DI

WILLIAM ENGDAHL
financialsense.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La decisione della Federal Reserve di alzare i tassi d’interesse non è certamente un segno di fiducia degli USA nella ripresa economica né un segnale che la politica della Fed stia lentamente tornando alla normalità come dichiarato. È più che altro un segnale di panico riguardo la debolezza dei mercati di obbligazione del governo statunitense, il cuore del sistema finanziario del dollaro.
I mercati finanziari hanno reagito con grande gioia, comprando dollari e vendendo euro, alla decisione della Fed di alzare i tassi per la prima volta dal 2006 nell’ambito del cosiddetto “tasso di sconto”, salendo dallo 0,5% al 0,75%. Il tasso di sconto è il tasso di interesse imposto alle banche per prendere prestiti dalla banca centrale. Allo stesso tempo la Fed ha lasciato invariato e storicamente basso – tra 0,0% e lo 0,25% – il suo ben più importante tasso a breve termine dei fondi-Fed.
Nel suo discorso ufficiale il consiglio di amministrazione ha dichiarato che la manovra sui tassi era intesa per riportare le banche private all’interno del mercato dei prestiti tra privati e sganciarle dalla dipendenza dei soldi sussidiati della Federal Reserve che erano stati stanziati fin dall’inizio della crisi nell’agosto 2007.
La decisione, in parole povere, era pensata per dare l’impressione di un “ritorno al business come al solito”. Allo stesso tempo, esperti finanziari come George Soros continuano a parlare apertamente di una sostanziale debolezza dell’euro. Il che ha l’effetto di tenere la pressione speculativa lontano dai fondamentalmente più gravi fondamenti economici e finanziari all’interno della zona dollaro e alle spese dell’euro. La verità è che il mondo del dollaro sta facendo tutt’altro che “tornare alla normalità”.
“Deficit insostenibili”
Il presidente conservativo della St. Louis Federal Reserve Bank, Thomas Hoenig ha recentemente avvisato in un piccolo discorso riportato che se l’entità del debito del Federal Reserve Budget non viene significativamente e drasticamente ridotto, il debito pubblico diventerà presto simile a quello di Italia e Grecia, superando il 100%. In un altro discorso Hoenig ha sottolineato che “le proiezioni fiscali per gli Stati Uniti sono così sconvolgenti che, in un modo o nell’altro, la riforma dovrà esserci. La politica sta seguendo un percorso insostenibile. Il governo degli Stati Uniti deve fare delle modifiche ai propri programmi di spesa e tasse. Del resto, è semplice. Se non vengono adottate misure preventive e correttive riguardo le prospettive fiscali, gli Stati Uniti rischiano di provocare la loro prossima crisi.”
Tradotto nel linguaggio profano, questo significa operare tagli selvaggi alle spese del Governo in un momento in cui la disoccupazione reale sta salendo a una portata ufficiosa del 23% della forza lavoro, e gli stati lottando per tagliare le proprie spese, mentre i dollari federali scompaiono.
In breve, l’economia degli Stati Uniti, anche se nessuno vuole ammetterlo, è nel bel mezzo di una “trappola da debiti” in stile Terzo Mondo. Se il Governo taglia il deficit, l’economia cadrà ancora di più in una fase di depressione. Ma se continua a stampare moneta e a vendere debiti, i compratori dei debiti del tesoro americani cominceranno a un certo punto a rifiutarsi di comprare, determinando un brusco innalzamento dei tassi di interesse nel bel mezzo di condizioni altrettanto catastrofiche per l’economia.
Boicottaggio dell’obbligazione ?
La seconda opzione, quella di un boicottaggio da parte dei compratori delle obbligazioni americane, potrebbe essere già iniziata. L’11 febbraio, la tesoreria statunitense ha tenuto un’asta di 16 bilioni di dollari per 30 anni di obbligazioni e titoli per finanziare il suo deficit esplosivo. In un piccolo articolo di resoconto di una vendita che non era andata bene in termini di domanda, le banche centrali straniere hanno ridotto la propria quota di acquisto da una media recente del 43% da un totale di appena il 28%. Le più grandi banche centrali compratrici del debito statunitense negli ultimi anni sono stati quella cinese e quella giapponese. Inoltre, sembra che la stessa Federal Reserve sia stata obbligata a comprare la domanda debole, il 24% del totale delle obbligazioni vendute contro il 5% soltanto il mese precedente.
Il deficit della Federal raggiungerà un picco stimato di 1,6 trilioni di dollari nell’arco del corrente anno fiscale che finisce a settembre 2010 continuerà l’anno prossimo e per almeno un’altra intera decade, superando una media di 1 trilione all’anno.
La situazione si aggraverà ulteriormente perché la generazione successiva alla seconda guerra mondiale, la cosiddetta generazione del baby-boom nata tra il 1945 e il 1966, inizierà ad andare in pensione in grandi quantità. Ciò priverà il governo federale delle entrate di tasse alla sicurezza sociale, che passerà dal costituire un attivo per il budget della Federal Reserve a un passivo, perché dovrà pagare la pensione ai suoi ex lavoratori. Questo aggraverà molto l’entità del debito nel corso della prossima decade e anche oltre.
La super-inflazionata era del “budget surplus” di Clinton non era in realtà il risultato di niente di fatto da Clinton o dai suoi segretari del tesoro Robert Rubin e Larry Summers. È successo più a causa dell’ingannevole pratica di contare sulle entrate della Social Security fin da quella generazione. Questa entrata di tasse ha iniziato a trasformarsi in quella che diventerà un’enorme uscita durante la prossima decade.
“Una nuova sindrome cinese”
Ad ogni modo, in risposta a tutto questo sembra implementare una serie di politiche folli, con un’azione in diretta contraddizione rispetto a un’altra. È questo il caso dei recenti sviluppi nei rapporti tra Washington e la Cina, la più grande compratrice delle obbligazioni degli Stati Uniti, almeno negli ultimi mesi.
La Casa Bianca di Obama ha di recente imposto tariffe punitive per l’importazione di pneumatici da auto cinesi. Ha poi innalzato la frizione nelle relazioni con i suoi più grandi creditori annunciando una provocatoria vendita di armi di bilioni di dollari a Tawain, con grande protesta della Cina. In più, il segretario di Stato Hillary Clinton si è intromessa nella regolamentazione interna di Internt in Cina criticandola apertamente per presunta censura. Poi, tanto per gettare sale sulla ferita, il presidente Obama ha incontrato il Dalai Lama in una cerimonia ufficiale a Washington il 18 febbraio. Un genuino interesse per il benessere dei monaci tibetani non era probabilmente la ragione. Serviva piuttosto per segnalare una più forte pressione degli USA sulla Cina. Ufficialmente, a quell’appuntamento, Pechino ha reagito in modo calmo, anche se fermo e deciso. La sua risposta, ad ogni modo, potrebbe arrivare su un’arena finanziaria più che politica, qualcosa che il vecchio filosofo cinese militare, Sun Tzu, ha senza dubbio suggerito.
Sembra che il governo cinese abbia già iniziato a reagire all’inopportuna pressione degli Stati Uniti boicottando l’acquisto dei debiti della tesoreria statunitense. A dicembre i cinesi erano venditori netti delle obbligazioni del governo US, vendendo più dei 43 bilioni di dollari del valore dei debiti statunitensi. Ricavato il suo enorme surplus annuale di mercato dai suoi guadagni di esportazione, la Banca Nazionale Cinese attualmente detiene riserve di valute straniere e altri attivi, incluso oro, per un valore di 2,4 trilioni di dollari. O per lo meno il 60% di quanto è stimato essere nella tesoreria statunitense e altri debiti garantiti del governo, forse per una somma vicina a 1,4 trilioni. Se la Cina continua a riversare debiti sui mercati finanziari internazionali, il dollaro crollerà e un’ondata di crisi ne deriverà in tutta Wall Street e oltre.
Provare a contenere questa tendenza al boicottaggio dell’acquisto di obbligazioni statunitensi da parte delle banche centrali internazionali e delle altre, è stata probabilmente la vera ragione per la quale la Bernake Fed ha improvvisamente innalzato il tasso di interesse, nonostante il peggioramento dell’economia domestica in termini reali. Sembrano tutti essere coinvolti in un colossale gioco di bluff di mercato, per provare a convincere che “il peggio è passato”.
Che la mossa della Fed, così come i recenti fondi di contenimento e gli attacchi di Wall Street nel contesto degli avvenimenti greci, sembrano sempre di più economie coperte di guerra per la futura sopravvivenza del dollaro come principale valuta mondiale. Come spiega il mio ultimo libro Gods of Money:Wall Street e la morte del secolo americano il potere globale americano a partire dal 1945 è dipeso dall’avere il dollaro come valuta di riserva mondiale indiscussa e l’esercito americano come il potere dominante del mondo. Se il dollaro si svaluta, l’esercito diventa vulnerabile a sua volta.
La Fed è in una situazione tanto disperata da tentare di evitare un totale panico di vendite delle obbligazioni che potrebbe provocare un reazione di collasso finanziario a catena. Questo è il motivo per cui ha innalzato un tasso lasciando a zero il ben più importante tasso dei fondi Fed. È un bluff disperato. Fino ad ora i lemming del mercato finanziario sembrano aver abboccato. Fino a quando durerà non è chiaro.
Non appena la crisi greca sarà risolta e diventerà chiaro che la situazione, per quanto difficile, in Spagna, Portogallo e Italia non sono da considerare in default, perché i loro problemi non sono vicini a una fine, le prospettive per il dollaro e per l’euro potrebbero cambiare drammaticamente.
In questo scenario la banca centrale cinese possiede maggior potere per decidere il risultato. Uno delle possibili conseguenze della crescita globale dell’impasse è la prospettiva per cui la banca popolare cinese aumenterà drasticamente il suo acquisto delle riserve di oro e argento. Che, uno alla volta, potrebbero servire la Cina molto meglio che il comprare i debiti americani e servirebbero da base per stabilire un ruolo futuro della propria valuta nel mercato nazionale e internazionale, per di più in modo indipendente dall’euro e dal dollaro.
“Un’opportunità d’oro”
Le riserve cinesi di oro sono state fino a poco tempo fa relativamente basse in confronto alla portata delle sue riserve totali. Le riserve ufficiali di oro della banca centrale cinese erano 1054 tonnellate a marzo 2009, per un valore di circa 37 bilioni di dollari al prezzo attuale. Il che costituisce soltanto l’1,5% delle sue riserve totali e che è comunque cresciuto del 76% dal 2003. In media, le banche centrali internazionali mantengono circa il 10% delle loro riserve d’oro. La Bundensbank tedesca mantiene circa 3400 tonnellate di oro, la seconda quantità maggiore dopo la Federal Reserve. Solamente per raggiungere il 10% di quel livello, la Cina dovrebbe acquistare un valore di più di 200 bilioni di dollari- più o meno l’equivalente di due anni di produzione di una miniera globale.
L’argento non è in genere una parte consistente delle riserve della maggior parte delle nazioni, ma la Cina è storicamente un’eccezione, perché ai tempi dell’impero prima del 1900 basava la propria economia su uno standard di argento più che su uno d’oro, così ha mantenuto consistenti riserve d’argento. Uno degli scopi della “Guerra dell’Oppio” del 1840 contro la Cina era prosciugare lo stato cinese delle sue riserve di valuta d’argento in vantaggio dello standard d’oro britannico.
Nel 2001 e nel 2002 la Cina era uno dei maggiori venditori di argento, vendendo un totale di 100 milioni di once al prezzo di soli 5 dollari l’una. Da quel momento in poi, ha smesso di vendere argento. Lo scorso settembre, il governo cinese ha fatto passare un decreto che incoraggiava i risparmiatori cinesi a comprare l’argento, spiegando che l’acquisto di argento sarebbe stato un buon investimento dal momento che il rapporto di prezzo tra oro e argento era di 70 a 1, storicamente molto alto, offrendo così loro lingotti di piccola valuta con cui acquistarlo, e impedendogli di esportare l’argento dalla Cina.
Questa è stata quasi certamente una mossa studiata per smorzare la speculazione sui mercati di stoccaggio e per contenere la crescita della domanda di soldi, dal momento che i depositi delle banche convertite in argento sarebbero stati effettivamente sterilizzati. Inoltre, se la tanto attesa crisi del sistema bancario cinese si evolverà mai, l’effetto sul sofferente pubblico cinese sarebbe mitigato se le persone mantenessero un benessere minimo nella forma di lingotti prontamente negoziabili.
È molto verosimile che la Cina sia ora un compratore molto importante di argento, e ancora di più d’oro. Dunque, una liquidazione delle holding della banca popolare cinese delle tesorerie statunitensi potrebbe ricavare un compenso attraverso l’acquisto d’oro a proprio nome e d’argento per soddisfare il pubblico cinese.

Fonte: www.financialsense.com
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VIOLA CAON