DI
PAOLO FRANCESCHETTI
paolofranceschetti.blogspot.com
Sono oltre 25 anni che vivo in mezzo al diritto. 25 anni di esperienze con carabinieri, polizia, magistratura, e operatori del diritto in genere.
E voglio festeggiarli facendo un resoconto.
Da quando sono entrato alla facoltà di legge ne ho viste un po’ di tutti colori, e molti amici, ex compagni, conoscenti, sono diventati magistrati, poliziotti, avvocati… l’insegnamento nelle scuole post-universitarie, poi, ai corsi di magistratura e avvocatura, mi ha dato modo di conoscere molte persone oggi magistrati, avvocati, e operatori nel settore della giustizia in generale.
Voglio fare un lungo racconto degli aneddoti principali della mia vita, con una riflessione finale.
Nella foto: i protagonisti della serie poliziesca di Raitre "La Nuova Squadra"
Claudio
Quando facevo l’università, a 20 anni, uno dei miei compagni di casa, Claudio, ospitò per una settimana una ragazza che faceva la prostituta per farle un favore, perché questa non sapeva dove andare. Era venuta in Italia con la promessa di un matrimonio ed era stata bidonata all’arrivo dal suo promesso sposo.
La ospitò quindi per qualche giorno finché questa non avesse trovato una sistemazione.
Dopo qualche giorno gli arrivò una citazione a giudizio per sfruttamento della prostituzione, e sequestro di persona, e percosse; in sostanza la donna aveva detto alla polizia di essere stata sequestrata e picchiata da questo mio amico. L’avvocato cui si rivolse il mio amico la mise sul tragico e predisse una serie di sciagure giudiziarie, che loro potevano evitare – ovviamente – versando milioni e milioni di parcella.
Claudio, preoccupatissimo, parlava con me e io non riuscivo a capire la situazione. La cosa assurda poi era che, nonostante questa denuncia, nessuno venne a perquisire la casa; nessuno venne a fare domande a noi altri abitanti della casa (che avremmo potuto testimoniare la falsità delle accuse).
Soprattutto, un eventuale sopralluogo avrebbe potuto dimostrare l’assurdità delle accuse mosse, per un motivo semplicissimo: la nostra casa era infatti un enorme loft, di 200 metri quadri, ove una parete (la parete che dava sulla strada) era costituita unicamente da… vetro. In altre parole una parete della casa era costituita da un’immensa vetrata che dava sulla strada, da cui chiunque poteva guardare dentro casa, e noi potevamo vedere fuori. Anche le poche porte che chiudevano le stanze da letto al piano sopra, erano di vetro.
Era impossibile quindi sequestrare qualcuno, perché questo qualcuno avrebbe potuto liberarsi con un semplice calcio alla parete. Per giunta la casa era al piano terra.
E solo un idiota sequestrerebbe una persona nascondendola in un locale con un’immensa parete di vetro che dà sulla strada. La nostra casa infatti era così strana che i miei amici la chiamavano “il mobilificio”, perché in effetti sembrava un grande negozio, non un appartamento.
Consigliai quindi al mio amico di cambiare avvocato, e lui così fece.
Tempo pochi giorni e il nuovo avvocato risolse la situazione, senza neanche chiedere una lira di parcella, perché risolvere una questione così era stato fin troppo facile e non se la sentiva di chiedere dei soldi per aver solo fatto un semplice colloquio con la polizia.
Nei giorni seguenti Claudio incontrò la donna e le chiese spiegazioni; si scoprì così che la donna, essendo brasiliana e non conoscendo per niente l’italiano, aveva firmato una dichiarazione di cui non capiva il contenuto, con la promessa che le avrebbero dato il permesso di soggiorno. Lei, insomma, pensava di aver firmato un permesso di soggiorno, non una denuncia di quel genere.
Non ho mai capito perché la polizia avesse fatto un lavoro del genere; perché non avessero effettuato alcuna indagine.
Quella fu la prima volta che mi trovai in una vicenda giudiziaria, e potei notare l’approssimatività dei comportamenti degli operatori di giustizia.
Ciro
Qualche anno fa al mio amico Ciro uccidono il fratello sotto casa, nel napoletano, crivellandolo di colpi, e finendolo poi con un colpo di lupara in volto, nella zona sotto il controllo del clan dei Casalesi. L’omicidio avviene pochi giorni dopo che era stato messo in libertà un esponente del clan Contini, che era andato in galera grazie alle denunce del padre di Ciro.
Qualche tempo dopo io e Ciro parliamo con un ispettore di polizia per sapere a che punto sono le indagini. “Stiamo seguendo la pista passionale”, ci dice, “perché la pista mafiosa non ci convince”.
Due anni dopo uccidono un altro fratello.
Chissà se anche questa volta seguono la pista passionale.
Alessandro
Il mio amico Alessandro è molto ricco. Così ricco che ha diversi bancomat, e non si accorse di averne dimenticato uno in un negozio.
Dopo qualche mese gli telefona la banca dicendo che il suo conto (50 milioni) era esaurito. Lui non capisce come sia possibile, dato che quel conto non lo usava mai. Chiede l’estratto conto e scopre che qualcuno aveva periodicamente prelevato i soldi del conto, sempre dallo stesso sportello automatico; e lo sportello, guarda caso, era situato proprio accanto al negozio dove lui si era dimenticato l’ultima volta la carta bancomat.
Inoltra regolare denuncia e chiede che vengano acquisite le immagini riprese dalla telecamera della banca. La risposta è che le riprese non possono essere acquisite perché vengono distrutte dopo un certo numero di giorni per tutelare la privacy dei clienti (sic!!!!!!).
E viene sconsigliato dal proseguire con la denuncia, altrimenti il negoziante potrebbe fare una controquerela per calunnia.
Chiedo ad Alessandro il nome del negoziante.
Guarda caso, è il figlio di un noto politico locale.
Tiziana
Pochi anni fa una banca telefona alla mia amica Tiziana. Le hanno protestato un assegno e chiuso il conto in banca.
In pratica è successo che una truffatrice ha fabbricato una falsa carta di identità, con le generalità di Tiziana, e con i suoi dati ha aperto alcuni conti correnti e emesso assegni a vuoto.
La truffatrice viene denunciata, individuata e portata in commissariato. Interrogata, confessa tutto; “sì, ammette, ha truffato decine di persone con questo sistema”, e fa pure il nome dei complici.
A questo punto viene rilasciata perché se la persona confessa, per il nostro codice di procedura penale, non può essere arrestata fino al processo e alla condanna definitiva.
La truffatrice esce e il giorno dopo, con un’altra carta di identità falsa, apre un altro conto corrente e si fa rilasciare un altro blocco di assegni. E continua questo gioco all’infinito.
Il processo inizia dopo qualche tempo, ma già dopo il primo grado è tutto prescritto. La tipa ovviamente è ancora in libertà.
E ovviamente continua a emettere assegni a vuoto.
Giovanni Mascherucci
Il mio amico Giovanni ha la mia stessa età. E’ una persona abbastanza conosciuta a Viterbo, si è sempre impegnato socialmente e politicamente tanto che un giorno viene eletto alla circoscrizione del centro storico.
Pochi giorni dopo la sua elezione, gli arriva un avviso di citazione a giudizio. Motivo: avrebbe rapinato una tabaccheria davanti a casa sua. Rapina a mano armata.
In poche parole, Giovanni sarebbe così cretino da rapinare a volto scoperto una tabaccheria a pochi metri da casa sua.
Il tabaccaio, che lo conosce da venti anni, va alla Digos e alla magistratura a dire che non era Giovanni il rapinatore.
Non importa.
Giovanni viene rinviato a giudizio lo stesso, perché un testimone di passaggio per caso, lo ha riconosciuto.
E al processo non si tiene in alcun conto la testimonianza del tabaccaio.
Il notaio
Un notaio di Milano un bel giorno scopre che una sua dipendente truffava i clienti dello studio chiedendo somme non dovute. Scoperta la cosa, il notaio denuncia la sia dipendente e restituisce ai clienti i soldi persi.
La dipendente non viene neanche processata perché tutto è archiviato; anzi, per premio, viene assunta in un altro studio notarile.
Il notaio viene sanzionato dal Consiglio dell’Ordine dei notai.
Alcuni miei amici in polizia
Quando facevo l’università un mio amico entrò in polizia e iniziò a prestare servizio a Roma. Mi raccontava spaventato che alcuni colleghi taglieggiavano i negozianti e commettevano una serie di illeciti. E mi disse di aver paura, perché se lui si rifiutava di fare le stesse cose potevano pensare che li avrebbe denunciati. Allora assumeva un atteggiamento ambiguo, di complicità, ma senza spingersi troppo oltre; e nel frattempo aveva chiesto il trasferimento in Sardegna. Nella sua terra, lui sperava, si sarebbe trovato meglio.
Anche Massimiliano cambiò lavoro per aprire un ristorante. Era nei reparti speciali. E decise di cambiare lavoro quando si accorse che le rapine su cui il suo reparto indagava erano compiute da uomini del suo reparto, il che spiegava il motivo per cui, quando le gioiellerie rapinate facevano scattare l’allarme, i soccorsi arrivavano sempre con qualche minuto di ritardo (giusto quel ritardo che permetteva ai rapinatori di fuggire).
A Viterbo abbiamo un ispettore di polizia serio ed onesto, A.M. Prima l’hanno trasferita diverse volte in posti dove non potesse nuocere. Infine, un incidente imprevisto (i freni dell’auto non hanno funzionato e lei si è salvata per miracolo) le ha causato un forte stress; pochi giorni prima qualcuno aveva sparato un colpo di arma da fuoco contro il negozio del coniuge.
Poi ho una mia amica di cui non farò il nome. E’ ispettore di polizia in una città del nord.
Qualche anno fa discutemmo perché lei diceva che io ero troppo paranoico, che vedevo rose rosse ovunque.
Oggi, dopo qualche anno, mi ha ricontattato dicendomi che forse in parte avevo ragione.
Per tre volte si è trovata sulla scena di un probabile delitto, e il magistrato e i periti hanno archiviato come suicidio (in un caso, mi ha specificato, la donna si sarebbe suicidata con una coltellata nel petto, poi avrebbe estratto il coltello; e per giunta non c’era sangue sul luogo del delitto, quindi era chiaro che la donna era stata uccisa altrove).
Mi ha raccontato che non riesce a fare indagini serie perché ogni qualvolta vuole andare a fondo su alcune questioni viene bloccata.
E mi ha raccontato che durante una perquisizione in un locale dove c’era la sede di un gruppo criminale organizzato hanno trovato una strana lista. La lista conteneva i nomi del questore, del vice questore, e di molti funzionari di polizia. “Chissà che cos’era questa lista”, mi ha domandato.
Infine, un mio amico magistrato che lavorava in terra di mafia, ha deciso di trasferirsi al nord lavorando nel settore civile il giorno in cui un mafioso, che aveva ucciso il cliente di una banca durante una rapina, è uscito di galera per un cavillo processuale; fuori dal tribunale lo ha incontrato al bar e gli ha detto: “Dottore, posso offrirle un caffè?”.
Qualche giorno fa conosco per caso un funzionario di polizia. Parlando di queste cose, cioè di come le persone oneste e capaci vengano allontanate affinché non diano fastidio, lui mi dice che forse esagero, che magari vedo tutto troppo in negativo.
Poi aggiunge che in fondo, però, lui non è molto esperto. Lui solo per poco tempo è stato alla sezione investigativa, perché dopo poco ha avuto un incidente, è stato ricoverato a lungo, e quando l’hanno dimesso è stato trasferito.
– Che incidente? – domando.
– Un incidente strano – mi dice – Sono andato fuori strada in un rettilineo. Le analisi mi hanno trovato positivo all’alcol test, anche se io non bevo, e il referto medico non era firmato. Sto ancora cercando di capire come e perché mi sia successo.
Chi segue questo blog non ha bisogno che spieghi ulteriormente la situazione. Probabilmente, il funzionario lavorava troppo bene. E quindi gli è capitato un incidente.
Scena di un omicidio
Qualche tempo fa viene nel mio studio una persona che chiede di parlarmi. Lavora al cimitero, e ha avuto modo di assistere ad alcuni strani comportamenti di un magistrato e del medico legale che hanno archiviato come suicidio la morte di un personaggio scomodo; e viene a riferirmi alcuni particolari.
– Ma perché viene da me, che per giunta non sono neanche il legale della famiglia della vittima, e non va alla magistratura? – chiedo.
– Perché vorrei che avvertiste la famiglia. Se vado in procura, forse non esco neanche vivo dalla procura.
Conclusioni
In tutti questi anni non mi è mai capitato di vedere una operazione di polizia giudiziaria ben condotta. Un’indagine che abbia portato a dei risultati. Non un mio amico in polizia o magistratura è venuto da me raccontandomi qualcosa di positivo, di indagini ben fatte, di reparti che funzionano alla perfezione.
Al contrario, ricevo solo racconti di gente che scappa, di gente terrorizzata, di gente impotente. Ho l’immagine di un mio parente, ufficiale della finanza, che si vantava di aver ricevuto questo o quel regalo e di aver pagato il BMW solo la metà del suo prezzo di acquisto.
E poi le mille vicende quotidiane di amici, parenti, conoscenti.
Se un cittadino denuncia un furto… non possono intervenire. Hanno troppo lavoro per poter indagare sui furti.
Se un cittadino teme per la sua vita o la sua incolumità…. non possono intervenire se il reato non è stato commesso.
Denunci una delle innumerevoli truffe perpetrate dai tanti enti statali, come Enel, Telecom, Equitalia? Non possono intervenire… quelle sono questioni politiche e se non c’è una decisione di un magistrato…
La criminalità organizzata invade il territorio? Non possono intervenire se non c’è un mandato da parte del magistrato.
Se c’è un omicidio in terra di mafia… si sa… la mafia è potente, la polizia è sotto organico, non possono intervenire.
Se c’è un omicidio dal centro al nord…. è un suicidio, o un incidente.
Gli omicidi rituali? Non sanno neanche cosa sono. Fantasie.
Le stragi? Non possono intervenire. Dietro ci sono dei poteri troppo forti.
La conclusione che posso trarre dopo tutti questi anni è una sola. Che i vari telefilm come la Squadra, Carabinieri, RIS, ecc… sono solo immense operazioni propagandistiche per diffondere l’immagine di corpi di PG sani e funzionali, ma che servono a nascondere una realtà molto più complessa.
Una realtà in cui polizia, carabinieri, guardia di finanza, magistratura, sono apparati del potere politico ed economico, funzionali al mantenimento dello status quo. Del resto basti pensare che è da tempo stato dimostrato, oramai, che il cosiddetto “terrorismo”, rosso o nero che fosse, era in realtà un terrorismo di Stato, nel senso che tutte le stragi e le bombe nel nostro paese, sono state compiute da uomini dello Stato. Allora, se questo presupposto è vero, è anche vero che la Digos, che è la sezione antiterrorismo della polizia di stato, è un corpo creato ad hoc non per reprimere il fenomeno del terrorismo, ma per impedire che venga accertata la verità.
Qualche anno fa, ero all’università mentre dicevo queste cose ad una classe di circa 100 allievi tutti laureati in legge, mi dicevano, come mi capita spesso, che forse esagero.
Allora ho fatto una prova.
In aula c’erano 100 persone. Tutte praticanti avvocati in procinto di sostenere l’esame da avvocato.
Ho chiesto loro di alzare la mano se, negli anni di pratica legale, avevano effettuato anche una sola denuncia che avesse avuto un esito positivo (nel senso che le autorità avessero effettuato anche solo un’indagine per accertare la verità, indipendentemente dall’esito dell’indagine).
Tre persone hanno alzato la mano, e una ha precisato “ma ho fatto circa 40 denunce, perché lavoro in uno studio penalistico molto famoso, e solo due hanno dato l’avvio a qualche indagine”.
Qualche tempo fa ero in una caserma di polizia per l’omicidio del fratello di un mio amico. Ritenendo in pericolo tutta la famiglia del mio amico chiediamo al commissario se non sia possibile ottenere una protezione.
– Impossibile – risponde questo – Parliamoci chiaro, avvocato… i servizi di protezione non vengono dati per proteggere, ma per controllare le persone scomode. Noi non possiamo fare nulla, abbiamo le mani legate, perché se anche solo proviamo a fare qualcosa, ci trasferiscono o addirittura ci ammazzano.
E ripenso agli incidenti che ho avuto in moto, proprio poco tempo dopo essere stato in una procura del nord a fare una denuncia gravissima, portando documenti, atti, fatti, nomi.
E poliziotti, persone esperte dell’ambiente giudiziario, che quando racconto questo fatto mi dicono “Ma sei matto? Una denuncia al procuratore X? Sei fortunato ad essere ancora vivo. In linea di massima, con una denuncia del genere, non esci vivo dalla procura”.
Quando qualcuno mi dice che sono un visionario, faccio sentire la registrazione della conversazione avuta con questo commissario: “Noi non possiamo fare nulla, abbiamo le mani legate, perché se anche solo proviamo a fare qualcosa, ci trasferiscono o addirittura ci ammazzano”.
Sono entrato alla facoltà di legge pensando che un giorno, come avvocato, come magistrato, o in qualunque altra veste, avrei lavorato per ottenere giustizia.
Un tempo quando andavo a Casal di Principe, Frattamaggiore, Caivano, e i paesi dell’asse mediano di Napoli, avevo paura. Mentre mi sentivo sicuro quando vedevo una divisa.
Oggi, mi ritrovo nella assurda situazione di avere paura quando entro in una procura o quando mi ferma la polizia. E giro tranquillo per le zone di mafia.
La mafia al massimo ti può togliere la vita.
Lo Stato ti toglie tutto. La vita, la dignità, la speranza, la voglia di lavorare, di impegnarti.
Le regole della mafia sono chiare: se sei contro di loro ti ammazzano. Se sei con loro ti aiutano.
Le regole dello Stato sono ambigue: se operi nella illegalità ti possono arrestare. Se operi nella legalità e lavori per la giustizia, ti ammazzano, ti suicidano, ti tolgono il lavoro, ti denunciano.
Fonte: http://paolofranceschetti.blogspot.com
Link: http://paolofranceschetti.blogspot.com/2010/04/25-anni-in-mezzo-alla-legge-e-al.html