- “Iran: Usa e Cina verso una linea comune”, Corriere.it. Il “Corriere della Sera” unisce ciò che il petrolio divide. Oggi, a Washington, hanno sfilato ben 47 leader di altrettanti Paesi. Padrone di casa: Barack Obama, presidente degli Stati Uniti. Invitato più atteso: il presidente cinese, Hu Jintao. Argomento di discussione: la sicurezza nucleare. Ovvero e tra l’altro: come impedire all’Iran di diventare il primo Paese del Medio Oriente ad avere la “bomba”. Un “nodo” – come è noto – piuttosto discusso e controverso. Che, però, l’edizione on line del Corriere – oggi – ha sciolto in quattro e quattr’otto. Scrivendo – nero su bianco – che è accaduta una cosa sorprendente: “La Cina compie una svolta sull’Iran. (…) appariva improbabile che il presidente cinese Hu Jintao (…) arrivasse a spendere parole pesanti sull’Iran, acconsentendo a sostenere l’imposizione di ulteriori sanzioni. Invece è successo: il bilaterale con il presidente americano Barack Obama, definito dalla Casa Bianca «positivo e costruttivo», ha rilanciato le relazioni tra i due Paesi, che nelle ultime settimane hanno vissuto momenti di grande attrito”. Tutti d’amore e d’accordo contro i “cattivi” iraniani, quindi? Davvero, davvero? No.
- “Obama Calls for Joint Action to Safeguard Nuclear Stocks”, New York Times. E infatti. Non ce ne vogliano i redattori del Corriere.it, ma il New York Times – che di Washington e di Stati Uniti se ne intende – racconta tutta un’altra storia. Ovvero e punto primo: sì, in effetti, gli Usa – con presidente Barack Obama in testa – vorrebbero sanzioni dure contro l’Iran; e ne avrebbero discusso con i leader di Pechino. Ma e punto secondo: il presidente cinese Jintao non avrebbe, scrive il New York Times, “preso nessun impegno”. Di più. Sempre secondo il New York Times: Jiang Yu, funzionario del ministero degli Esteri del gigante asiatico, avrebbe detto molto schiettamente che la Cina preferirebbe il “dialogo” alle “sanzioni”. Insomma e in pratica: Pechino e Washington sull’Iran – che, caduto Saddam Hussein, è diventato il nuovo “cattivo” da battere in Medio Oriente – non avrebbero trovato nessuna quadra. E, appunto, sarebbe stato sorprendente il contrario. Per una ragione semplice semplice. Chiamata: petrolio.
- “China Vehicle Sales Soar to 1.7 Million Units in March, up 56%”, Carscoop. La Cina – alla faccia della crisi economica che ha colpito Usa e Europa – sta vivendo un vero e proprio boom economico. Boom che quest’anno – secondo le prime stime dell’Asian development bank – dovrebbe portare Pechino a crescere, in termini di Pil, di quasi il 10%. Boom che – soprattutto – sta portando il miliardo e rotti di cinesi che vivono in Patria a scoprire l’automobile. Risultato: l’anno scorso, la Cina è diventato il primo mercato automobilistico al mondo, superando proprio gli Stati Uniti. E, in quest’anno di grazia 2010, le cose paiono andare ancora meglio. Secondo il sito specializzato in auto, “Carscoop”: solo a Marzo, in Cina, sarebbero state vendute 1,7 milioni di auto e veicoli commerciali; il 63% – leggere due volte: sessanta e tre per cento – in più rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. In pratica e salvo sorprese: nel 2010, a Pechino e dintorni, si venderanno – secondo i dati citati da Carscoop – circa 17 milioni di quattroruote; ovvero: il 25% in più rispetto al 2009; e nel 2009 le vendite erano già aumentate del 45% rispetto al 2008. Più boom di così, si muore. Epperò: va da sè che per far andare le auto, ci vuole la benzina. E – come ha appunto osservato il New York Times – Pechino importa un barile di petrolio su 10 – per la precisione il 12% – proprio dall’Iran. Iran che – a sua volta – ha come primo partner commerciale proprio la Cina. E Pechino quest’idillio, a quanto pare, non lo vuole rompere. Non per ora, almeno.
- “Sorpresa, la GM parla cinese. Più vendite in Cina che in Usa”, La Repubblica. Non tutto il male, comunque, viene per nuocere. Dalla motorizzazione di massa dei cinesi, infatti, c’è anche chi ci sta guadagnando. Per esempio: proprio gli Stati Uniti. E in particolare: la General Motors. Che a marzo, in Cina, ha piazzato ben 230mila quattroruote (ossia ben il 68% in più dello stesso mese dell’anno scorso). E che da tre mesi – gennaio, febbraio e appunto marzo 2010 – sta vendendo più auto in Cina che negli Usa. Insomma: a questo giro sull’Iran non è andata bene. Ma gli americani hanno di che consolarsi. E i giornalisti del Corriere.it, in fin dei conti, pure. Perché sicuramente di Iran e Cina e eccetera, si tornerà sicuramente parlare. E perché la prossima volta – se evitano di tagliare le notizie troppo con il coltello e si ricordano di dettagli della Storia come la motorizzazione di massa a Pechino e dintorni – magari ci azzeccano pure. Magari.