funzioni più come una volta? Sì, è possibile. Il discorso di Obama al Cairo apparentemente non ha avuto conseguenze immediate; Obama ha cercato di fare pressione su Israele affinché congelasse gli insediamenti, ma invano. Ha fallito? E’ troppo presto per giudicare, come avrebbe detto Zhou Enlai. Simili cambiamenti raramente si verificano con un tocco di bacchetta magica… invece richiedono tempo. Le recenti pubblicazioni sulla gang di ebrei criminali del New Jersey, gli attacchi alla Goldman Sachs, le medaglie a Mary Robinson e Desmond Tutu, il premio conferito a Felicia Langer, il collasso in Francia del partito socialista filoebraico e l’apparizione di un partito antisionista, l’articolo di Boström sull’Aftonbladet, sono tutti piccoli avvenimenti separati, ma messi insieme danno la sensazione che vi sia un cambiamento in arrivo. Svedesi, francesi, tedeschi e perfino i cittadini del New Jersey non hanno più paura che Washington gli arrivi addosso come un siluro in difesa dei sionisti, come sarebbe avvenuto nei giorni di George W. Bush. Obama ha anche rifiutato di nominare un nuovo commissario contro l’antisemitismo.
Questo pensiero spaventa il governo di Tel Aviv più di ogni altra cosa. Se oggi permettono agli svedesi di farla franca, domani arriverà qualcun altro, e allora la paura degli ebrei verrà consegnata alla categoria delle paure umane senza fondamento, come la paura dei topi.
Secondo finale
Cosa più importante, lo sdegno di Israele è la prova che – nonostante l’approvazione dei Cabbalisti radicali e dei neoliberisti – l’espianto di organi umani è una cosa mostruosa e immorale, troppo vicina al cannibalismo, e noi tutti lo sappiamo bene. Sì, è spaventoso che i soldati israeliani strappino reni ai palestinesi per poi ucciderli subito dopo. Ma sarebbe altrettanto spaventoso se un gentile dottore espiantasse un rene a un meccanico di Detroit la cui casa sia stata confiscata da un educato banchiere, o ad un operaio ucraino licenziato da un distinto oligarca, o a un contadino indiano che deve pagare il suo debito con la Monsanto. Ogni povero del pianeta è un potenziale palestinese, anche se i mezzi per eseguire l’esproprio possono variare. Una cosa del genere va fermata. Il corpo umano è sacro. Simili operazioni sono troppo costose e non sono giustificabili. Il genere umano deve vincere la sua paura della morte. Viviamo e moriamo. Non c’è ragione di sprecare migliaia di dollari per prolungarsi la vita attraverso costose operazioni se questo denaro può essere utilizzato per sfamare gli affamati. Ma di questo parlerò più ampiamente in futuro…