Certo che sembra ieri. Sembra ieri che l’Italia aveva un primo ministro sotto processo. Che il suo governo – per metterci una pezza – preparava una raffica di leggi e leggine ad hoc. Mentre l’opposizione, tra un litigio e una proposta di referendum, pareva divisa, e indecisa sul daffarsi. E intanto l’economia – pericolosamente – arrancava.
E invece? E invece era giugno. Ma del 2003. In quei giorni, il premier era un noto e ricchissimo imprenditore milanese, Silvio Berlusconi. Che guidava un partito chiamato Forza Italia. Aveva casa (anzi, vilone) ad Arcore. Pochi capelli. E un mucchio di guai. Alcuni di governo (Il Paese era in piena crescita sottozero). E altri giudiziari (in particolare un “processuccio” per la cosidetta vicenda “Sme”, con relative accuse di aver corrotto giudici in quel di Roma). Guai che però non gli avevano fatto perdere la verve. E la voglia di difendersi attaccando. E non solo a parole. Ma facendo approvare, tra l’altro, un “lodo” – battezzato “lodo Schifani” (dal nome di un allora pressocchè ignoto parlamentare) – che avrebbe dovuto sospendere i processi delle cinque più alte cariche dello Stato. Premier, ça va sans dire, compreso. E l’opposizione? Alcuni – anzi, uno in particolare, l’ex pm di Mani pulite, Antonio Di Pietro – aveva subbissato di critiche l’immobilismo dei colleghi di centrosinistra (l’allora Ulivo). E cominciato, da subito, a raccogliere le firme per cancellare – a colpi di referendum – questo “lodo”. E con il lodo, “l’immunità”.
Eppure.
Eppure sembra proprio ieri. Sembra ieri che l’Italia aveva un primo ministro sotto processo. Che l’economia, tanto per cambiare, arrancava. E uno dei principali quotidiani del Belpaese – “La Repubblica” – sceglieva di mettere in prima pagina un titolo, come dire?, un po’ criptico: “Lodo incostituzionale viola l’uguaglianza dei cittadini”.
Però, no: non era ieri. Era gennaio. Ma Del 2004. In quei giorni il premier dell’ex Belpaese era sempre il solito imprenditore milanese. Che – ovviamente – aveva ancora la solita casa (anzi villone) ad Arcore; i pochi capelli; e il solito mucchio di guai. Ma continuava a difendersi. Chiaramente, attaccando. Il lodo stoppa-processi, infatti, gli era stato stoppato dalla Corte costituzionale. Che l’aveva giudicato – per l’appunto – un po’ poco costituzionale. Ma l’imprenditore-premier non si era perso d’animo. I suoi avevano criticato la decisione della Corte, bollandola come “sentenza politica”. Lui in persona aveva minacciato di sciogliere il governo e andare ad elezioni anticipate. Mentre l’opposizione rimaneva divisa. E intanto le firme (inutili) per il referendum che non si sarebbe mai fatto – per la gioia di militanti e militonti che ne avevano raccolte a centinaia di migliaia – finivano nel bidone. E il processo, come gli altri guai del premier e del Belpaese, ricominciavano – per così dire – daccapo. E come prima.
Ma in effetti: questo copione sembra andato in scena proprio ieri. E non per caso. L’Italia, infatti, ha ancora un premier sotto processo. La sua economia ancora stenta (anzi ora, causa la crisi economica peggiore dal Dopoguerra, è proprio in caduta libera). E ieri la solita “Repubblica” ha scelto per la sua edizione on line un altro titolo – come dire? – dal sapore “lodoso” e pure un po’ tecnico. Ma, a questo punto, non più insolito: “La Consulta: Lodo Alfano illegittimo. Berlusconi: Vado Avanti”. E quindi? E quindi, aridanghete. Altro lodo. E altro giro di valzer.
Perchè, sì, in questi giorni il premier è sempre il solito vecchio cumenda milanese. Che mo’ guida un partito che si chiama Pdl. Che ha ancora la solita casa (anzi villone) ad Arcore. Che – stranamente – sembra avere più capelli. E che – indubbiamente – ha sempre il solito mucchio di guai. Alcuni vecchi (l’economia e il Pil e eccetera). E altri nuovi (assolto al processo Sme, ora è alle prese, tra l’altro, con il cosidetto processo Mills e l’accusa di aver corrotto non un giudice, ma un testimone, cioè l’avvocato inglese David Mills). Ma i guai – tanto per non cambiare – non gli hanno tolto…
Beh, ci siamo capiti.
E prima ha fatto ri-approvare un altro lodo stoppa-processi. E poi se lo è visto ri-stoppare dalla Corte Costituzionale. E quindi i suoi hanno ripetuto che anche questa sentenza sarebbe “politica”. E alla fine – insieme ai suoi – è ritornato ad agitare lo spettro di elezioni anticipate. E l’opposizione? E l’opposizione – verrebbe da dire quasi per coerenza – è sempre divisa. E incerta sul daffarsi. Alcuni – anzi uno, il solito Di Pietro – ha ri-subbissato con le solite critiche i soliti colleghi di centrosinistra. Ha ri-raccolto un altro milione di firme per il solito referendum. E ora si appresta tranquillamente a tirarle tutte nel solito bidone. Va da sè che Di Pietro vorrebbe che Berlusconi si dimettesse. Mentre il resto del centrosinistra – che mo’ si chiama Piddì – non è d’accordo.
E questo non sembra. Questo è proprio quello che è successo tra ieri e oggi. Quando i guai del premier e del Belpaese sono ricominciati per l’ennesima volta daccapo. E questa volta: come e – verrebbe da dire – più di prima.
Un copione logoro. Forse un po’ “Guardie e ladri”. Forse solo commedia all’italiana. Soprattutto déjà vu. Ma che non ha mancato – come sempre in questi ultimi 15 anni vissuti sotto le insegne del Cavalier B. – di ipnotizzare spettatori e addetti ai lavori. Maitre-à-non-penser di centrosinistra e opinionisti a tassametro di centrodestra, negli ultimi due giorni, hanno riempito pagine di inchiostro e ore di tivù. Militanti e militonti di ambo gli schieramenti hanno chi esultato e chi pianto. E – come tutti gli ultras che si rispettino – si sono amabilmente insultati. Come ring: non lo stadio, ma il web.
Unico neo: mentre l’Italia si godeva questo “Lodo reloaded”, il mondo è andato avanti. E ora è alle prese con una crisi economica che ne sta cambiando faccia e assetti. Solo nelle ultime settimane. Il Brasile – una delle grandi economie emergenti assieme a Russia, India e Cina (i cosiddetti BRIC) – ha sconfitto e umiliato gli un tempo invincibili Stati Uniti nella corsa alle olimpiadi. Il dollaro, ieri, è crollato verso i minimi storici e le banche asiatiche sono dovute correre a sostenerlo. La banca inglese Hsbc – la terza al mondo – ha fatto armi e bagagli e si è trasferita da Londra a Hong Kong. Il centro gravitazionale dell’economia, insomma, si sta spostando. Dall’Atlantico al Pacifico. Dall’Ovest all’Est. Mentre l’Italia appare sempre immobile. Come i putti del solito villone di Arcore. Ma nessuno – maitre-à-non-penser, opinionisti a tassametro e militanti e militonti – sembrano farsene un cruccio.
Questo è un Paese non solo senza memoria. E’ senza futuro. Perchè non ha il coraggio di guardare in faccia il presente per quello che è: una telenovela grottesca che racconta la storia di una guerra tra bande e di un Paese “senza”. Senza leader, senza idee e senza il coraggio e la voglia di provare a cambiare. Cambiare, del resto, costa fatica. Recitare o guardare il solito polpettone in tivù è molto più comodo. E questo – in cuor loro – lo sanno bene certi capibastone. Come pure i loro militonti.