Tanto tuonò, che piovve. Da ieri è ufficiale. Il debito pubblico greco è definitivamente esploso. E la Grecia ha ufficialmente dichiarato che ricorrerà alle cure del Fondo monetario internazionale e all’aiuto degli altri Paesi della zona euro. Che dovrebbero prestargli – tutti assieme e per nulla appassionatamente – 60 miliardi di euro. Solo quest’anno. E solo per cominciare.
Un finale di partita ampiamente annunciato.
I conti pubblici della Grecia – da tempo – assomigliavano sempre di più a un cubo di Rubik. Un po’ enigma, un po’ rompicapo – quando qualcuno ci metteva mano cambiavano sempre faccia. Ad aprile dell’anno scorso il governo di Atene sosteneva di avere tutto sotto controllo: il 2009 si sarebbe chiuso con un deficit – cioè una differenza tra entrate e uscite – pari al 3,7% del Pil. Non un risultato eccellente. Ma neppure malaccio. Del resto: c’era la crisi. Già. Peccato che ad ottobre – dopo aver rifatto i conti – il neoeletto premier, George Papandreou sia stato costretto a moltiplicare quella cifra “solo” per quattro: il deficit, a quel punto, si doveva fermare al 12,7%. Ma da allora – in realtà – non si è fermato più.
Questa settimana l’Eurostat – l’equivalente europeo della nostrana Istat – ha rifatto i conti per l’ennesima volta. Il debito pubblico greco è lievitato al 115 e passa per cento del Prodotto interno lordo; il deficit dell’anno scorso al 13,6%. E non sarebbe finita qui. Perchè – e l’Eurostat lo ha scritto nero su bianco in un report ad hoc – ci sarebbe altra polvere sotto il tappeto. Cioè altri debiti nascosti nelle pieghe di un bilancio che – quasi fosse un effetto speciale – non smette di stupire. Secondo l’istituto di statistica europeo: il deficit potrebbe crescere ancora di un mezzo punto percentuale. Il debito totale, di una cifra compresa tra il 5 e il 7% del Pil. Che trattandosi – fuor di percentuale – di miliardi di euro, non sono proprio bruscolini.
Insomma: a riassumere i goffi tentativi di truccare i conti di certi indegni eredi di Pitagora, non si sa se ridere o piangere. Ma sta di fatto che l’Unione europea aveva già pescato Atene a taroccare i conti pubblici nel non lontano 2004. E ora – a quanto pare – la storia si è ripetuta paro paro. Risultato: nessuno – tra i grandi investitori privati – vuol più prestare danaro ai greci. La Grecia, dal canto suo, ha alzato bandiera bianca. E qualcuno – leggi Fmi e Paesi della zona euro – dovrebbe metterci una pezza. Con grave scorno – in particolare – della Germania. Che potrebbe essere costretta a sborsare più di tutti (circa 8,5 miliardi di euro). E che in queste ore non sta facendo nulla per nascondere il suo malcontento: giornali e politici teutonici stanno attaccando a testa bassa.
Ha commentato la “Bild”, uno dei più venduti quotidiani tedeschi: il loro debito pubblico esplode e “com’è che reagiscono i greci? Fanno sciopero!”. Un’ira con tanto di punto esclamativo, ma neanche tanto funesta. Soprattutto se paragonata con quella di qualche settimana fa. Quando sempre la “Bild” era arrivata a bollare i greci – tutti – come dei “bari”. E a chiedersi, appunto, se quei “bari dei greci” – oltre ad approfittare delle generose casse dello Stato tedesco – avrebbero, con il loro comportamento, per giunta causato “il naufragio dell’euro”.
Che dire? Disappunto e preoccupazioni ci stavano e ci stanno pure. Insulti e giudizi morali – in questo caso, invece – paiono un tantino fuori luogo.
E infatti. A spingere la “Bild” a bollare gli abitanti di Atene e dintorni come degli imbroglioni era stata una raffica di statistiche sulla corruzione. Statistiche assai poco lusinghiere. Che hanno scatenato un’ondata di indignazione in Germania. E che, in effetti, molto hanno da raccontare su questa tragicommedia greca.
Secondo Trasparency international – che poi altro non è che un osservatorio sulla corruzione, con sede a Berlino – la situazione è da mani nei capelli. La Grecia è il terzo Paese più corrotto d’Europa (dopo Bulgaria e Romania). E ogni greco – mediamente – spenderebbe in mazzette 1.355 euro all’anno, pagando stecche per tutto: dal rilascio della patente al ricovero in ospedale. Questo per quel che riguarda i funzionari pubblici. Anche i professionisti – dagli avvocati ai medici – però vorrebbero la loro parte. Soffiando ai cittadini altri 1.671 euro. Sempre a testa. E sempre all’anno. Ultima nota di colore: per elaborare queste statistiche, Transparency international aveva fatto migliaia di interviste. Ebbene. Più di un intervistato su dieci (il 13,4%) aveva chiesto soldi sotto banco per rispondere alle domande.
E sarà tutto anche vero, per sfortuna della Grecia. Sfortunatamente per la Germania – però – uno dei più grossi scandali in salsa greca degli ultimi anni ha un protagonista d’eccezione: la Siemens. Che non è omonima della celebre multinazionale tedesca. E’ proprio lei.
Siemens – che è da tempo sotto inchiesta ad Atene – avrebbe pagato tangenti sia alla Ote (azienda di telecomunicazioni di proprietà del governo greco), che a politici di vario schieramento per avere appalti ai giochi olimpici del 2004. Un fiume di denaro che – a giugno 2009 – ha fatto finire in manette anche Michael Christoforakos, che della Siemens greca è stato appunto il capo. Un caso – per la cronaca – niente affatto isolato. Anzi. Siemens, negli ultimi anni, è entrata nel mirino dei giudici di mezzo mondo. Solo negli Stati Uniti le sono state contestate mazzette per la modica cifra di 1,3 miliardi di euro. Mazzette, per altro, ammesse e “espiate” con il pagamento – a dicembre del 2008 – di una multa record da 800 milioni di dollari. E un’altra maxi-multa – da ben 395 milioni di euro – la Siemens è stata costretta a pagarla anche in Germania. E sempre per lo stesso motivo: corruzione.
E ancora. Certo: corruzione e conti pubblici taroccati hanno contribuito al collasso. Ma a pesare – e molto – è stata anche l’introduzione dell’euro. Che in Grecia – e non solo in Grecia – ha avuto un effetto devastante. Facendo capitombolare le esportazioni. E facendo volare alle stelle le importazioni. Soprattutto quelle dalla Germania. E mica a caso.
Per citare un parere illustre: Alessandro Penati, professore di Finanza aziendale alla Cattolica di Milano ha scritto in un editoriale pubblicato da “Repubblica” che
La Germania ha voluto la moneta unica per sostenere l’ espansione della propria industria in un mercato vastissimo, sottraendo ai paesi confinanti l’arma della svalutazione competitiva. Per i paesi a minor competitività, il finanziamento dei disavanzi della bilancia dei pagamenti non sarebbe più stato un problema: avrebbero pagato l’ export tedesco vendendo ai tedeschi il proprio debito. E per evitare abusi, la Germania ha voluto il tetto del 3% ai deficit pubblici. Così, dall’ avvio dell’ euro, i tedeschi hanno accumulato complessivamente un avanzo delle partite correnti da 1.200 miliardi di dollari; dal 2006, il 6,5% del Pil in media ogni anno. Non è la Cina (8,5% di avanzo medio e 2.500 miliardi) ma poco manca. I disavanzi crescenti degli altri paesi di Eurolandia ne sono l’ immagine speculare. Come gli Usa per la Cina. (…). E una buona fetta del debito pubblico di questi Paesi è nelle tasche dei tedeschi.
Insomma, secondo Penati: la Germania (e non solo la Germania) ha prestato alla Grecia (e non solo alla Grecia) i soldi per comprare tutto il comprabile, meglio se made in Germany. Dando così una bella mano ad Atene nello scavarsi quella fossa che ora – in qualche modo – andrà pure riempita. Un parere sostanzialmente condiviso anche dalla bibbia del capitalismo anglosassone, cioè dal “Financial Times”. Mica pizza e fichi.
Tutto questo non per dire che sia giusto o sbagliato che la Germania – ma anche l’Italia, se è per questo – paghi i conti delle cosiddette cicale greche. E neppure per sostenere che invece di così, bisognerebbe fare cosà o cosù.
Sul web è tutto un fiorire di sedicenti esperti che vorrebbero vendere le loro soluzioni facili ai problemi complessi del mondo di oggi. Ma questo è un gioco che – a chi scrive – proprio non piace.
No, tutto questo solo per dire che – forse – sarebbe anche il caso che media, politici e comuni mortali – tedeschi e non – smettessero di raccontare e raccontarsi il mondo, parlando di buoni e cattivi. E di cercare sempre e comunque una morale o di fare la morale al colpevole di turno. Perchè i buoni e i cattivi esistono nelle favole. Quando si tratta di soldi e potere, il discorso cambia. Lì esistono soprattutto degli interessi. E se la Germania deciderà davvero di mettere mano al portafoglio – e ancora non è detto che lo faccia – lo farà solo nel suo interesse. E soprattutto, nell’interesse delle sue banche. Che assieme a quelle francesi – secondo il “Wall Street Journal” – sono esposte verso la Grecia per 119 miliardi di euro (ovvero un terzo dell’intero Pil Greco). Miliardi di ottime ragioni. Che, però, con morale e moralisti non hanno nulla a che fare. Il salvataggio della Grecia – sarebbe bene dirlo – è solo una questione di soldi.