di

Massimo Mazzucco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricorre oggi il 15° anniversario dell’attentato terroristico di Oklahoma City, nel quale fu distrutto un edificio federale di 9 piani, l’Alfred Murrah Building, causando la morte di 168 persone, fra cui 19 bambini.
Ai tempi in Italia se ne parlò poco, ma dopo l’undici settembre l’importanza di questo episodio ha assunto dimensioni completamente diverse, proprio in luce dei più recenti attentati a Pentagono e Torri Gemelle.
Visto in retrospettiva, infatti, l’attentato di Oklahoma City presenta con l’11 settembre – e per certi aspetti con l’assassinio di JFK – una specularità a dir poco impressionante. Stessa fragilità di motivazioni nel presunto colpevole, stesso comportamento autolesionista da parte sua, stesso tipo di fortunose coincidenze che portarono ad identificarlo, stesse improbabilità fisiche nel crollo dell’edificio, stessa serie di testimonianze in pieno contrasto con la versione ufficiale, stessa asportazione frettolosa delle macerie, stesso atteggiamento distratto e superficiale dei media, stesse pressioni sui testimoni per cambiare la versione dei fatti. Ed in più, un epilogo assolutamente unico nella storia della giustizia americana: il colpevole che chiede insistentemente, ed infine ottiene, di essere messo a morte al più presto, alle condizioni dettate da lui.
Vista nel suo insieme, la versione ufficiale di Oklahoma City fa apparire quella dell’undici settembre come un ineccepibile trattato di logica aristotelica.

I PERSONAGGI

TIMOTHY MCVEIGH – Il presunto colpevole, che avrebbe distrutto l’edificio federale con una rudimentale bomba al letame, …
… spinto da un generico odio contro il governo americano. Il Murrah Building infatti ospitava decine di uffici di diverse agenzie federali, fra cui la FBI, la DEA (Drug Enforcement Administration) e l’ATF (Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives), con l’aggiunta di agenzie minori come il USMS (U.S. Marshals Service), che rendevano l’edificio un bersaglio ideale per qualunque “nemico del governo”.
MICHAEL e LORI FORTIER – La coppia che ospitò McVeigh per un certo periodo a casa propria, prima dell’attentato. Lori preparò anche per McVeigh la patente falsa, a nome di Richard Klinger, con cui il futuro terrorista avrebbe affittato il furgone della Ryder usato nell’attentato. Naturalmente, anche Michael e Lori Forter erano "anti-governativi" fino al midollo, tant’è che McVeigh gli confidava apertamente i suoi progetti, raccontandogli dozzine di dettagli che sarebbero poi tornati utili all’accusa durante il processo contro di lui. A loro volta infatti, essendo "a conoscenza" dei piani di McVeigh, i Fortier furono considerati colpevoli “per non aver avvisato le autorità dell’attentato imminente”, ma grazie alla loro disponibilità a collaborare Michael Fortier potè patteggiare una sentenza relativamente lieve (12 anni, poi commutati a 10, già espiati), che comprendeva anche l’immunità per la moglie.
TERRY NICHOLS – Il presunto complice di McVeigh, la classica “spalla” che lo avrebbe aiutato a preparare la bomba, senza partecipare però direttamente all’attentato. Nonostante questo, alla fine Nichols si è preso l’ergastolo.
STEPHEN JONES – L’avvocato d’ufficio assegnato a McVeigh dal giudice incaricato del processo. E’ soprattutto grazie a Jones – che in seguito scrisse un libro sulla sua esperienza – che siamo venuti a conoscenza di molti curiosi aspetti di questa vicenda. Jones infatti non ha mai creduto alla “versione ufficiale”, che il suo cliente faceva di tutto per confermare, rivelandosi spesso disposto a cambiare i suoi "ricordi" pur di farli combaciare con gli sviluppi dell’indagine.
Un pò come se la CIA un giorno "scoprisse" che bin Laden si era addestrato in Nuova Guinea, e il giorno dopo bin Laden ci facesse sapere dalle sue caverne che si è appena ricordato di essersi addestrato in Nuova Guinea.
Raramente, sostiene Jones nel suo libro, si è visto un imputato così poco intenzionato ad essere scagionato, che passava la maggior parte del suo tempo ad ostacolarlo nel suo tentativo di salvargli la vita.

LA “VERSIONE UFFICIALE”

Per “versione ufficiale” si intende la summa, magmatica e indistinta, di notizie vere o fasulle, verificate o meno, che sono state diffuse nel tempo dai media mainstream, e poi reimpastate e riciclate in qualche modo su Internet, fino a cristallizzarsi nei cosiddetti “templi della verità” come Wikipedia. A consolidare questo tipo di versioni ufficiali intervengono di solito i canonici documentari sulle “Conspiracy Theories” – genere in cui BBC, National Geographic e History Channel sono specialisti – che nel fingere di fare chiarezza finiscono in realtà per rimestare nel già torbido mare delle notizie circolate fino a quel momento.
Chi vuole capirci qualcosa è quindi obbligato a compiere il percorso inverso: partire da questa versione ufficiale, scartare tutto quanto gli appare illogico o implausibile, ed integrarlo con tutti quegli elementi che sono stati inspiegabilmente ignorati dai giudici e dai media mainstream. E’ il quella evanescente manciata di informazioni “perdute”, circolate nelle primissime ore dall’evento, ma poi scomparse nel nulla, che si nasconde di solito la chiave per riuscire a capire cosa davvero sia successo.

MOTIVAZIONE

Secondo questa versione ufficiale, la goccia che fece traboccare il vaso per McVeigh, in senso anti-governativo, fu l’eccidio di Waco Texas (19 aprile 1993), nel quale i "maledetti federali" assaltarono e distrussero la comunità evangelica del "profeta" Koresh, che si era asserragliata al suo interno, uccidendo circa 80 persone, fra cui molti bambini.
Ma le radici dell’odio antigovernativo di McVeigh sembrano risalire alla Prima Guerra del Golfo, alla quale egli aveva partecipato come militare volontario.
McVeigh infatti sarebbe tornato dall’Iraq "deluso" per l’inganno subito da parte del suo governo, che lo aveva infarcito di odio razziale e anti-islamico, per mandarlo ad uccidere gente che in realtà gli era risultata essere esattamente come lui.
Mentre però, in questi casi, il soggetto diventa solitamente pacifista, umanista, interfede, anti-imperialista e "di sinistra", McVeigh si buttò disperatamente a destra, finendo per entrare a far parte dei più sfegatati gruppi neonazi, i White Supremacists della Christian Right.
Come dire, dopo aver capito che arabi e musulmani sono gente come lui, McVeigh sentì un improvviso bisogno di stare in mezzo a gente che li odia più di chiunque altro, e che non ammette nè razze nè religioni diverse dalla propria. (Ma forse voleva solo convincere i White Supremacists a diventare pacifisti come lui).
In ogni caso, una volta deciso che doveva assolutamente vendicare con il sangue le vittime di Waco, McVeigh cominciò la lunga ricerca sugli edifici federali che lo avrebbe portato a scegliere il Murrah Building di Oklahoma City. A questo proposito riportiamo il passaggio di Wikipedia, che ci descrive nel dettaglio i criteri adottati da McVeigh: McVeigh, che viveva in Arizona, prese in considerazione bersagli nel Missouri, in Arizona, nel Texas e nell’Arkansas. Volendo ridurre al minimo le vittime “non- governative”, aveva scartato un edificio di 40 piani di Little Rock, Arkansas, a causa della presenza di un fiorista al piano terra. Nel dicembre 1994 McVeigh e Fortier si recarono a Oklahoma City per ispezionare il loro bersaglio: l’Alfred P. Murrah Building, […] che fu scelto per la facciata di vetro, che avrebbe dovuto frantumarsi per l’impatto dell’esplosione, e per l’ampio parcheggio adiacente, all’aperto, che avrebbe potuto assorbire e dissipare parte della forza, per proteggere gli occupanti non-federali degli edifici circostanti. Inoltre, McVeigh pensava che lo spazio aperto intorno all’edificio avrebbe permesso delle riprese fotografiche più efficaci per motivi di propaganda.
Talmente si preoccupava della propaganda, che McVeigh si sarebbe completamente dimenticato di spiegare al mondo perchè avesse distrutto quell’edificio. Lasciò che fossero i giornalisti ad accorgersi della coincidenza del 19 aprile, per arrivare a capire le ragioni del suo gesto.
Aggiungiamo che nel Murrah Builing non c’era nessun fiorista, ma in compenso c’era un asilo nido, di solito pieno di bambini. Quando c’è la coerenza, c’è tutto.

LA BOMBA


Una volta individuato il bersaglio, McVeigh iniziò a pensare all’esplosivo. Non potendo permettersi grossi investimenti – in fondo, era l’unico attentato che avrebbe mai compiuto nella vita (solo un imbecille si può illudere di sfuggire ai federali, dopo un gesto del genere) – venne iniziato dall’amico Terry Nichols al cosiddetto ANFO, una miscela casalinga di fertilizzante e nitrometano, con l’aggiunta di materiale plastico.
Entusiasta, McVeigh nè parlò ai Fortier, come raccontatoci da Wikipedia: Nell’ottobre del 1994 McVeigh mostrò a Michael Fortier e alla moglie Lori un disegno nel quale indicava la struttura della bomba che voleva costruire. Voleva preparare una bomba con oltre 2.300 kg di fertilizzante, mescolati con circa 540 kg. di nitrometano liquido, e 160 kg di Tavex [materiale plastico]. Il peso complessivo, compresi i 16 i bidoni che contenevano l’esplosivo, era di circa 3.200 kg.
Praticamente McVeigh aveva pensato di far esplodere, come dicono in Norvegia, "’na muntagna e’mmerda".
Pare però che il letame, se preparato correttamente, sia un esplosivo molto efficace: la rudimentale bomba preparata da McVeigh infatti non solo sventrò il Murrah Building, ma "distrusse o danneggiò 324 edifici nel raggio di circa 16 isolati, bruciò 86 macchine, frantumò i vetri di 258 edifici, e causò oltre 680 feriti".
E per fortuna che McVeigh aveva scelto il Murrah Building "per proteggere gli occupanti non-federali degli edifici circostanti". Chissà se avesse odiato tutti indiscriminatamente.
Per essere sicuro che il sistema funzionasse, "McVeigh fece una bomba-prototipo con una bottiglia di plastica di Gatorade, con pillole di nitrato di ammonio, nitrometano liquido, un pezzo di "salsiccia" di Tovex, e un tappo detonatore. Il prototipo fu fatto esplodere nel deserto per evitare di essere notato."
Se ha funzionato il Gatorade, avrà pensato McVeigh, funzionerà di sicuro anche un camion con due tonnellate di roba simile. In fondo, anche Al-Queda ha sempre fatto le sue prove con fiammiferi e carta stagnola. Quel che conta è il principio.
Una volta scelto l’esplosivo, McVeigh si preoccupò di trovare il furgone che avrebbe riempito con i bidoni di letame, per poi farlo saltare in aria insieme a tutto il resto. Ed è qui che cominciano i veri guai, ovvero il carnevale di contraddizioni dalle quali nessuno, purtroppo, ha mai sentito il bisogno di districarsi.

LE ULTIME 48 ORE


 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo al 17 aprile, a due giorni dalla fatidica data dell’attentato (McVeigh aveva scelto il 19 perchè ricorreva l’anniversario di Waco Texas).
Secondo un meccanico dell’Elliott Body Shop di Junction City (una cittadina del Kansas) due persone si presentarono quel giorno per affittare il furgone della Ryder che sarebbe stato usato nell’attentato. Come avevano fatto gli investigatori a risalire al furgone noleggiato? Facile: leggendo il numero di serie del semiasse del furgone, trovato a circa cento metri dal luogo dell’esplosione. (Solo i Boeing vanno in giro senza pezzi numerati, rendendo così impossibile la loro identificazione nel caso di un incidente. Nei furgoni americani invece numerano persino i bulloni delle portiere).
I due clienti che avrebbero affittato il furgone sono stati definiti, in termini forensi, "John Doe 1" e "John Doe 2", ovvero "Tizio 1" e Tizio 2". L’identikit di John Doe 1 risultò combaciare così fedelmente con il volto di Timothy McVeigh, che sembrava quasi che qualcuno lo avesse ricalcato dalla sua fotografia.

John Doe 2 invece non è mai stato trovato. E’ lui il grande mistero dell’attentato di Oklahoma City.
L’intero impianto di accusa infatti era imperniato sul classico "assassino unico", da trovare possibilmente entro 48 ore, e da condannare al più presto, dopo averlo sepolto sotto una marea di indizi, falsi o veri che fossero. E poichè sia Nichols che Fortier il giorno 17 risultarono essere a casa propria, l’accusa si trovò in una situazione di grave imbarazzo, per non dover ammettere la famosa "cospirazione". Talmente grave fu quell’imbarazzo, che il giudice decise semplicemente di escludere dalla lista dei testimoni il meccanico dell’Elliott Body Shop, che nel frattempo non ne voleva sapere di cambiare la versione dei fatti.
L’avvocato Stephen Jones ha stilato nel suo libro una lista con una trentina di testimoni che avevano visto McVeigh insieme a John Doe 2, ma tutti questi furono inspiegabilmente lasciati fuori dalla porta del tribunale. La Commissione Warren insegna.
Fu così che John Doe 2, inizialmente ricercato in tutta America come “uomo pericoloso”, con tanto di identikit nei telegiornali, è lentamente scomparso dalle cronache, fino ad arrivare a non essere mai esistito.

IL VIDEO DI MCDONALD’S

Veniamo al secondo elemento incriminante, usato dal procuratore per impiccare McVeigh alla sua colpa: a circa mezzo chilometro dall’Elliott Body Shop c’è un ristorante di McDonald’s, le cui telecamere di sicurezza funzionano regolarmente (è solo negli aeroporti più sfigati, come ad esempio quello internazionale di Boston, che le telecamere di sicurezza funzionano un giorno sì e un mese no). Fu così che i solerti investigatori dell’FBI, dopo aver visionato ore e ore di filmati di sicurezza di tutti i locali pubblici delle vicinanze, scovarono in quelle del McDonald’s un segmento in cui si vede un giovanotto che va a fare la pipì, passando proprio sotto l’obiettivo della telecamera. Non c’è dubbio, è Timothy McVeigh, ed è palesemente solo.
A sinistra potete vedere le immagini, che portano la data del 17 aprile, ore 3.57 del pomeriggio. Siamo cioè ad una ventina di minuti prima dell’orario stampigliato per l’uscita del furgone Ryder dal parcheggio dell’Elliott Body Shop. Tutto combacia: è evidente che sia stato McVeigh ad affittarlo!
Nessuno naturalmente si è accorto che la telecamera traballa e cambia di inclinazione ad ogni fotogramma, come se invece di essere montata su un supporto fisso la ripresa fosse stata fatta a mano. Della serie “dài che adesso non c’è nessuno! Io mi piazzo là con la telecamera in alto, tu passami sotto facendo finta di niente, e appena finito schizziamo via”.
Sì però stammi fermino con le mani, se vuoi farla sembrare vera!
Inoltre, nessun sistema di video-sicurezza ha mai conservato le immagini a tempo indeterminato. Oggi esistono le memorie digitali, e teoricamente si potrebbe anche farlo, ma nel 1995 si utilizzavano delle normali videocassette a “loop”, che giravano all’infinito, registrando solo l’ultima mezz’ora di quanto accaduto di fronte all’obiettivo. (Si presume infatti che se entro mezz’ora non hai sentito il bisogno di conservare la cassetta, vuol dire che non è successo nulla per cui valga la pena di farlo).
Invece i nostri segugi dell’FBI si sarebbero sorbiti centinaia e centinaia di ore di immagini registrate e conservate con cura da ciascuno dei pubblici locali della zona (come facevano a sapere in anticipo che McVeigh si era fermato a pisciare da McDonald’s, e non ad esempio a tagliarsi i capelli dal barbiere accanto?), rischiando di finire dieci volte in sanatorio prima di trovare qualcosa di utile.
Il video di McDonald’s presenta inoltre un secondo problema: in quel giorno, a quell’ora, in quel luogo sperduto del mondo, pioveva a dirotto, e gli impiegati dell’Elliott dichiararono senza ombra di dubbio che John Doe 1 e 2 fossero perfettamente asciutti, quando entrarono per prelevare il furgone prenotato. D’altronde, sembra logico che in un caso del genere si vada in due con una macchina, e poi si ritorni con due, specialmente se piove. Come ha fatto invece McVeigh, se era da solo, a coprire il mezzo chilometro che separa McDonald’s da Elliott’s senza bagnarsi nemmeno un pò? McVeigh infatti avrebbe raggiunto in taxi il McDonald’s – Valpreda ha fatto scuola, evidentemente – ma lo liberò, pagandolo, prima di entrare.
Cioè, praticamente: sei in taxi, ti scappa la pipì, stai ormai a mezzo chilometro dalla destinazione (ce l’avranno un cesso da Elliott, no?), piove che dio la manda, e tu chiedi di scendere al McDonald’s? E poi non trattieni il taxi ma lo liberi?
– Guardi che se vuole la aspetto…
– No, vada vada…
– Ma piove, lei non ha nemmeno un ombrello…
– Non si preoccupi, un’anima buona che mi dà un passaggio la trovo di sicuro.
Oppure corro veloce, e la pioggia non mi becca nemmeno.
Una volta impadronitosi del Ryder, che ha affittato sotto la falsa identità di Richard Klinger, McVeigh torna al suo motel e ordina la pizza pagando con una carta di credito a suo nome. Era infatti una persona molto attenta a non lasciare traccia del suo passaggio, ma soltanto di giorno. Alla sera gli calavano gli zuccheri, e commetteva delle stupidaggini incredibili.
Fra queste, ricordiamo anche che McVeigh aveva pensato bene di conservare in un cassetto di casa Fortier la ricevuta per l’acquisto del letame. Esattamente come Oswald, che nella sua infinita previdenza teneva nel cassetto della scrivania la ricevuta del Mannlicher-Carcano acquistato per posta un anno prima.

L’ATTENTATO

All’alba del 19 aprile Timothy McVeigh si mette alla guida del furgone carico di barili di letame, e si dirige verso Oklahoma City. Giunto in periferia si ferma da un benzinaio – che in seguito lo avrebbe riconosciuto nei telegiornali – e gli chiede indicazioni per il Murrah Building. McVeigh infatti era stato mille volte a studiare l’edificio, sia da solo che con Nichols, e ci era pure tornato due giorni prima, per parcheggiare la famosa auto senza targa che gli sarebbe servita per la fuga (ecco perchè aveva dovuto andare in taxi a ritirare il furgone), ma evidentemente a quell’ora del mattino gli zuccheri non gli erano ancora saliti, e voleva essere sicuro di non andare verso l’edificio sbagliato.
Alle 9 in punto McVeigh parcheggia il furgone carico di esplosivo di fronte al Murrah Building, innesca la miccia, e si allontana fischiettando verso l’auto che aveva parcheggiato nelle vicinanze due giorni prima. Saggiamente, per evitare che gliela portassero via, McVeigh aveva attaccato un foglio al posto della targa, con la scritta: “Questa auto non è abbandonata, ha solo la batteria a terra. Perfavore non rimuovetela, sarà portata via entro due giorni”. Naturalmente si aspettava di trovare, dopo due giorni, un bigliettino della polizia che diceva: “Prego, faccia pure con calma. Anzi, se vuole anche un caffè, prima di andare via, ce lo faccia sapere. Noi intanto le ganasce ce le attacchiamo ai coglioni”.

L’ARRESTO

McVeigh sale così sulla sua auto, e si dirige verso l’autostrada. Dopo circa un’ora di viaggio, mentre segue alla radio le notizie del crollo, viene fermato da un poliziotto che ha notato l’assenza della targa. Avvicinatosi all’auto, il poliziotto nota che McVeigh porta una pistola sotto la giacca. Gli chiede allora di vedere il porto d’armi, che però non risulta valido per l’Oklahoma. Il poliziotto è così costretto ad arrestare McVeigh, senza naturalmente sapere di avere fra le mani il criminale che ha appena distrutto il Murrah Building.
Anche Oswald dovette essere arrestato per un motivo diverso da quello per cui si voleva incriminarlo (mica la gente va in giro con scritto sulla fronte “ho ucciso il presidente Kennedy”). Nel suo caso fu l’omicidio del poliziotto Tippitt, che lo aveva fermato per controllare i suoi documenti. L’astuto Oswald infatti, che dopo l’attentato era riuscito a rientrare sano e salvo a casa, aveva deciso di uscire di nuovo per andare al cinema, portandosi dietro una pistola carica, in un momento in cui a Dallas fermavano persino i paracarri. Solo quando fu nelle mani della polizia qualcuno si accorse che lavorava al Book Depository, e dedusse che fosse implicato nell’omicidio del presidente.
E così fu per McVeigh. Solo quando si trovò nelle mani della polizia, un paio di giorni dopo, qualcuno si accorse che assomigliava da morire all’identikit dell’uomo che aveva affittato il furgone da Elliott il 17 aprile.
Quando il poliziotto ha culo, ha culo e basta. E quando il culo si ripete, si ripete e basta.
Anzi, in questo caso non bastava ancora: indovinate che cosa aveva McVeigh, in bella vista, sul sedile posteriore della macchina? Oh yes, la fotocopia della pagina di un famoso libro, il “Turner Diaries”, in cui si descrive per filo e per segno come preparare una bomba con il nitrato di ammonio.
Ma non basta ancora: lo sapete cosa trovarono i poliziotti nelle fibre della T-Shirt indossata da McVeigh al momento dell’arresto? Oh yes, tracce di letame. (E’ infatti normale procedura far analizzare in laboratorio tutti gli indumenti indossati da coloro che vengono arrestati per non avere il porto d’armi. A quelli che guidano con la patente scaduta fanno anche l’esame del sangue e delle urine).
Nel nostro caso, poichè McVeigh aveva caricato i barili di letame sul furgone due giorni prima, le possibilità sono solo due: o aveva tenuto la stessa T-Shirt per tre giorni consecutivi, oppure il furgone era così stracolmo di letame, quando lo condusse al Murrah Building, che qualche schizzo gli è arrivato addosso lungo il percorso.
Una delle prime cose che Steven Jones volle sapere da McVeigh, infatti, fu proprio perchè mai avesse usato una macchina senza targa per scappare. A detta di Jones, McVeigh gli rispose che "voleva sfidare il destino". Forse, più del destino voleva sfidare l’intelligenza della Stradale dell’Oklahoma: quale poliziotto, per quanto ubriaco, guercio e rincoglionito, non fermerebbe uno che guida senza la targa, dopo che è appena stato fatto saltare uno dei più importanti edifici della città?
E’ curioso infatti come nessuno sia mai riuscito ad intervistare questo poliziotto, per chiedergli conferma di tutti questi particolari. L’uomo da quel giorno è diventato introvabile.

DINAMICA DEL CROLLO


 

 

 

 

 

 

 

 

 

In una specie di deja-vu al contrario, emersero ad Oklahoma City gli stessi problemi che abbiamo visto per le Torri Gemelle: gli edifici di quel genere, con una sola esplosione, non vengono giù nemmeno se li paghi. Al massimo si creano dei grossi buchi, ma se non distruggi le colonne interne con molteplici esplosioni non c’è modo di farli crollare.
In ogni caso, siamo tutti talmente saturi per le discussioni sul World Trade Center, che tornare a parlare di crolli e demolizioni può causare dei severi mal di pancia a molte persone.
Diciamo solo che nei primi minuti dopo l’attentato circolarono voci di altre bombe trovate inesplose, puntualmente riportate dai TG in diretta nazionale, ma poi misteriosamente scomparse dalla “memoria collettiva”.
L’idea inoltre che una bomba piazzata all’esterno di un edificio riesca a creare un danno così profondo verso il suo interno cozza contro il più comune buon senso. Sempre il buon senso suggerisce che il semiasse posteriore di un furgone , sul cui pianale esplodono due tonnellate di fertilizzante, vada a piantarsi nel terreno sottostante, al fondo del cratere che viene a crearsi nell’asfalto, invece di volare via come un fazzolettino a cento metri di distanza. (Se tutto quello che sta "sopra" spinge con violenza estrema verso il basso, al punto da scavare un cratere nell’asfalto, dovrebbe portare con sè anche tutto quello che incontra lungo il percorso, no?)
Notiamo infine, in proposito, che il Murrah Building fu demolito con una fretta inspiegabile, a nemmeno un mese dall’attentato. Jones dovette addirittura ottenere una ingiunzione per rimandare di dieci giorni la demolizione, perchè non era ancora riuscito a visitare il luogo del crollo.
E quando finalmente l’FBI glielo concesse, gli fece trovare il cratere coperto da enormi teli di plastica. Jones chiese di rimuoverli, per misurare almeno ad occhio le dimensioni del buco, ma gli fu risposto che non si poteva fare “per motivi di sicurezza nazionale”.
Insomma, quando hai sfiga hai sfiga e basta.

UNA GAMBA DI TROPPO

C’è anche un macabro dettaglio, che è andato ad aggiungersi alla montagna di incongruenze della versione ufficiale: dopo che il conteggio delle vittime si era assestato su 168, venne trovata la gamba di un uomo, che indossava uno stivale militare, il cui DNA però non combaciava con nessuna delle vittime che avevano perso una gamba nell’attentato.
Si pensò quindi ad un secondo attentatore, che sarebbe rimasto ucciso nell’esplosione, confermando in quel modo le voci di chi aveva visto due uomini, e non uno, nel furgone parcheggiato davanti al Murray Building. Il primo, McVeigh, fu visto scendere e allontanarsi, mentre il secondo scese, ma in seguito rientrò nel furgone, probabilmente per accendere la miccia.
Dopo lo sconcerto per questa notizia, le autorità fecero sapere che la gamba in realtà era di una donna, ed apparteneva ad una soldatessa morta nel crollo dell’edificio.
Fu così necessario riesumare il corpo della soldatessa, che evidentemente era stata sepolta con una gamba non sua. A quel punto ci si accorse invece che era stata sepolta con l’arto giusto, mentre la gamba con lo stivale non era la sua.
Insomma, dopo questo macabro balletto siamo rimasti con un conteggio ufficiale di 168 vittime, più una gamba che non appartiene a nessuno. (Conoscendo il modus operandi di questa gente, sembra evidente che la gamba appartenesse a John Doe 2, il quale probabilmente è stato fottuto alla grande dai suoi compari, che hanno fatto esplodere il furgone quando lui si trovava ancora al suo interno. Quale modo migliore per liberarsi del patsy, diventato inutile e pericoloso, senza nemmeno dover ricorrere ad un Jack Ruby che lo uccide?)

L’INIEZIONE LETALE

Una volta condannato a morte, McVeigh non ne volle sapere di fare appello, e chiese di essere giustiziato al più presto. E persino quando emersero 3.000 pagine di documentazione che l’FBI “si era dimenticata” di esaminare, che gli avrebbero permesso di chiedere una riapertura del processo, lui disse che gli stava bene così, e rinunciò anche a questa possibilità.
Una volta fissata la data per l’esecuzione, i gatekeepers radical-scic non mancarono di esprimere il loro interesse per il macabro evento. In particolare, lo scrittore Gore Vidal annunciò che avrebbe assistito personalmente all’esecuzione, per raccontarcela poi sulle pagine Vanity Fair, perchè in fondo “provava stima per un uomo come McVeigh”.
In quell’occasione il sottoscritto ebbe il piacere di vedersi pubblicata la seguente lettera dal New York Times: "Sono davvero impaziente di leggere l’articolo che Gore Vidal scriverà per Vanity Fair dopo l’esecuzione di Timothy McVeigh. Sono certo che il Sig. Vidal non mancherà di spiegare perchè una persona che lui definisce "intelligente," "non squilibrata", e dotata di "un senso di giustizia", abbia deliberatamente ucciso gente innocente, fra cui donne e bambini, per protestare una azione in cui, secondo un punto di vista che Vidal e McVeigh sembrano condividere, "non si doveva mandare l’FBI ad uccidere donne e bambini".
Trattandosi di un crimine federale, all’esecuzione di McVeigh furono presenti solo medici dell’FBI, che gli praticarono l’iniezione letale e dopo qualche istante lo dichiararono morto. Nessun medico civile potè constatare il decesso. A quel punto i federali chiusero le tendine dei vetri attraverso i quali i testimoni seguono l’esecuzione, e mandarono tutti a casa.
Diversi testimoni raccontarono in seguito che quando furono chiuse le tendine “McVeigh sembrava ancora vivo”. Timothy McVeigh fu subito cremato, e le sue ceneri furono disperse, per sua volontà, in un luogo sconosciuto.
Per quel che ne sappiamo, McVeigh oggi potrebbe anche continuare a vivere – magari con la faccia rifatta – sotto l’egida del famoso Witness Protection Program, che regala a chi ne ha bisogno una nuova identità.
In fondo, è dei federali pure quello.

NOTA: La mia ricostruzione è basata in buona parte sulla memoria, e non ho ancora avuto il tempo di controllare tutti i dettagli dell’articolo. Prendetelo quindi, almeno per ora, per un semplice pezzo di colore.
VEDI ANCHE: Da Oswald a bin Laden, l’evoluzione del "patsy" nella storia americana.

Link