DI
ALBERTO ALFREDO TRISTANO
ilriformista.it
C’è un Grillo finanziario, vagamente tremontiano, che di giorno fa trading immobiliare e mobiliare e di notte porta in giro il suo show Funny Money mettendo in scena la crisi. Nel 2006 scrisse un libro, Duri e puri: aspettando un nuovo 1929 «che ha anticipato il crack mondiale e grazie ai forum su internet è diventato il mio best-seller: 25mila copie». La Cassandra (o «predicatore finanziario» come si definisce) viene da Vicenza, ha un cognome da sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo, e lavora nella finanza: «Piacere, Eugenio Benetazzo».
Pochi giorni fa il quotidiano svizzero tedesco Blick riportava sdegnato una frase del ministro Tremonti: «Se fosse per me in Svizzera manderei l’esercito». La frase sarebbe stata rivolta al presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz in un incontro avvenuto a inizio ottobre a Istanbul sullo scudo fiscale. Ecco, a proposito di scudo fiscale, più di uno svizzero manderebbe l’esercito a prendere Benetazzo.
Colpevole d’avere bestemmiato il segreto bancario. Perché in uno spettacolo tenuto a Lugano ha avanzato una sua previsione, in vista del 16 dicembre, quando terminerà la possibilità dello scudo (a meno di proroghe). «Ho semplicemente detto – ci racconta – che degli ex private banker o funzionari elvetici che hanno perso il loro posto di lavoro stanno accarezzando una bella idea: quella di consegnare alla nostra Agenzia delle entrate le liste con i nomi dei clienti italiani che non avranno scudato. L’Agenzia così acciufferà gli evasori, e i confidenti avranno il loro ritorno».
Prosegue Benetazzo: «Io non credo che si faranno scrupoli. Non dimenticate che la Svizzera ha subito un profondo ridimensionamento occupazionale nel settore finanziario, tra fondi, società di gestione e banche. Il disagio morde anche a Lugano». Apriti cielo. E il segreto bancario? Non toccate il segreto bancario! Subito è scattata la mobilitazione. Fermate Benetazzo. Respingetelo alla frontiera. Chiamate le guardie, il ministero pubblico, il pretorio. Lui come Tremonti che in Turchia disse anche: «Io stesso sono commercialista e so di cosa parlo quando parlo di evasione fiscale e del ruolo della Svizzera». E Benetazzo: «Ma io non ce l’ho mica con gli svizzeri. Piuttosto con quegli italiani che non hanno approfittato dello scudo: una grande opportunità».
Un altro fronte tremontianamente aperto per il finanziattore sono le banche: «Io sono per il ritorno a istituti di credito a governance pubblica. Molti mi accusano di essere profeta di sventura nell’invocare questi carrozzoni, ma io dico: magari li avessimo… Non ci troveremmo con un’economia a disposizione del sistema bancario, quando invece dovrebbe essere il contrario. Il verbo delle banche è ripatrimonializzazione, con cui mantenere e rendere più solida la loro architettura. E quello o la fai andando sul mercato a trovare nuovi fondi oppure revochi gli affidamenti concessi». Però, dica la verità, un po’ lo copia il ministro? «Piuttosto è vero il contrario. Piuttosto trovo paradossale quel che accade con i Tremonti Bond: è mai possibile che un ministro non riesca a obbligare le banche a svolgere la propria attività in parallelo con i bisogni dello Stato? Comunque noto che è una battaglia solitaria, la sua con le banche. Forse perché troppi partiti devono dire grazie agli istituti per i loro bilanci…».
Benetazzo ha elaborato una suggestiva metafora per parlare del destino del nostro Made in Italy. L’ha chiamata “Teoria economica del Dodo”. Eccola: «Il dodo era un pennuto inetto al volo vissuto sino alla fine del XVII secolo nell’Isola di Mauritius, alto poco più di 70 centimetri, dall’andatura goffa, che ha ispirato anche un personaggio dei fumetti Disney, Spennacchiotto, l’inventore che faceva concorrenza ad Archimede. Purtroppo il dodo non esiste più da circa 400 anni dopo l’introduzione nell’isola da parte dei coloni portoghesi di specie animali antagoniste come maiali, cani, gatti, ratti e scimmie. Questi animali iniziarono a predare molto voracemente le sue uova. Che lui non sapeva difendere. Il Made in Italy farà la fine del dodo». Addirittura? «ma certo, perché non c’è nessuno che abbia voglia di difenderlo. A meno di interventi dall’alto, è un modello che va definitivamente scomparendo».
Spiega: «Basta farsi un giro nel Nordest, dove vivo. I grandi che sono evoluti in multinazionali operano su modelli produttivi completamente diversi, fondati su delocalizzazioni massicce. Sopravviverà qualche piccola nicchia di mercato, di prestigio, ma il resto affonderà. Ecco perché chiedo embarghi e dazi doganali: perché sono venuti a mangiare il nostro saper fare. Basta vedere la drammatica valanga che ho potuto vedere nei miei luoghi. Quando entrò in crisi il tessile. Poi toccò all’abbigliamento, poi alle calzature, poi alla concia, poi all’allevamento. E così addio distretti. Io dico “Cuoi e buoi dei paesi tuoi”. Ho parlato in questi giorni con alcuni imprenditori dei distretti conciari italiani, ad Arzignano e Santa Croce sull’Arno: ormai non hanno più lacrime per piangere. Migliaia di imprese non esistono più, cancellate anagraficamente come i database colpiti da un virus informatico. Siamo forse l’unico paese al mondo che non si difende, che consente l’ingresso indiscriminato tanto di lavoratori quanto di merci che compromettono sia i posti di lavoro italiani e sia i prodotti tipici italiani. Chi si approvviggionava del prodotto finito italiano adesso si rivolge altrove per prodotti meno costosi realizzati in Oriente. E intanto gli imprenditori continuano a metter soldi, attingendo ai loro risparmi, ritenendo che in un prossimo futuro lo scenario cambierà. Certo che cambierà, ma in peggio».
Sostiene Benetazzo: «Tutti parlano di crisi, ma questa è una bugia colossale. Questa è un’emergenza epocale. E il problema è che non è affatto finita. Anzi ci dicono che presto ci sarà la ripresa perché guadagneremo lo zero-virgola-qualcosa di Pil, dopo che abbiamo perso cento volte di più. E i due milioni di disoccupati che ci ritroviamo, in che modo li riassorbiremo? Oltretutto nei mercati finanziari le presenze tossiche non sono state affatto eliminate completamente. A distanza di oltre un anno dal fallimento della Lehman Brothers si assume per certo che non assisteremo mai più ad altri fenomeni di polverizzazione finanziaria potendo contare su un maggiore controllo da parte delle autorità monetarie. Personalmente mi sentirei invece di mantenere ancora alta la tensione perché potrebbero verificarsi nei prossimi semestri altri episodi di default finanziario. Infatti non è ancora stata fatta sufficiente chiarezza sull’effettiva esposizione di molte banche e sulla consistenza a consuntivo di perdite su crediti e mutui, mentre i media rimangono indifferenti rispetto ad altre tipologie di rischio finanziario che si apprestano ad arrivare proprio dagli Usa dopo il terremoto dei subprime. Mi sto riferendo agli Option Arms, ovvero una tipologia di mutui a rientro discrezionale del capitale che è stata erogata alle fasce sociali benestanti negli ultimi anni: sono tipologie di mutuo in cui la rata mensile è composta della sola quota interessi, lasciando al mutuatario la libertà di abbattere il capitale in base alle sue entrate finanziarie. Questi mutui si preparano ad esplodere proprio come i subprime. E quel giorno, che succederà?».
Proprio immaginando il panorama di rovine prossimo venturo, Benetazzo è già al lavoro per pensare il prossimo spettacolo dopo Funny Money (prossima data a Bologna il 12 dicembre): «Sul palco riesco a parlare di cose difficili a chi è interessato a questioni che toccano tutti. Basta con la vecchia immagine dell’economista con barba, pipa e bretelle. Meglio l’irriverenza e i power point per i miei one-man-slide-show». Lo spettacolo in cantiere si chiamerà Era il mio paese. «Lo farò a ottobre, quando rientro da Malta dove vivo da maggio alla fine dell’estate. Tanto anche da lì riesco a seguire il mio lavoro diurno, che è quello di amministratore di una holding di investimento, la Deltoro: un club di duecento investitori privati, di cui seguo anche il comparto speculativo». Intanto si appresta a mandare in stampa il nuovo libro Padrone del tuo denaro, che sarà un vademecum per autogestirsi i propri soldi. Se dovesse consigliare qualche investimento, «indicherei due strade: investimenti con finalità di protezione dall’inflazione, e quindi soprattutto titoli di Stato; e per chi vuol rischiare un po’ di più, gli direi di valutare dei panieri di materie prime».
Benetazzo si è cimentato anche con un personale «Manifesto economico». Sette punti che prevedono la «ridefinizione della spesa di rappresentanza popolare» con «l’abbattimento coatto del 75 % degli emolumenti e compensi ad europarlamentari, senatori, deputati, consiglieri regionali e comunali»; il «ripristino della sovranità monetaria del popolo italiano» con l’«istituzione della Banca Nazionale del Popolo Italiano, ente pubblico interamente detenuto dal Ministero del Tesoro» e la «coniazione di una moneta succedanea all’euro e conseguente definizione di un sistema monetario a doppia circolazione valutaria»; la «ridefinizione e tassazione della prostituzione»; l’«embargo commerciale contro Cina, India e Turchia»; l’«istituzione dell giurie popolari e delle taglie di cattura per i reati di mafia ed associazione a delinquere contro la persona e contro il patrimonio», l’«istituzione del mutuo sociale per l’acquisto integrale della prima casa, con l’erogazione fino a 250mila euro»; e infine l’«istituzione delle no tax area in Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Molise». Ma la politica ha mai esercitato il richiamo? «Per carità me ne tengo ben lontano. Mi hanno anche proposto di correre alle prossime regionali…». Destra o sinistra? «Centro. Ma naturalmente ho detto no. Non voglio fare politica. Meglio fare i soldi…».
Alberto Alfredo Tristano
Fonte: www.ilriformista.it
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7.12.2009