di
Felice Capretta
La grande fuga dal debito pubblico USA
Ci racconta oggi City, giornale distribuito gratuitamente a decine di migliaia di pendolari ogni mattina, che solo un italiano su quattro sa cambiare una ruota.
Si tratta solitamente di 5 bulloni, un martinetto a vite e uno svitabulloni. Per il resto, si tratta di un buco e di un cerchio intorno, un po’ come le famose caramelle alla menta di una volta.
Oppure, i più giovani ricorderanno la ciambella di Homer.
Molto interessante, ancorchè drammatico.
Già.
Forse sarebbe stato opportuno dare un pochino di spazio ad una interessante news, ancora una volta in campo economico, di cui ci da’ notizia wallstreetitalia.
Risulta infatti che Washington non sa più a chi rifilare i suoi titoli di debito.
Se non sapete cos’e’ un titolo di debito, eufemisticamente definito “buono del tesoro”, vi rimandiamo alla prima parte di questo nostro post sul meccanismo dei titoli di debito.
Una questione di tasso
Chiamiamo di nuovo in causa il nostro amico Oreste Lavolpe, attento investitore, che ci aiuta nel districarci nella foresta del mondo della finanza.
Oreste Lavolpe, avendo compreso ormai con chiarezza il meccanismo del debito pubblico, sa esattamente come vanno le cose.
Tuttavia, ha da parte i suoi 100 euro di risparmi e da qualche parte li vuole investire.
Oreste è anche un individuo avverso al rischio, come tutta la famiglia Lavolpe, e preferisce un investimento sicuro.
Scarta così tutte le azioni, che sono soggette alle fluttuazioni del mercato. Scarta anche le obbligazioni, che sono titoli di debito emessi dalle aziende, perchè qualunque azienda è a rischio fallimento, un giorno o l’altro.
Scarta naturalmente tutto cio’ che è speculativo, come i derivati e altre strane porcherie come i CDS (se non sapete cosa sono i cds, credit default swap, andate qui).
Non resta molto.
Restano i titoli del debito pubblico, altrimenti detti Buoni del Tesoro, o BOT per farla breve.
Già, ma di quale stato…? Italia, Germania, USA, Argentina, Zimbabwe?
Il rischio e il rendimento
Ora dovrebbe essere chiaro che in genere gli individui sono avversi al rischio.
Tra avere 100 oggi e avere 100 domani, meglio avere 100 oggi, che domani non si sa.
Prendiamo Oreste Lavolpe.
Ha 100 euro di risparmi da investire per un anno.
Se decidesse di lasciare quei soldi sotto la mattonella, sa che mettendoci 100 euro oggi avrebbe sempre 100 euro dopo un anno (salvo inflazione, ma questo è un altro discorso per il quale vi rimandiamo a questo post).
La mattonella è un investimento sicurissimo, quasi privo di rischio (salvo ladri cercatori di mattonelle, incendi e cadute di meteoriti).
Come tale, è anche privo anche di rendimento.
Ribadiamo infatti che gli individui sono avversi al rischio.
Al massimo, se vogliono sobbarcarsi un rischio, vogliono essere pagati lautamente.
Questo vale anche per i titoli.
Prendiamo un titolo molto rischioso, come – che so – un’obbligazione sul debito Caniestracci Oil, che servirà a finanziare estrazioni petrolifere nelle famose riserve di idrocarburi della Valtaleggio (BG).
Naturalmente un individuo accorto come Oreste Lavolpe sa che si tratta di un titolo ad alto rischio e si aspetta che, dando 100 euro oggi in cambio del titolo, a scadenza dovrà avere sempre 100 euro più – come minimo – altri 30 euro a titolo di interesse.
Tasso di interesse, o rendimento, 30%.
Non male, come premio per il rischio!
I mercati (in un mondo perfetto) o chi emette il titolo generalmente sono in grado di fissare il prezzo “giusto” per il rischio di un titolo.
Un titolo di stato italiano, per esempio, renderà molto poco. L’1%, forse il 2%, non di più. Per quanto italiano, è pur sempre un titolo di stato, e il rischio che corre uno stato è quello di fare default, come è successo all’Argentina nel 2001. Ed è un rischio apparentemente molto remoto.
Supponiamo che il titolo di debito italiano abbia un rendimento dell’1%.
100 euro oggi in cambio di 100 + 1 = 101 euro tra un anno.
Un titolo di stato dello Zimbabwe, con il dovuto rispetto per lo Zimbabwe, è considerato più rischioso di un titolo di stato italiano. Ma supponiamo che lo Zimbabwe emetta titoli di stato all’1%, come Roma. 100 euro oggi in cambio di 100 + 1 = 101 euro tra un anno.
Cosa farà Oreste Lavolpe?
Investirà i suoi 100 in titoli di stato italiani o in titoli dello Zimbabwe?
Facile.
Oreste, investitore accorto e avverso al rischio, investirà in titoli italiani.
Un disperato bisogno di soldi
Disperazione nello Zimbabwe: nessuno vuole comprare i titoli del debito pubblico!
Non ci sono soldi per pagare i muratori che costruiscono gli ospedali pubblici, le scuole, l’esercito, e così via.
Cosa farà allora il ministro dell’economia dello Zimbabwe?
Offrirà titoli di stato con un rendimento più elevato, diciamo il 10%. 100 euro oggi in cambio di 100 + 10 = 110 euro a scadenza.
Per Oreste la scelta è ora difficile: meglio investire 100 euro oggi e ottenere 101 tra un anno con un certo margine di sicurezza, o ottenere 110 tra un anno con un certo margine di insicurezza?
Dipende da quanto Oreste si sente di rischiare.
Il tasso di interesse sul debito pubblico
Al di là del concetto di rischio e preferenze connesse, che restano una scelta individuale, questo meccanismo è particolarmente significativo se visto dalla parte degli stati.
E’ infatti evidente che uno stato “solido” si puo’ permettere di emettere titoli di debito ad un tasso di interesse contenuto, mentre uno stato “traballante” e a rischio è costretto ad alzare il tasso di interesse per attirare investitori.
Se offre i titoli di debito ad un tasso troppo basso rischia, come lo Zimbabwe, di trovarsi il magazzino pieno di titoli di debito che nessuno vuole comprare.
Ma, come abbiamo visto nel post sul debito pubblico, se lo stato non vende i suoi titoli di debito resta a secco e non puo’ più pagare i suoi creditori.
Default, o contadini con il forcone in strada e in parlamento.
Il cappio si stringe
Ora sappiamo che uno stato indebitato e pericolante e bisognoso di quattrini deve vendere quei titoli di debito altamente rischiosi, altrimenti è finita.
E per farlo deve alzare il rendimento dei titoli di stato: diciamo al 10%.
Ma alla fine del periodo, un anno dopo, deve pagare 110 per ogni 100 che ha ottenuto.
Il che – naturalmente – si traduce in un peggioramento delle sue condizioni economiche ed una maggiore dipendenza dal debito.
E se rialza i tassi, per un meccanismo che non approfondiamo ora, strangola la sua economia, cosa che negli USA oggi potrebbe essere letale.
Potrà uscirne facendo default come ha fatto Buenos Ayres, o svalutando pesantemente, come la Germania del Reich. Anche questa è un’altra storia.
USA, 2010 AD
Negli USA stiamo assistendo a questo fenomeno proprio in questo momento.
L’apocalisse economica del 2008 è stata fermata solo con un mostruoso indebitamento dello stato, che ha distribuito denaro a pioggia alle banche.
Il costo è stato una enorme voragine nera di debito pubblico che è stato finanziato con una enorme quantità di titoli di debito pubblico.
Cina e Giappone sono gli stati che – storicamente – hanno acquistato massicce quantità di titoli di debito USA. Come Oreste Lavolpe, sono avversi al rischio e finora hanno piazzato i loro risparmi nel posto più sicuro possibile: nel debito dello stato della prima economia mondiale.
Come sappiamo dalle notizie riportate su IS nei mesi passati, è ormai noto che Pechino soprattutto sta avendo forti dubbi sulla capacità di Washington di ripagare il debito.
In pratica, Pechino ha iniziato a chiedersi se le finanze di Washington non diventate troppo simili a quelle dello Zimbabwe.
Il dubbio è legittimo, visto lo spropositato aumento del debito pubblico per salvare Wall Street.
Come Oreste, si chiedono se gli conviene rischiare o investire altrove.
Ecco gli effetti…
2009, Giappone supera Cina in debito USA
Infine, ecco la notizia da Wallstreetitalia :
Il calo record della domanda internazionale di buoni del Tesoro americani è un nuovo segnale preoccupante per le finanze pubbliche di Washington.
Se la quota di Treasury bonds nei portafogli degli investitori esteri continueranno a calare, gli Stati Uniti potrebbero essere costretti a pagare tassi di interesse più alti, proprio in un momento in cui devono fare i conti con deficit mai visti prima nella loro storia.
Il dipartimento del Tesoro ha detto oggi che gli investimenti stranieri in debito americano sono scesi di 53 miliardi di dollari in dicembre, sorpassando il precedente record di 44,5 miliardi, registrato nell’aprile 2009.
La sola Cina ha diminuito il valore dei Treasuries detenuti di 34,2 miliardi di dollari e in questo modo il Giappone, che ha ridotto comunque i suoi investimenti in asset a stelle e strisce di 11,5 miliardi di dollari, è tornato così al primo posto tra i paesi investitori in debito americano, con un totale di 768,8 miliardi di dollari, contro i 755,4 miliardi della Cina.
Pechino ha recentemente espresso preoccupazioni sull’affidabilità dei suoi asset denominati in dollari, alla luce dell’enorme deficit nei conti pubblici di Washington.
Lo scorso giugno il segretario al Tesoro Timothy Geithner si è recato a Pechino e ha rassicurato il governo cinese dicendo che gli investimenti in Treasury sono "molto sicuri" (notevole argomentazione, NDFC).
Ma i media di stato cinesi esprimono una crescente opposizione alla politica di acquistare massiccio debito americano in un momento in cui l’amministrazione Obama presenta deficit record.
L’1 febbraio il governo americano ha comunicato che il deficit del bilancio pubblico quest’anno toccherà il record di 1.560 miliardi di dollari, ben oltre quello di 1.400 fissato l’anno scorso.
Si conclude qui la notizia…che forse, con una piccola introduzione come la nostra, poteva valere la pena di essere resa comprensibile – anche su City.