DI HS
comedonchisciotte.org
Ci siamo lasciati alle spalle i terribili anni Zero e ancor oggi non abbiamo il tempo e l’opportunità di tirare un sospiro di sollievo. Siamo ancora nel ventre nero… nel mezzo di quel tunnel che – ahimè – non è più “del divertimento”. Quella Crisi economica e finanziaria – che è anche e soprattutto politica, sociale, culturale e morale, e che, certamente, è iniziata molto prima del 2008 e della “bolla immobiliare” – ancora trascina l’umanità nel mezzo di una corrente inquieta ed inquietante, senza che si possa intravedere – almeno per ora – una via di fuga. L’odierno clima del pianeta e lo sconvolgimento dell’ecosistema si palesano come l’urlo della natura per le ferite che la presunzione dell’umanità le ha inflitto… Intanto nelle intenzioni di chi gestisce il potere o, quantomeno, il consenso sul sistema globale attuale, è sempre meglio rifuggire dai reali problemi e dalle questioni veramente urgenti per l’uomo e portare l’attenzione del pubblico – magari con l’uso accorto dei media e dell’informazione “mainstream” – sui presunti pericoli del “terrorismo” – inevitabilmente di matrice “islamista” – e sulle ansie dettate dalle problematiche legate alla sicurezza e all’ordine pubblico a livello locale, nazionale e mondiale.
Ad appena un anno di distanza dalla sua investitura il novello sovrano eletto degli USA e, per molti aspetti, dell’universo – mondo, Barack Obama ha parecchio deluso le aspettative di coloro, e non erano certo pochi, che hanno riposto un notevole surplus di fiducia e di speranza. I fatti stanno inevitabilmente dando ragione agli scettici e a chi ha sempre storto il naso di fronte all’elezione del Primo Presidente USA “nero” della storia: quell’investitura si è rivelata un’abile campagna promozionale e pubblicitaria con un investimento senza precedenti nei mezzi di comunicazione di nuova generazione (Internet) finalizzata anche e, forse, soprattutto per “ripulire” l’immagine della più grande superpotenza mondiale dalle nefandezze compiute da Bush jr e dai disastri combinati da un’economia speculativa nelle mani di esperti di furti con destrezza e d’alto bordo. Se ci si aspettava da Obama un radicale ripensamento – sia pure tutto interno ad un ottica “liberal” – del neoliberismo che tanti danni ha provocato e dal punto di vista economico e da una prospettiva più genuinamente sociale bisognerà in tutta tranquillità ammettere che il Nostro ha doppiamente deluso, perché le notevoli energie profuse dall’attuale amministrazione sono fondamentalmente finalizzate a tamponare e a contenere gli effetti deleteri del neocapitalismo yankee. La stessa riforma sanitaria – che agli occhi dell’”europeo” medio dovrebbe risultare piuttosto timida e modesta – riesuma nei fatti un vecchio tentativo di Clinton quando la parola “crisi” era stata pressoché bandita dal vocabolario capitalista e finanziario.
Al di là delle prevedibili e comprensibili difficoltà a cui un qualunque statista deve oggi fare fronte, il Presidente Obama si segnala soprattutto per le iniziative di politica internazionale che, fino a questo momento, sembrano imporlo come una versione edulcorata, meno aggressiva e virulenta di Bush jr, ma che, nei fatti, si muove sul solco della stessa linea di mantenimento dell’egemonia USA ricorrendo ai mezzi che solo con un eufemismo potremmo definire “discutibili”. Magari, a differenza del suo predecessore “devoto” e “crociato”, il Nostro, più che ad essere incline ad un colpo militare con intervento diretto del VII Cavalleria nell’Iran degli ayatollah, preferisce riversare fiumi di dollari (e di euro) sulle opposizioni al regime peraltro rispettando un’antica consuetudine statunitensi nei confronti dei nemici… Magari il ricorso all’”arma della diplomazia” è molto più frequente, però… però non può essere taciuto il segno con cui si apre il nuovo decennio, quegli anni Dieci che si prospettano come la naturale e ineluttabile prosecuzione del decennio precedente a cui si assommano nuove paure e nuove pulsioni…
A tutta prima l’attuale premio Nobel per la Pace non pare intenzionato a onorare il titolo che gli è stato insignito come ha dimostrato il suo discorso al momento della premiazione. De facto è stata una riproposizione della celebre “guerra del Bene contro il Male” che ha costituito il leit motiv dell’amministrazione del “falco repubblicano” Bush jr magari rivestita da un involucro dall’insipido sapore “illuminista”. Così Guantanamo – che è bene comunque ricordare come sia stata concepita dai vari Rumsfeld e soci – è ancora lì e ci rammenta quanto è dura la nostra condizione di tromboni e flauti della democrazia sempre pronti a rimbeccare e stigmatizzare le altrui mancanze ma generalmente poco propensi a mettere in discussione quello che siamo o quello che siamo diventati… Così l’impegno militare USA – e dei suoi alleati attualmente un pochino scalcinati – nei confronti dell’Afganistan e pure del Pakistan è stato intensificato prendendo a pretesto la convinzione che in quei paesi sia insediato il presunto quartier generale della presunta e onnipresente organizzazione terroristica islamista denominata Al Qaeda che è tornata sulla lingua di tutti… Così la sicurezza negli aeroporti e nei posto più frequentati non sarà mai sufficiente per cui si presenterà come una necessità doverosa quella di introdurre nuovi strumenti di controllo sempre più intrusivi e lesivi della banale dignità del normale cittadino del mondo… Così…
Di fronte alla riproposizione chiara, costante ed ossessiva delle antiche e monotone paure per le azioni dei “terroristi” le domande e le questioni che dovrebbero rappresentare il perno del nostro concreto ed attuale agire vengono miseramente e miserabilmente occultate e deviate… Insomma, come abbiamo potuto ridurci così ? Perché abbiamo affidato i nostri risparmi a soggetti inaffidabili e dediti alla truffa che, molto spesso, hanno operato ed operano a Wall Street ? Chi sono questo signori ? Perché hanno tanta influenza e potere ? Cosa si è concretamente fatto perché venissero messi nelle condizioni di non più nuocere ai risparmiatori oltre ad assicurare alla giustizia i soliti capri espiatori ? Cosa si sta concretamente e fattivamente facendo per porre un freno definitivo e debellare la finanza speculativa e lo strapotere economico delle grandi banche internazionali ? Cosa si sta concretamente facendo per sbarazzarsi dell’imperio neoliberista con il suo panegirico sulla bontà dell’economia nelle mani dei “privati” ? Evidentemente poco e nulla e tutto il resto risulta un gigantesco diversivo per distrarre il grande pubblico e controllare eventuali reazioni sconsiderate…
I tabù della civiltà “democratica”, “occidentale” e “americana” stanno ancora reggendo…
Solo il tempo potrà svelarci se la linea di politica internazionale – ma anche interna – del Presidente Obama è dettata da profonde convinzioni personali o, diversamente, è suggerita da quei potentati che negli USA hanno la voce in capitolo più squillante e assordante, vale a dire il Pentagono, i colossi dell’energia, le imprese del settore bellico e della sicurezza, i giganti dei media, ecc… Al momento, però, il quesito è certamente secondario rispetto alle altre domande…
Gli anni Dieci si aprono anche per il nostro paese sotto una stella cattiva e, per giunta, anche arrabbiata… Il peso della continuità rimane molto grave. Lasciamo perdere, almeno per un attimo, il rinnovato impegno delle nostre forze armate in Afganistan a dimostrazione della nostra sudditanza internazionale nei confronti degli “alleati” USA, perché la nostra collocazione e il nostro prestigio internazionale consentono solo una desolante presa d’atto… Non passa giorno, invece, in cui non venga evidenziato quanto l’assetto istituzionale e democratico dell’Italia sia attraversato da debolezze e fragilità veramente allarmanti. Anzi il quadro generale denota un’assenza, un vuoto istituzionale a cui sopperiscono nella maniera peggiore i rapporti personali fra “le persone che contano”… In tal contesto non dovrebbero stupire fenomeni come il clientelismo e la corruzione, la disorganizzazione e la confusione nella pubblica amministrazione, il controllo territoriale esercitato dalle mafie in diverse regioni… Nonostante il carattere accentratore e l’apparente decisionismo del nostro amato premier non esiste un reale governo bensì uno (s)governo che si bea e si compiace di creare scompiglio, frantumazione, frammentazione e un clima generale di sfascio. Il Parlamento italiano ormai è una chimera, il potere legislativo non viene effettivamente esercitato perché progressivamente l’asse degli equilibri istituzionali si è spostato verso l’esecutivo… D’altronde e di fatto la Camera e il Senato sono composte da onorevoli membri che rispondono alle volontà e alle disposizioni di un pugno di personaggi che domina realmente la desolante scena politica italiana – ed evitiamo di far nomi… Non sorprende così che quegli scranni siano occupati da individui mediocri, ignoranti, incompetenti e perfettamente rispondenti al ruolo di eterni “yesman”. Per tacere poi dei vizietti che, dai capintesta in giù, vengono coltivati con una certa assiduità… Vizietti come la droga o la frequentazione di puttane o trans su cui, tutto sommato, si passerebbe anche sopra, se i nostri “politici” – ma il titolo non si può dire granchè meritato – fossero almeno un poco più ligi al dovere… Per quel che riguarda il nostro Presidente della Repubblica, ormai si esercita in dichiarazioni così scontate e banali da non meritare il minimo di attenzione che quella carica giustamente reclamerebbe…
Forse sembrerà azzardato il paragone, ma anche noi, come gli USA di Barack Obama, ci agitiamo in un mare di gravi problemi a cui si risponde solo scansandoli concentrando l’attenzione su altre questioni… Ancora diversivi, appunto… Con una differenza rispetto ai nostri amici d’oltreoceano: mentre Barack Obama & C. si focalizzano unicamente sul consueto tema della “guerra al terrorismo”, sulla “guerra del Bene contro il Male”, i nostri politici moltiplicano i diversivi come Gesù Cristo ha fatto con i pani e i pesci. Naturalmente ci sono i mille rivoli della “questione sicurezza”, le mille paure che devono paralizzare il cittadino medio e non… E allora vai con i kamikaze improvvisati, con i nuovi gruppi armati, con le solite rivendicazioni “anarchiche”… Vai soprattutto con l’emergenza immigrazione secondo gli auspici leghisti anche perché gli stranieri soprattutto di pelle nera e di religione islamica possono essere usati come un comodo capro espiatorio di una politica e di una società fallimentare, quella italiana. Vai ancora con i dieci, cento, mille complotti per eliminare – fisicamente o meno – il premier Silvio Berlusconi il quale sta abilmente sfruttando quel che gli è capitato prima di Natale. Non interessa qui stabilire se lo sgangherato attentato ad opera di uno psicolabile sia in realtà una montatura a cui hanno fatto da inevitabile cassa di risonanza i soliti media o indagare sui retroscena… Non abbiamo neanche intenzione di rimarcare come il fattaccio sia servito a sviare l’attenzione dai molteplici guai giudiziari del premier. Ripercorrere le vicende e certe sventure del Cavaliere sarebbe un esercizio futile in questo contesto, basta solo ricordare che, se lo sventurato avesse investito le energie che ha profuso per sciogliere il suo, personale nodo giudiziario per affrontare di petto i problemi che colpiscono al cuore l’Italia e gli italiani forse saremmo la punta di diamante dell’Europa. Così, ahinoi, non è… Lanciando il fantomatico “Partito dell’Amore” che, però, non è memore della povera Moana Pozzi, Berlusconi traccia il sacro confine fra coloro che rappresentano il Bene e l’Amore – ossia i berlusconiani e i loro amici – e il Male – ovvero gli oppositori, i vari antiberlusconiani, i “travaglino”, ecc… -. Questi ultimi sarebbero assimilabili a “terroristi”, “islamisti”, “brigatisti”, ai soggetti che ricorrono alla “rete” per lanciare minacce di morte – chi sono costoro ? – o a psicolabili, paranoici e psicotico come il tizio che ha lanciato la statuetta del Duomo di Milano… Al fido compagno di loggia Cicchitto è stato demandato il compito di identificare gli agenti del Male e lanciare un pesante avvertimento… I vari D’Alema, Fini, ecc… e pure Napolitano sono avvertiti: è meglio trovarsi al di qua di quel confine. Come nel caso “americano” siamo alle “Star Wars”, alla lotta contro “il lato oscuro della forza” anche se in salsa tutta nostrana.
Inevitabilmente viene così sventolata la bandiera delle riforme… Inevitabilmente costituzionali ed inevitabilmente presidenziali nelle due possibili varianti, il “cesarismo populista” di matrice berlusconiana e il “premierato tecnocratico” auspicato dai vari D’Alema, Fini, ecc…
Ormai ben pochi, in ambito istituzionale, non alzano la voce per sollevare l’eterno tema delle riforme che, come d’uso, viene adoperato soprattutto perché i nostri politici non sono in grado di affrontare il presente… Non lo è Berlusconi con i suoi amici e non lo è nemmeno il PD…
E’ possibile poi che finalmente le parti in causa si accorderanno per “formalizzare” la supremazia dell’esecutivo sul Parlamento e, contemporaneamente, trovare una sistemazione per le pendenze del premier, ma guardando al presente senza fare affidamento a nessun tipo di illusione si dovrebbe prendere atto che il parlamentarismo è stato già svuotato e con effetti a dir poco deleteri. Intanto anche il nuovo anno reca in sé quelle forti tensioni sociali, (pseudo)religiose e perfino razziali che paiono destinate a crescere senza possibilità di porvi rimedio.
Che ne sarà di noi ?
Se il futuro è stato barbaramente assassinato perché non dare una scorsa al passato più recente ?
Riemergere…
Lambire il passato…
Per avere un minimo appiglio al presente…
E, forse, per tentare di rianimare il futuro…
Come il grande pensatore francese Tocqueville insegnava con la sua celebre analisi sui rapporti fra Rivoluzione e Ancien Regime gli elementi di continuità sono altrettanto importanti dei fattori di “rottura” e “cesura”.
In fondo il tempo è esso stesso un lungo, quasi interminabile tunnel, ove quel che ci lasciamo alle spalle rappresenta il passato mentre lo spazio che ci apprestiamo a percorrere si concede alla nostra mente come futuro. E la somma delle aspirazioni che nutriamo è quella di uscire da questa buia galleria, di sortire dal tunnel per scorgere un barlume di luce o per poter noi stessi illuminare il nuovo tempo. Nel frattempo siamo immersi nel tempo che si impone al nostro pensiero come un immenso specchio del quale possiamo solo cogliere parte della visione generale. Il nostro Essere…
Così non possiamo concepire i prossimi anni Dieci come totalmente sganciati dal precedente, orribile decennio e così via, fino ai decenni del millennio precedente… Per comodità mi limiterò a fissare come punto di partenza di questo “viaggio a ritroso” l’ultimo cinquantennio del secolo scorso che, indubitabilmente, è stato testimone dell’ulteriore fase di sviluppo del capitalismo che, almeno parzialmente, ha mutato pelle… Un periodo di grande crescita e di introduzione di nuove merci e nuovi prodotti… Un periodo contrassegnato e connotato dall’affermazione del nuovo “benessere”… A questa crescita – che, però, è sostanzialmente limitata al “triangolo finanziario ed industriale” USA – Europa occidentale – Giappone – hanno conferito impulso soprattutto la ricostruzione dall’immediato Dopoguerra e gli investimenti degli americani, i reali vincitori del conflitto.
La crescita investe settori della società rimaste sempre piuttosto ai margini nella storia e le nuove tecnologie “domestiche” e non determinano la “liberazione” di parte del tempo precedentemente dedicato al lavoro e la corrispettiva estensione del cosiddetto “tempo libero”. Anzi, se ne può inferire che la vera, autentica invenzione del “tempo libero” con la creazione di settori merceologici e nuovi mercati riconducibili alle sfere dello spettacolo, del ludico, del divertimento, ecc… risalga proprio a questi decenni. Il miglioramento di siffatte condizioni materiali genera quella che è la sostanziale “fiducia nel Sistema” indipendentemente dalle convinzioni politico ideologiche – in realtà sempre piuttosto superficiali e blande nella maggior parte delle persone – con la conseguente accettazione e adesione “inconsapevole” del modello. Al di là, appunto, delle opinioni di “destra” o di “sinistra”… I “non integrati” sono forse gli “estremisti” o i troppo pessimisti che, comunque, al di là delle dichiarazioni di intenti, praticano nei fatti la loro inconciliabilità con il neocapitalismo. Un’infima minoranza, appunto…
Ma in che cosa realmente consiste questo passaggio, questa mutazione dal capitalismo tradizionale al neocapitalismo o, se vogliamo, dalla modernità alla postmodernità ? Come possiamo almeno sommariamente descrivere questo processo ? Non resta che ribadire come la crescita economica, l’accumulazione di capitale e il miglioramento delle condizioni materiali di esistenza avessero davvero mutato parzialmente i fondamenti del sistema capitalista e del mercato. Si dirada quel clima di austerità che aveva accompagnato le avventure del nuovo sistema economico. Se il capitalismo è stato prodotto dai ceti dei mercanti e dei venditori nondimeno bisogna riconoscere come nella sua fase iniziale i capitalisti avessero indirizzato le loro attività a quelle che, almeno dal loro punto di vista, ritenevano lo sviluppo e il miglioramento della società. I primi capitalisti rifuggivano dal’esibizione del lusso e della ricchezza cercando di investire il loro surplus, i loro profitti in quelle attività produttive che consideravano essenziali al progresso della civiltà. L’immissione dei titoli sul mercato azionario era unicamente finalizzata a incrementare investimenti ed aumento di capitale… Insomma il tipico capitalista “delle origini” rispondeva a quelle caratteristiche descritte dal sociologo Max Weber: un missionario, in fondo, un puritano prestato all’economia. Tuttavia la Storia non è un punto, non è un luogo fisso… L’accumulazione del denaro reca in sé i germi di una sottile ma inesorabile “corruzione”. Se precedentemente il capitalista ha indossato le vesti anche scomode dell’innovatore, ora mette completamente a nudo la sua profonda anima di venditore e… giocatore d’azzardo ! Il guadagno facile, la ricerca ossessiva di profitti a breve termine conduce allo sganciamento delle attività produttive e l’accumulazione, la creazione dei grandi patrimoni si fonda ormai quasi esclusivamente sulle rendite e sulle speculazioni a partire dalle Borse e dai mercati azionari. Non traggano in inganno i punti programmatici esposti da organizzazioni nelle mani degli imprenditori, dei banchieri, dei mercanti e dei venditori come la Trilateral: si fa sempre ricorso a un linguaggio da paleocapitalismo che appartiene al passato remoto. Il nudo neocapitalismo, la concreta postmodernità si fondano su un gigantesco e progressivo furto ai danni della società effettuato da giocatori d’azzardo che scommettano su grosse (e altrui) cifre. Paradossalmente, mentre ci si prepara alla celebrazione di un sistema economico e finanziario che dovrebbe essere sorretto dal grande capitale privato, è il settore pubblico a dare prova di innovazione come è accaduto negli USA dove, molto prima di Bill Gates, Internet è stata ideata nell’ambito di un progetto militare denominato Arpanet.
Qualcosa di simile alla “mutazione antropologica” in atto fra imprenditori e venditori si riscontra fra i lavoratori e i consumatori: la mentalità tradizionalmente orientata al risparmio con tutto il suo piccolo carico di progettualità – leggi il futuro della famiglia e dei figli – abbandona progressivamente il campo a favore di quella orientata al consumo e alla spesa immediata. L’estensione del tempo libero e l’immissione dei nuovi beni superflui sul mercato incoraggiano l’adozione di determinati comportamenti tramite la diffusione pubblicitaria. Il consumismo si impone, fa tendenza e diventa moda promettendo la realizzazione immediata di un felice ed eterno presente e la soddisfazione di ogni, singolo desiderio. La (sub)cultura orientata al consumo e al soddisfacimento dei desideri e del piacere si fa bussola del normale comportamento sociale emergendo come quel processo “omologante” all’insegna dell’edonismo e, appunto, del consumismo. Non si realizza e non si può realizzare l’uguaglianza materiale delle condizioni di esistenza come auspicato da Marx, dai marxisti e dai socialisti perché, ovviamente, non è l’obiettivo che i capitalisti si sono posti. La crescita rimane la reale stella polare e ad essa corrispondono inevitabilmente le differenze di reddito fra i vari strati sociali. L’uguaglianza, invece, non si compie sul terreno del “materiale” bensì dell’”immateriale”, nel campo genuinamente culturale ed antropologico. La stessa, medesima cultura permeata di edonismo e di consumismo attraversa trasversalmente tutte le categorie sociali tanto da far parlare – e non senza ragione e argomenti – di un unico, gigantesco “ceto medio”. E’ il “marxismo all’inverso”: non è la classe dei capitalisti quella destinata a dissolversi, bensì il proletariato, la classe operaia a rischiare l’estinzione in nome di un altro genere di “eguaglianza”. Parallelamente all’egemonia consumista ed edonista – e, quindi, anche al tramonto dell’ideologia e dell’impegno politico e al rifugio nel “privato” – si fa strada il nuovo neoliberismo che “popolarizza” gli aspetti elitari ed apparentemente meno digeribili di un pensiero economico, politico e sociologico che fino ad allora era confinato fra i recinti delle classi dirigenti. Più che la popolarità di personalità politiche come il Presidente USA ed ex attore hollywoodiano Ronald Reagan o la premier britannica conservatrice Margaret Thatcher a cui si deve quell’impasto di neoliberismo e populismo a cui molti esponenti della politica internazionale oggi si ispirano, è la stessa crescita ad imporre la dottrina e, con essa, la crisi internazionale del comunismo e delle altre forme di socialismo.
Fino a pochi anni fa la crescita economica si proiettava nelle nostre menti con tutta la forza di un evento reale, ma presto sarebbero giunti i tempi nuovi…
Il Sistema – ma è lecito parlare di Sistema ? – non lo sa, o forse sì, ma i tempi stanno per cambiare…
E la crescita – reale o virtuale che sia – sta per concludersi…
Con gli anni Zero il neocapitalismo attraversa una nuova fase e muta la sua pelle. Da postmoderno si fa (post)postmoderno ridisegnando la mappa delle proprie coordinate e modificando la sua bussola.
Zero, appunto, come “crescita zero”… Saturazione di gran parte dei mercati, abbassamento dei salari reali, ulteriore decrescita generale dei consumi, aumento della disoccupazione e della precarietà ed erosione totale dei risparmi. Una situazione che, se all’inizio è comprensibilmente appena percepita dalle popolazioni occidentali, poi si manifesta in tutta la sua drammaticità e ad essa si accompagna l’aggravamento del divario economico e della disuguaglianza sociale. Chi è abbiente e, precisamente, chi è sufficientemente ricco da poter ottenere le informazioni giuste per poter “giocare d’azzardo” ma a colpo sicuro, può mettersi al riparo da quella che, con sempre maggiore evidenza, e anno dopo anno, si delinea come la Crisi, la più grave delle recessioni economiche internazionali e globali dal Ventinove. In definitiva le congiunte dinamiche dell’accumulazione delle rendite finanziarie e dei capitali raccolti con le speculazioni da un lato e della sovrabbondanza di merci e di prodotti in determinati mercati dall’altro determinano quello che appare il collasso di un sistema ormai giunto alla sua fine. Se il neocapitalismo postmoderno mostra il volto del nuovo capitalismo in espansione, il neocapitalismo (post)postmoderno esibisce la faccia del capitalismo stagnante, a crescita zero, inchiodato dalla Crisi con tutto il carico di insicurezza, di precarietà, di incertezza che ne derivano necessariamente. Eppure l’impianto complessivo del sistema regge… Ammettendo pure che la nuova fase del neocapitalismo sia connotata da quella mancanza di fiducia e da quel deficit di adesione che aveva caratterizzato i decenni precedenti che, pur a fasi alterne, erano stati trainati da una più generale espansione a lungo termine, è pur vero che nessuna nuova prospettiva e nessun nuovo sguardo sul futuro emergono.
L’edonismo consumista – autentica e totalizzante palla al piede del (post)postmoderno cittadino occidentale – è ormai entrato in circolo ed impregna di sé le nostre esistenze. Il neocapitalismo degli anni Zero rivela la sua essenza genuinamente nichilista e non chiede più alcun consenso…
E lo stato delle opposizioni ? E le prospettive di una rivoluzione fattibile perché concepita nel ventre profondo della Crisi ? Allo stato attuale non si avverte alcunché all’orizzonte ! Quei settarismi e quegli “estremismi” di ogni colore che agitano pretestuose bandiere anticapitaliste e antimondialiste magari con spreco di aggressività e, talvolta, di violenza fisica e verbale non fanno che nascondere dietro la loro tracotanza la sostanziale impotenza rabbiosa mentre gli elementi più “moderati” e “riformisti” disponibili al “cambiamento dall’interno” vengono facilmente integrati. D’altronde il sistema internazionale e globale neoliberista, individualista, consumista ed edonista consacrato al tempio del Mercato ha acquisito l’indubbia capacità di assorbire ogni contraddizione e di assimilare qualsiasi elemento di disturbo. In tal senso il discorso del linguaggio e della comunicazione riveste un’importanza mai registrata precedentemente. Se oggi chiunque può dichiararsi convinto assertore dello “sviluppo sostenibile” ed esibire un ambientalismo più o meno tiepido o di facciata , il frasario scaturito dai movimenti “No Global” ha avuto accesso al vissuto quotidiano senza colpo ferire. Una volta di più il Mercato si dimostra capace di annichilire, sminuzzare, banalizzare e di ridurre tutto al più impressionante ed imprevedibile conformismo. Sotto la scorza abita il Niente o poco più…
La scelta che sembra ancora assillare le nostre esistenze è quella fra la Coca o la Pepsi…
Ma perché, nonostante i disastri provocati da codesto modello economico, culturale e sociale, ci ostiniamo ad aggrapparci, sia pure senza entusiasmo e magari confortati da linguaggi o promesse “riformiste” (leggi Obama), ci ostiniamo ad aggrapparci al vigente sistema di vita ? Quali sono le forze, quali fattori reprimono le spinte positive al cambiamento radicale di prospettiva e di paradigma ?
La risposta cova nella Paura…
Da ciò che viene comunemente definito “cultura” – nella sua accezione più generale di insieme di tutti quei concetti, nozioni, regole, ecc… – modelliamo il nostro pensiero e i nostri comportamenti definendo giorno per giorno la nostra identità sociale e pure individuale. Con buona approssimazione possiamo quindi inferire che il complesso delle nostre azioni, riflessioni e pure, in un certo grado, sentimenti costituiscono la sovrastruttura che si innalza sulla struttura “culturale” senza la quale non potremmo concepire noi stessi come facenti parte dell’umano consorzio.
Ora, la transizione dalla modernità alla postmodernità viene scandita anche dai tempi del passaggio da una cultura fondata sulla “parola scritta” alla cultura delle “immagini”. Si tratta di un passaggio epocale e sconvolgente quanto quello dalla cultura “orale” delle prime comunità della storia a quella prevalentemente scritta. Un cambiamento gravido di conseguenze e di effetti importanti…
Non v’è alcun dubbio… Postmodernità e, a maggior ragione, (post)postmodernità sono testimoni di quel primato, di quell’imperio delle immagini che sta quasi soppiantando le parole nel costante flusso delle visioni. E’ l’Impero dell’immagine, del virtuale, dello spettacolo… A questa specie di “rivoluzione” interna soprattutto al neocapitalismo ha contribuito l’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa e lo sviluppo dell’audiovisivo che proprio in questi ultimi vent’anni ha avuto un’accelerazione incredibile quanto apparentemente imprevista.
Dalla radio alla televisione passando per il cinema… E ancora l’home computer, l’hi fi, l’home video con VHS e DVD, il videoclip, il walkie talkie, i cellulari, internet, l’I pod, il podcast, l’MP3, ecc… Tutto diviene filmabile ed oggetto di spettacolarizzazione nell’era della multimedialità.
Si pensi, innanzitutto, ad un evento come il G8 genovese del luglio 2001 che per la prima volta ha imposto sulla scena i nuovi media in maniera lampante. Non si conosce evento precedente così ripreso, fotografato e filmato ! Ne è risultato un imponente spettacolo violento e truculento, un curioso film sospeso fra la violenza metropolitana e l’horror “realistico”: lo scenario di guerriglia urbana con il contorno di macellerie più meno assortite e più o meno “messicane” si è trasformato in un imponente teatro del Grand Guignol al di là delle mere considerazioni politiche che ancor oggi possono e devono essere fatte…
Non sorprende che le parole finiscano per essere cestinate o che affoghino nel mare magnum delle immagini filmate e fotografate. Al più diventano loro corredo, un piccolo e secondario ornamento.
Poco si è riflettuto, invece, su quanto questo processo possa risultare devastante per la civiltà e il suo comune sentire e non mi riferisco al fenomeno dell’”analfabetismo di ritorno” ormai ampiamente trattato ed analizzato o anche agli effetti banalizzanti che il dominio delle immagini, del virtuale e dello spettacolo inevitabilmente determinano. Se la parola scritta si presta all’interpretazione e, quindi, all’esercizio attivo della riflessione e della mediazione di altri strumenti culturali, l’immagine impone immediatamente la sua dittatura sulle menti e sui corpi.
Soprattutto in tempi odierni, tempi in cui la frenesia e la velocità del flusso delle immagini non lascia tregua alla ragione, non abbiamo molte opzioni al di fuori della “resa culturale”. Di fronte alla tempesta delle immagini la mediazione “culturale” che possiamo esercitare è e rimane assai labile.
E’, allora, facilmente intuibile come il neocapitalismo postmoderno e (post)postmoderno abbia affidato ai nuovi media e ai nuovi mezzi di comunicazione di massa multimediali il compito di mantenere e rafforzare l’artificioso consenso dei cittadini verso il sistema del mercato, delle merci e del consumo. Anche la pubblicità è ormai ed ovviamente onnipresente e pervasiva, non più limitata ai cartelloni pubblicitari e alle interruzioni dei programmi televisivi. Nell’immaginario pubblicitario – oggi come ieri – non esistono appartamenti disadorni, uomini trascurati, donne sciatte e prive d’eleganza o famiglie infelici, ma si dispiegano tutti i dettagli e tutti gli elementi che potrebbero far parte di una versione postmoderna del Paese dei Balocchi collodiano. Quando, però, la Crisi incombe sulle teste e, anche solo per un attimo, il reale irrompe nell’orgia della virtualità, anche questo artificioso consenso prodotto dalle suggestioni pubblicitarie viene meno. Altre immagini dovrebbero garantire la tenuta del sistema, la compattezza del Mercato sia nella sua accezione reale che in quella culturale. In effetti in questi Anni Zero che non hanno certo lesinato sulle immagini, ve n’è stata una che ha letteralmente fagocitato tutte le altre in modo da fondare l’attuale senso comune come mai prima nella storia dell’umanità e, in particolare, della cosiddetta civiltà occidentale nelle sue connotazioni di tempo e di spazio.
Se personalmente io dovessi scegliere le immagini più adatte a rappresentare lo stato e le condizioni dell’uomo e della nostra (dis)amata Terra opterei senza dubbio per quelle dell’apocalittico tsunami del dicembre del 2004. Non c’è che dire, niente potrebbe riflettere meglio la reazione di una Natura che, violentata dallo sviluppo dell’uomo condotto sotto il vessillo della crescita, ci rammenta quanto dovremmo impegnarci a rispettare gli equilibri delicati dell’ecosistema. Indubbiamente un simbolismo potente, ma che, tuttavia, non è riuscito a scalzare la suggestione che il crollo delle Twin Towers continua a imporre sulla vista e sulle menti del comune uomo occidentale.
Se c’è una data che nessuno si permette o si permetterà di scordare è proprio l’11 settembre 2001.
Inutile sarebbe ripercorrere qui gli eventi e i fatti che hanno preceduto, hanno accompagnato e sono immediatamente seguiti agli attacchi simultanei alle Torri Gemelle e al Pentagono. A mio giudizio è meritorio il lavoro di coloro che cercano di fare luce sui troppi punti oscuri di un evento che, soprattutto mediaticamente, ha sconvolto il mondo e ha cambiato la vita a milioni di cittadini dei paesi occidentali o “civilizzati”. E’ mia convinzione che solo illuminando i riflettori sulla più grande superpotenza mondiale, sulla precedente amministrazione, sulle lobbies e sui gruppi di pressione che la sostennero generosamente, potremo avvicinarci a qualcosa di prossimo alla verità al di là dei tentativi di sviare e di depistare tramite i media e la spettacolarizzazione di quanto accadde quel fatidico giorno. Possiamo con una buona dose di sicurezza affermare che, se nessuno può negare l’esistenza di fazioni virulente ed estremiste dell’islamismo visceralmente antiamericane ed antisioniste, il modo in cui viene rappresentata e descritta la presumibile organizzazione presumibilmente capeggiata dall’ex alleato degli americani Osama Bin Ladin è distorto, sviante e sostanzialmente menzognero. Non è da trascurare poi la circostanza che proprio in quel periodo coevo al “disastro” delle Twin Towers due colossi americani come Worldcom e la Enron stavano affondando per bancarotta fraudolenta. I prodromi di quella Crisi deflagrata qualche anno più tardi…
Come in ogni occasione che si rispetti fra i nostri potenti alleati d’oltreoceano, “emergenza terrorismo”, la nuova “guerra permanente” al terrore e la rinnovata ossessione per la sicurezza hanno letteralmente “cancellato” dall’agenda politica i gravissimi reati e scandali finanziari…
Questo è il quadro che in maniera sommaria possiamo tratteggiare perché, invece, nel contesto del discorso complessivo, a noi interessa analizzare e misurare quanto Ground Zero incise sull’immaginario occidentale e, parimenti, quanto abbia contribuito a comporre il nostro attuale senso comune.
Nessun dubbio in proposito: esiste un “prima” e c’è un “dopo” Undici Settembre… Prima dell’”attacco terroristico” al Pentagono e alle Twin Towers gli USA avevano imposto al mondo intero l’immagine e il concetto di una superpotenza invulnerabile a qualsiasi tentativo ostile da parte di ipotetici nemici esterni. Nessuno avrebbe mai potuto concepire anche solo lontanamente che i nemici degli americani potessero violare i confini dell’Impero. Anche in tempi di Guerra Fredda l’unica minaccia da prendere realmente in considerazione era costituita dall’arsenale nucleare dell’URSS mentre un attacco convenzionale ed in grande stile, giustamente, non era contemplato da nessuno. Per quanto riguarda, invece, il versante esclusivamente “terroristico”, esso rimaneva confinato all’interno: oggi noi abbiamo chiara nozione e consapevolezza circa l’alto tasso di violenza fra la popolazione americana e come, anche in un recente passato, avessero attecchito organizzazioni e gruppi paramilitari dall’inequivocabile indirizzo antistatuale ed antifederale.
Abbiamo assistito ad Oklahoma City (1994), una spaventosa azione terroristica portata a termine con grande capacità e perizia militare da elementi sicuramente americani. L’eccezione del precedente attentato al World Trade Center (1993) del quale vennero ritenuti responsabili alternativamente quei gruppi jihadisti improntati all’islamismo più estremo o, invece, le fazioni sciite filoiraniane tanto per mantenere viva e accesa la fiaccola dell’ostilità e dell’inimicizia nei confronti del paese degli ayatollah, ma la portata mediatica di quel fatto, verificatosi, peraltro, prima di internet e dei tempi dell’invadenza dei nuovi media, rimase tutto sommato e giustamente modesto.
Altro discorso per l’Undici Settembre, autentico spartiacque ed inizio dei famigerati anni Zero: nell’immediata e sensazionalistica visione del crollo delle Twin Towers l’invulnerabile superpotenza che, se non dirigeva, sicuramente condizionava pesantemente il destino di una fetta consistente dell’umanità sembrava vacillare e rischiare il collasso. Cuore e polmoni della struttura e del sistema statale ed economico erano stati inusitatamente colpiti mentre il Presidente pensava a cautelarsi da nuove azioni dal cielo. Questo, in poche parole, il quadro di quel che vedemmo e sentimmo quel giorno o, come sempre, credemmo di vedere e sentire. Inevitabili le domande più naturali, ovvie e banali balenarono fra i nostri confusi pensieri: “ma se loro sono in grado di infliggere una ferita quasi mortale al sistema statale, militare ed economico americano – quel sistema su cui si regge la “globalizzazione” e il futuro radioso del mondo – allora nessuno di noi è al sicuro ! Loro possono ucciderci tutti !” Con tutti i dubbi coltivati dagli scettici e da chi più è portato ad esercitare le socratiche facoltà di raziocinio, chi fra noi, almeno per un attimo non è stato assalito da quella paura alzi la mano ! Hollywood, che spesso ha “giocato” sulle paure allestendo costosissimi ed mirabolanti congegni spettacolari in cui si immaginavano assalti, attacchi, cospirazioni contro l’America per divertire e per esorcizzare le ansie degli spettatori , diventava tragica realtà. Hollywood è qui nella colonizzazione virtuale del reale, perché non conta quanto le paure del cittadino americano ed occidentale medio fossero o dilatate o mal indirizzate rispetto alla “concretezza” dei quelle terribili immagini. Se, quindi, l’Undici Settembre è il solco tracciato fra l’era del neocapitalismo “postmoderno” e l’epoca del neocapitalismo “(post)postmoderno”, la Crisi e la Paura rappresentano gli ingredienti aggiuntivi, il prezzemolo del Mondo Nuovo. All’ombra di un nichilismo quasi assoluto e della caduta di tutti gli dei fuorchè il Mercato, la Paura diviene l’elemento focale ed essenziale del neocapitalismo della “Crisi”. Sempre, in passato, il cittadino medio inserito nel tessuto urbano di una qualsiasi grande metropoli occidentale, ha coltivato e nutrito ansie e paure di una certa consistenza. Le nevrosi metropolitane hanno spesso alimentato la demagogia e le prospettive securitarie sotto il segno della “Zero tolerance”. Comunque rimaniamo nell’ambito delle “giungle d’asfalto” e ad aspetti che, tutto sommato, vengono percepiti come “naturali” ed inevitabili nei contesti cittadini. Paura della microcriminalità, della delinquenza spicciola, delle frenesie giovanili, ecc… Dopo l’Undici Settembre questi sentimenti, queste sensazioni si dilatano all’eccesso e vengono enfatizzate… E’ come se il mondo fosse diventato un’unica imponente e tenebrosa città insicura per tutti; un posto orribile da abitare per chiunque…
Perché loro sono ovunque e dispongono di tutti i mezzi per fare il nostro male. Invitabile, quindi, che un mediocre come George Bush jr abbia indossato le vesti del paladino e del cavaliere capace di rassicurarci, di proteggerci e di essere al contempo duro ed inflessibile con loro.
A metà strada fra l’eroe alla “Star Wars” e il mito western John Wajne, si è appuntato la stella di latta per stanare e punire i terroristi. “Wanted: dead or alive”: un poco salutare ritorno alla Frontiera nel contesto della globalizzazione imperante. Con Guantanamo o Abu Ghraib, Alcatraz riapre i suoi cancelli ai fuorilegge che infesterebbero il pianeta.
C’è qualcosa… qualcosa di maledettamente rassicurante in tutta questa rappresentazione feroce: ci era stato gentilmente spiegato che niente potrebbe essere paragonato al nostro sistema di vita occidentale ed eguagliarlo in benessere, ricchezza e civiltà. “La fine della storia” predicava un testo pseudoscientifico e propagandistico sulle incomparabili virtù del turbocapitalismo e del dominio americano qualche lustro fa. E’ la “fine” semplicemente perché l’apice è stato raggiunto in termini di sviluppo democratico ed economico e il “dopo” si configurerà come un eterno e radioso presente.
Però loro… coloro che vogliono distruggere l’America, si propongono anche di annientare il nostro sistema di vita ed essendo questo il migliore dei mondi possibili, Bene per definizione, ne consegue che loro non possono essere normali esseri umani, ma creature sataniche.
A partire proprio da Bush jr si è assistito al banale ed inquietante spreco di affermazioni, dichiarazioni e sparate (metaforiche) manichee. Viene riesumata la “guerra del Bene contro il Male”, un relitto della Guerra Fredda riproposto in un realtà polverizzata dalla fiction, dai realities e dai videogames, oggi rievocato appunto da Barack Obama e, più modestamente e provincialmente, dal Cavaliere. Di fronte a questo Male dilagante e che non arretra di fronte a nessun ostacolo, non si può che unirsi al coro che intona ed intonava il consueto refrain “Siamo tutti americani”. Ma se hai deciso di intraprendere altre strade e, magari, di cantare fuori da quel coro – oltre che da altri cori -, non hai scampo: o sei terrorista o amico e fiancheggiatore dei terroristi. Insomma, “siamo tutti americani” sia pure con tonalità diverse: dai neoconservatori ai nostri più modesti teocon o teodem; dai falchi d’oltroceano ai fondamentalisti cattolici e ai millenaristi protestanti; dai filoamericani agli ultrasionisti; dai cultori del neoliberismo e del Mercato ai padroni delle multinazionali; dai signori dell’energia ai complessi militari ed industriali; dai “con” ai “lab” passando per i “lib”; dalla (ex) nuova Sinistra neolibertaria e postsessantottina alla destra radicale razzista e xenofoba fino al cittadino qualunque, l’uomo della strada il quale, magari, prima era disinteressato alle meravigliose e progressive sorti del mondo. A farne le spese è soprattutto il giovane movimento “new o no” global già lacerato dalla repressione attuata durante il G8 genovese, il quale, dopo l’Undici Settembre, non potrà più essere lo stesso… Le simpatie inizialmente suscitate si spengono ineluttabilmente mentre la “rete” di associazioni, gruppi e centri sociali si sfalda di fronte a quelle che vengono percepite come le nuove emergenze… Il Mercato – è risaputo -, con il suo approccio pubblicitario, può facilmente impadronirsi di stili, linguaggi e comportamenti per volgerli a proprio profitto. Stretto fra Paura e lo spettro dell’integrazione al Sistema, il movimento perde mordente e prepara la sua fine. Se l’ex candidato alla presidenza degli USA Al Gore si impone convenientemente come il guru della nuova sensibilità ambientalista tradizionale sfera dei movimenti, questi spesso si fossilizzano sui temi del “terrorismo” e della “diffusione della democrazia”.
Chi non ricorda i bei tempi della Guerra Fredda ? Quando, almeno, esisteva un “nemico” – per chi tale lo reputava – chiaro e definibile ? Quando il Male, dopo la dolorosa, delirante e sanguinaria “parentesi” nazifascista, aveva assunto le fattezze dell’ingombrante e minaccioso impero sovietico e social comunista ? Chi ha cercato di promuovere la sensibilizzazione sul tema caldo della “islamofobia” dilagante in seguito all’attribuzione ad Al Qaeda delle esclusive responsabilità di quanto si verificò l’Undici Settembre non ha sbagliato indirizzo, ma, probabilmente, ha colto solo una porzione delle problematiche che vi sono connesse. La stessa misteriosa organizzazione terroristica capeggiata dal ricco rampollo di una facoltosa famiglia yemenita si è imposta come un oggetto indefinibile, un idra dalle mille teste e nessuna. Arabia Saudita, Afganistan, Pakistan, Iran, Somalia, ecc… Ovunque si avverte l’acro sapore del conflitto crudo e cruento fra Medio Oriente, Africa e Asia non si esita a fare il nome di Al Qaeda senza offrire un minimo di spiegazione sulle ragioni che la muovono e sulla sua struttura. Una Spectre che farebbe tremare qualsiasi buon 007 !
Siamo oramai oltre l”islamismo” e alle sue parole d’ordine: chi è riuscito ad ideare, progettare, organizzare e portare a termine l’operazione dell’Undici Settembre non può essere etichettato come un normale gruppo estremista composto da elementi sia pure fanatizzati e ben inquadrati. Questo aspetto riporta alla questione dell’indefinibilità e dell’impossibilità di poter descrivere ed identificare Loro. Quanto più il Male si allontana da qualsiasi attributo umano, viene separato dal nostro consorzio e si circonda di un’aura incomprensibile e misteriosa , tanto più la Paura attanaglierà menti e corpi lasciando, appunto, ad altri il compito di agire e pensare per il nostro Bene e la nostra Sicurezza.
E’ bene tenerselo bene a mente: la Loro presenza ci esenta così dalla fatica di prenderci la briga di riflettere sulla concretezza dei fatti, perchè altri ci rassicureranno con apparente dovizia di particolari e fatti sul pericolo imminente che come una spada di Damocle vibrerebbe sospesa sulle nostre piccole teste. Siamo all’essenza dell’autentico “complottismo”: se da un lato il mondo patirebbe la minaccia dell’internazionale dell’islamismo targata Al Qaeda, dall’altro potenti monoliti del Male tramerebbero per soggiogarci sotto le vesti demo – pluto- giudaico – massoniche, ecc… Non è da trascurare il crescente successo che il genere “complottista” ha conosciuto a partire dall’Undici Settembre proponendo, di volta in volta, lo schema basato sui maneggi e le trame di qualche potente elite o consorteria per dominare il mondo o per conservare un potere già acquisito con l’inganno, il raggiro, la menzogna, la manipolazione e la violenza. CFR, Bilderberg, Trilateral, Pentagono, CIA, MOSSAD, logge massoniche, sette, satanismo, fino all’incredibile denuncia del pericolo di un’invasione da parte di UFO o di extraterrestri nello stile del vecchio serial televisivo “Visitors” ! Solo grazie a questo nuovo clima attraversato dalle paure e dalle incertezze diffuse dai processi economici e comunicative della globalizzazione, dai cambiamenti subiti e patiti dall’ecosistema, dal presunto pericolo del “terrorismo” e dalla più generale Crisi della civiltà occidentale un mediocre, noioso ed improbabile romanzo come il celebre best seller di Dan Brown “Il codice da Vinci” poteva imporsi come un successo internazionale garantendo un’insperata fama e ricchezza imperitura al suo autore. A cavallo fra fiction, documentario e pamphlet di denuncia si sono moltiplicate le opere letterarie fondate su qualche tenebrosa e inquietante congrega di esseri malvagi e assetati di Potere che persegue il dominio del nostro mondo. Lo schema si ripete e mutano solo gli attori con varianti ora interessanti ora fantasiose: dalla massoneria agli antichi ordini cavallereschi; dalle sette sataniche ai “marziani”, ecc… Questa ondata era stata preceduta qualche anno prima dal successo di “X Files”, serie televisiva “complottista” ormai di culto nella quale venivano dosati e miscelati sapientemente e abilmente gli ingredienti topici di disparati generi di fiction televisiva, letteraria e cinematografica come la fantascienza, lo spionaggio, il poliziesco, il giallo, il thriller, il thrilling, l’horror e lo splatter. Nonostante l’assunto, l’intento degli autori e dei creatori del telefilm non era quello di imporre una visione della Storia in salsa “complottista”, ma di sperimentare nuove strade per i generi confinati al piccolo schermo introducendo storie fantastiche capaci di affascinare, divertire e anche far riflettere il pubblico “domestico”.
Dopo l’Undici Settembre, a ridosso di quegli incredibili e terribili eventi, è come se il genere lanciato da “X Files” avesse deciso di farsi prendere maledettamente sul serio ! Prima i discorsi sul “complottismo” si riducevano a più modesti e meno ambiziosi discorsi dietrologici senza la pretesa di ricostruire la Storia dalla notte dei tempi utilizzando un’unica ed esclusiva chiave di interpretazione. Basta confrontarsi con quello che può essere considerato il guru del genere, quel David Icke che, con indubbio talento creativo di scrittore, ha gettato nello stesso calderone gli ingredienti più disparati cercando di conferire al tutto un’immagine coerente e compatta. Il riferimento alla stirpe rettiliana degli extraterrestri pare proprio un degno omaggio alla succitata serie televisiva “Visitors”. Allucinato ma non privo di intelligenza, talento e genialità, Icke ha sintetizzato bene l’essenza di quel “complottismo” puro da lui stesso coltivato: il segreto è crederci e credere al “complotto” prima dell’esposizione dei fatti. In effetti per chi, come me, ha frequentato i luoghi aspri e perturbanti dei cosiddetti “misteri d’Italia” certe presunte rivelazioni dello scrittore inglese suscitano quantomeno un certo grado di perplessità. Ad esempio l’affermazione senza alcun riscontro oggettivo secondo la quale alcuni membri delle BR avrebbero svelato agli inquirenti di aver rapito e ucciso l’onorevole Moro dietro mandato del potente Henry Kissinger, già Segretario di Stato dell’amministrazione Nixon e tra i fondatori della Trilateral. Quel che si può contestare in queste parole non è tanto il riferimento sulle presunte o reali responsabilità del potente diplomatico quanto l’accenno al collegamento diretto con il gruppo terroristico, perché la manipolazione – da non escludere, anzi… – può essere stata attuata solo nell’inconsapevolezza dei membri del gruppo armato circa le manovre che si stavano mettendo a punto alle loro spalle. A chi avesse un minimo di conoscenza anche superficiale sui fatti e sui retroscena della strade di Bologna, invece, balza subito all’occhio e alla mente la scarsa attendibilità di Icke, il quale – e non è il solo – scrisse a più riprese che la responsabilità del gravissimo episodio delittuoso venne immediatamente attribuita alle stesse BR quando, invece, piuttosto, l’attenzione degli inquirenti si concentrò quasi immediatamente sugli ambienti giovanili del neofascismo che aveva aderito allo “spontaneismo armato”. Vien da chiedersi: ma se si ignorano taluni “piccoli” fatterelli a quale titolo poi si possono disegnare imponenti e ambiziosi scenari di complotti globali che affondano nella notte dei tempi ?
Personalmente devo ammettere che la lettura delle opere di Icke – come di altri autori – mi diverte, ma non val la pena di prendere sul serio determinate sue asserzioni. Neanche come semplici ipotesi da dimostrare…
Non si intende certo contestare in questa sede il ruolo della controinformazione e del giornalismo investigativo ben condotto ed oliato. Vero è che, sin dai primordi della Storia, il mondo è stato attraversato da complotti di varia portata nutriti dall’ambizione, dal desiderio di potere e dalla sete di lusso e ricchezza e che, la comune informazione mainstream risulta estremamente selettiva rispetto alle notizie da propalare ai lettori e agli spettatori con il risultato di falsare e manipolare la visione dei fatti, spesso presentati in maniera volutamente parziale o tendenziosa. Porsi i (giusti) interrogativi e cercare di documentarsi per rispondere; adoperarsi per giungere a versioni delle questioni poste in maniera tale da avvicinarsi il più possibile a quel che assomiglia alla Verità… Ecco quel che più dobbiamo auspicare ! Se Mr. Icke e suoi pupilli o adepti rappresentano la punta più avanzata ed estrema del cosiddetto “complottismo”, ciò che accomuna la maggior parte degli autori che vi sono riconducibili è proprio l’incredibile “reductio ad unum”, l’idea del Grande Complotto perpetrato da un pugno di esseri o creature diaboliche per schiavizzare e sottomettere l’Umanità. Eliminati costoro il mondo tornerà ad essere un mondo meraviglioso popolato da uomini e donne buone e pacifiche che, ormai liberati dall’inganno e dalla manipolazione, potranno riscoprire le loro più genuine radici. Si badi bene: è un’ipotesi come un’altra e, magari, non completamente campata per aria. Ovviamente anche i “complottismi” hanno le loro ragioni e si fondano sull’interpretazione e l’analisi di dati, informazioni e documenti. Purtroppo, però, coloro che abbracciano questo approccio non pretendono in genere dal fruitore un sforzo di riflessione per mettersi in discussione. L’atto di fede è d’obbligo e non concede molto spazio alle altrui opinioni. La perentorietà del “complottismo” richiede spesso solo adesione, indiscussa ed indiscutibile.
Come sappiamo, invece, un’attenta lettura di tali opere mostra tutte le crepe e le fragilità dell’impianto, nel merito e nel metodo. La “disumanizzazione” del Potere e dei poteri occulti nelle forme con cui vengono di volta in volta plasmate fa tanto il paio con quelle guerre “stellari”, di “civiltà”, “umanitarie”, ecc… che il mondo occidentale si perita di muovere per salvarci dal Male. Probabilmente cambia solo l’obiettivo, ma il manicheismo è sempre là dietro, in costante agguato. In tal modo anche la complessità, la necessità di tener conto di una pluralità di fattori e di sfaccettature per affrontare determinati argomenti vengono sacrificate su questo Altare. Indubbiamente allo scopo di razionalizzare non si può evitare di semplificare e adottare concetti che aiutino a mettere ordine nella congerie di informazioni ad esempio, in questo contesto, introducendo nozioni come Sistema e Mercato per chiarire lo sviluppo del discorso. Per quanto sia “totalizzante” il Mercato e omologante la (sub)cultura edonista e consumista che l’accompagna, esiste sempre uno spazio di scarto fra il linguaggio e la realtà. La reductio ad unum ci risparmia lo sforzo e la fatica di confrontarci con quello scarto. Poniamo una piccola domanda: ipotizziamo che l’Occidente non sia solo un luogo e un tempo concettuale indifferenziato, ma che si traduca tale e quale nella realtà. Poco importa se è frutto o meno di un immenso Complotto ! Come possiamo, in tale ottica, analizzare e dare una spiegazione a quei fenomeni mafiosi e corruttivi che – nel contesto europeo, ad esempio – paiono connotare pesantemente l’Italia. Come mai, a differenza che da noi, in Francia, Germania, Spagna, ecc… le opere pubbliche vengono ultimate a costi ragionevoli ? Indubbiamente la risposta và cercata altrove rispetto alla consueta prospettiva “complottista”…
Si ritiene da più parti che l’indubbio merito del “complottismo” risieda proprio nella capacità di mettere in discussione e smontare le versioni ufficiali ed accettate di determinati fatti e probabilmente tale asserzione non è lontana dalla verità, tuttavia si ricade nel vizio che si imputa generalmente ai custodi del Potere e del Mercato. Imponendoci una prospettiva esclusiva ed unica ci impediamo di affrontare in maniera più approfondita i meccanismi che presiedono il Potere e un’analisi più circostanziata delle guerre che agitano le varie “bande” altolocate per l’accaparramento delle risorse materiali, immateriali, finanziarie e pecuniarie. Trasferendo il Male in altri luoghi (massoneria, ordini cavallereschi, sette, ecc…) lo cancelliamo, in realtà, dalla storia dell’uomo trascurandone l’ontologia e la psicologia. Per quanto potente un’elite finanziaria – politico – militare globale non ha forse bisogno dell’Odio, della Rabbia e della Paura delle masse ?
E quest’Odio, questa Rabbia e questa Paura sono semplicemente indotte da quelle menti perverse e diaboliche o non fanno forse anche parte dell’umana natura ?
Da ultimo devo confessare di aver spesso avvertito in coloro che si sono distinti per il loro “complottismo” una bella dose di protervia e presunzione. Spesso questi giornalisti e scrittori si presentano come i paladini della Verità, coloro che hanno scoperchiato un pozzo apparentemente senza fondo denunciando gli intrighi più incredibili. Con vaghi accenti populisti promettono di smascherare tutti gli inganni e le menzogne del Potere per promuovere una palingenesi “rivoluzionaria” di masse apatiche allo stato attuale. In realtà nessuno si prende mai la briga di proporre una prospettiva autenticamente alternativa e “altra” rispetto al Sistema e dalla lettura si può ben comprendere il perché… Loro possiedono tali conoscenze e nozioni tecnologiche e scientifiche da non consentire la benché minima possibilità di reazione. Le potenti elite che dominano il mondo hanno già soggiogato da lustri la razza umana e perfino le rivoluzioni – all’interno di quest’ottica – vengono ricondotte allo stesso disegno. Ma come può pensare una testa che ha normalmente il vizio di pensare di poter opporsi a un Sistema che ha una tale capacità di dominio e manipolazione ? A ben vedere il Complotto è assente in questi testi, perché si è già realizzato da tempo senza che noi potessimo accorgercene. Al limite chi veramente complotta contro il Complotto è alfine destinato a fallire miseramente e giustamente.
In definitiva il “complottismo” – quello vero, quello duro – offre una visione che definire pessimista è chiaramente eufemistico: il mondo è destinato alla rovina e alla distruzione. Conviene forse impegnarsi con serietà, raziocinio e passione per qualsivoglia causa ?
Loro hanno sempre e comunque partita vinta…
Se a guardare in alto la nostra paura è orientata verso Loro, abbassando il nostro sguardo e rivolgendoci verso ciò che si presenta al nostro cospetto la paura si dirige verso l’Altro che non è semplicemente il portatore di un’altra cultura, di un’altra religione, di altri costumi sessuali, ecc…ma può pure presentare le fattezza del nostro vicino più prossimo. Annusando l’odore della strada l’Altro è sempre in agguato… L’Undici Settembre ha amplificato le ragioni della nostre paure modificando la natura delle relazioni interpersonali. Più che di comprensione sentiamo il richiamo dell’urto… Più che l’esigenza della cooperazione ci attrae lo scontro… Possiamo diffidare dei seguaci dell’Islam, degli immigrati extracomunitari e dei loro retaggi culturali, delle altre razze, di coloro che non praticano quello che riteniamo forme di sessualità ortodosse… Possiamo storcere il naso e disprezzare coloro che portano gli orecchini, che hanno le teste rasate o i capelli lunghi, oppure per qualche particolare dettaglio anatomico… Possiamo nutrire astio nei confronti delle intemperanze giovanili o, per converso, della vecchiaia; nei confronti dei bevitori o dei fumatori, ecc… Ground Zero si è trascinata la Crisi e con lei le Paure dettate dall’incertezza e della precarietà… E quelle Paure alimentano odio, rabbia, rancore, disprezzo e violenza fisica e verbale… E’ come se fosse un’energia distruttiva ed incontenibile che, da qualche parte, deve pure esplodere. La cronaca quotidiana si riempie sempre più di atti caratterizzati da un’efferatezza estrema, apparentemente sganciati l’uno dall’altro, ma che si segnalano per l’apparente insensatezza. Inusitate violenze familiari, risse provocate dai più futili motivi, teppismo urbano, ecc… Fino all’inevitabile corollario del razzismo e della xenofobia che si accompagnano all’intensificazione dei fenomeni migratori. Con l’Undici Settembre si (ri)scopre l’Altro che null’altro è che Altro da me… Chiusi fra le quattro mura domestiche, ormai non ricerchiamo più l’incontro con il prossimo, perché sentiamo il peso di tutta la sua estraneità… Perché è l’Altro…
Nella migliore delle ipotesi nutriremo nei suoi confronti sentimenti di diffidenza e riprovazione, nelle peggiori entrerà nel nostro mirino personale perché l’Altro è l’avversario, tutto ciò di cui dobbiamo avere paura…
Se Loro stanno troppo in alto per poter essere sopraffatti, l’Altro respira la nostra aria, cammina ripetendo i nostri passi, frequenta i nostri locali, ecc… In questo caso è molto agevole passare alle vie di fatto… Scordatevi però le grandi parole d’ordine identitarie fondate sulla civiltà e sull’identità religiosa, nazionale o razziale: l’Altro si presenta per quello che visibilmente è, un altro individuo. Non stiamo assistendo a nessuna nobile “guerra di civiltà”, ma alla cieca violenza urbana e (post)postmoderna esercitata da individui su altri individui non graditi, qualcosa che richiama alla mente la prehobbesiana “guerra di tutti contro tutti”, combattuta quotidianamente nei quartieri e per le strade. Non può che essere così in un mondo come il nostro, ancora lacerato dalle identità artificiose, fragili e deboli.
Ground Zero è una bomba…
Una bomba a grappolo puntata sulle nostre capitali occidentali…
Ed ognuno di noi è l’acino mortale…
Quella bomba è esplosa da tempo…
A quando le altre “minuscole” esplosioni ?
HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org