DI
ANNA ALLE ORE |
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Eravamo in tanti, a Roma. Ieri, 7 luglio. Tutti sfollati, più di cinquemila. Sveglia all’alba, nelle nostre case di fortuna. E 15 euro il biglietto dell’autobus. E tante automobili private. E il caldo. Il Comune di Roma ci fa scortare lungo l’autostrada, fino a piazza Venezia. E lì ci consegna nelle mani delle forze dell’ordine. Armate fino ai denti e caricate ad arte, di fronte a gente stremata che non immagina neanche lontanamente cosa sia un posto di blocco nel quale i poliziotti hanno ricevuto l’ordine di caricare. Senza guardare in faccia nessuno: donne, bambini, anziani. E gli Aquilani cercano di parlare civilmente. Di contrattare l’ingresso verso palazzo Madama. E invitano i giovani, i nostri giovani, a far cordone per improvvisare una sorta di servizio d’ordine, per scongiurare eventuali tafferugli. Vogliamo arrivare alla Camera e poi al Senato, dove si discute, in finanziaria, della nostra sorte. Un governo iniquo ci impone di tornare a pagare tasse e balzelli. Come se nulla ci fosse accaduto. E non mette soldi sulla nostra disgrazia. Per ricostruire case. E vite. Nasconde la verità di una città morta. E, come ha sempre fatto dall’inizio della nostra tragedia, soffoca la ribellione con la violenza. Occulta o manifesta. La prima della protezione civile, sulla nostra stessa terra, ora quella di stato, armata di manganelli. Scaltri, imbottigliano i manifestanti nel primo tratto di via del Corso. Li tolgono dalla visibilità di piazza Venezia. E li picchiano una prima volta. Manganellate e sangue. Ma gli Aquilani non si fanno intimorire. Vedo in prima linea professionisti insospettabili che urlano VERGOGNA alle forze dell’ordine che picchiano. E donne coraggiose. E gli amici dei paesi. E i nostri ragazzi. Accanto ai genitori. Alle mamme. Tutti ad urlare. Ed a sventolare le nostre bandiere nero verdi. Nero, il lutto. Verde, la speranza della rinascita. Davanti a palazzo Grazioli, quando ripieghiamo verso Largo Argentina, altri scontri. Li guardo in faccia quei ragazzi sottopagati per picchiare i disperati. E vedo il mio ex vicino di casa. Mi affacciavo dal terrazzo, quando entrambi avevamo una città, e lo osservavo lavorare nel suo giardino. A volte si fermava a bere una birra, all’ombra di un albero. Lo vedo, ora, preso per un braccio e strattonato da un poliziotto che brandisce il manganello. Lo sta per picchiare. Ma lui urla. E alza le mani. Tutti alziamo le mani. Arrestateci tutti. Siamo noi i delinquenti dei centri sociali. Anna Alle Ore Fonte: http://miskappa.blogspot.com |