Le passeggiate non hanno valore statistico. Ma – a volte – ci azzeccano. Qualche settimana fa, il dominus di questo blog – stanco di parlare di crisi e di una politica italiota ripetitiva e inconsistente – si era concesso quattro passi nel centro della sua città, Piacenza, il capoluogo più a nord della ricca Emilia. Dirà qualcuno di voi: embè? Embè, certo: nulla di strano o eccezionale. Se non fosse che sulla sua strada, aveva trovato ad attenderlo uno spettacolo piuttosto deprimente: una sfilza di negozi falliti, vetrine vuote e serrande abbassate. Di qui un post (titolo sarcastico: “Una passeggiata di salute”). E una considerazione piccola piccola: pare – almeno a Piacenza e dintorni – che la crisi – quella famosa crisi che la vulgata ufficiale vorrebbe chiusa e conclusa – stia davvero colpendo duro. A partire, appunto, dai commercianti e dai loro clienti.
Bene. Evidentemente chi scrive non aveva avuto le traveggole. Nè uno sguardo troppo pessimista. Un paio di giorni fa – infatti – i commercianti di Confcommercio hanno rovesciato sui desk delle redazioni dei giornali una raffica di statistiche. Stastiche – va da sè e visto il clima da Orwell’s economy (se la guerra è pace, anzi peacekeeping, anche una crisi può diventare un mezzo miracolo economico) – si diceva: statistiche che però non hanno avuto che poco spazio sulla grande stampa. Peccato. Perchè parlavano chiarissimo. E dicevano due cose:
- Nel 2009 – anzi, nei primi nove mesi dell’anno – hanno chiuso i battenti ben 50mila negozi. Una “strage” compensata solo in parte da nuove aperture. Secondo l’ufficio statistico di Confcommercio, infatti, il bilancio di quest’anno si dovrebbe chiudere con 20mila negozi in meno (rispetto a natale 2008)
- Tutta colpa – si fa per dire – dei consumi delle famiglie. Che nel 2009 dovrebbero scendere – alla faccia del consumismo e del turbocapitalismo – di quasi 2 punti percentuali (-1,7%).
I freddi numeri, insomma, confermano quello che l’uomo della strada può vedere con i suoi occhi. E non solo a Piacenza. I clienti non comprano, i commercianti non vendono e qualcuno chiude.
Ma c’è di più. Ed è bastato fare un’altra passeggiata per capirlo.
E infatti: camminare per il centro di Piacenza – oggi come oggi – è un po’ come viaggiare con la macchina del tempo. Sembra di stare a gennaio. Perchè ci sono già – di fatto – i saldi:
Saldi – o per meglio dire “promozioni” – nei negozi di camicie…
… di scarpe…
… nei negozi di vestiti per bambini…
… e per adulti.
Ma la stessa musica suona nei negozi di articoli per la casa…
… al Coin…
… all’Upim…
…eccetera…
eccetera.
Dirà qualcuno di voi: meno male, perchè era ora che i prezzi scendessero, e bla e bla e bla.
Ecco. Magari fosse così semplice. I saldi fuori stagione, cioè prima di Natale, avevano già fatto il loro debutto un anno fa a Londra e New York. Ed erano stati accolti senza nessun entusiasmo. Perchè se i prezzi scendono, beh, questo non è un cattivo segnale, è un pessimo segnale. Tecnicamente: il problemuccio si chiama deflazione. E rischia di innescare un circolo vizioso di questo tipo. Se i prezzi scendono, i profitti calano. Se i profitti calano, le aziende licenziano. Ma i licenziati comprano ancora meno e i prezzi continuano a calare. E così via.
Il problemuccio – come chi scrive ha ripetuto almeno mille volte – si è verificato un paio di volte nella Storia. Durante la Grande depressione del 1929; e durante il cosiddetto “decennio perduto” – cioè gli anni Novanta – in Giappone. E purtroppo – visto l’andazzo e i consumi in calo – potrebbe verificarsi ancora. Ma e condizionali a parte: sta di fatto che i saldi a Piacenza – e probabilmente non solo a Piacenza – ci sono. E sta di fatto che questo valzer di chiusure e promozioni sta facendo le sue prime vittime: i lavoratori.
Dati di Confcommercio alla mano: i negozi nel 2009 dovrebbero lasciare a casa 130mila persone (tra commessi e quant’altro). Tanto è vero che, da gennaio a settembre, le ore di cassaintegrazione sono aumentate del 330% (rispetto al 2008). Ore di cassaintegrazione che – sempre a settembre – erano già, in quantità, pari a tutte quelle registrate nell’ultimo triennio (dal 2005 al 2008).
Dati e dati di fatto un tantino inquietanti. Ma bisogna preoccuparsi, quindi? Assolutamente, no. Per lo meno secondo l’house organ – o giornale di famiglia, diciamo – del nostro premier, al secolo Berlusconi Silvio. Cioè “Il Giornale”. Che questa settimana in prima pagina ha pubblicato un articolo dal contenuto inequivocabile. Il succo? Delle statistiche non ci si deve fidare, la ripresa c’è. Certo: verrebbe da chiedersi di chi o cosa ci si debba fidare, quindi. Ma visto lo stranamore del nostro Belpaese per crocifisso e crocifissi, la risposta è più che scontata. Fidiamoci e affidiamoci alla divina provvidenza. E magari – già che ci siamo – accendiamo pure un cero a San Gennaro.
P.S. Chiudo con una breve notarella, diciamo così, tecnica. Non ho scritto tutto ’sto pappone per dire che siamo di fronte a una massiccia ondata di deflazione, per cui si salvi chi può e “terremoto e traggedia” (anche se i prezzi di case, petrolio, e azioni sono oggi molto più bassi rispetto ai massimi toccati nel 2007 e nel 2008; e il problema, nonostante le massiccie iniezioni di liquidità delle banche centrali, per il momento c’è eccome in diversi Paesi). Ma solo per suggerire ai lettori di questo blog di aprire bene i loro occhi, di guardarsi attorno e di non fidarsi troppo di chi vorrebbe già oggi festeggiare un ritorno alla normalità. O spacciare facili soluzioni.
Il villaggio globale costruito nei 20 anni passati dalla caduta del muro di Berlino è dannatamente più complesso di quello che raccontano gli inguaribili ottimisti dell’informazione e della politica ufficiale, e dei sogni venduti da certi sedicenti guru della controinformazione e salvatori della patria a pagamento, con la loro paccottaglia di cd, divvuddì e spettacoli da piazzare ai soliti militanti e militonti in cerca di qualche causa persa. Oggi come oggi: basta un, chiamiamolo così, errore di valutazione a Wall Street per scatenare un’ondata di serrande abbassate e di saldi fuor stagione nel cuore della provincia emiliana, più avvezza ai tortellini che ai su e giù della Borsa. Per rendersene conto, appunto, a volte basta fare una passeggiata. Ma in un mondo così, uscire dalle crisi, beh, fidatevi, non è una passeggiata. Tanto meno di salute.