di
Federico Povoleri
Siamo in chiusura del 9° anniversario del più grave evento della storia moderna, che ha modificato e sta modificando profondamente le vite di ognuno di noi. Un evento che rimane orfano di una verità a cui tutti hanno diritto, ma che sembra interessare a pochi, mentre viene tenuta in vita – non si sa come – una delle più ridicole e assurde bugie mai fatte ingoiare all’intera popolazione mondiale. C’è un motivo per tutto questo: la bugia resiste, per quanto evidente e manifesta, a causa dell’apatia delle masse, che sembrano ormai del tutto addomesticate e menefreghiste.
Eppure l’indignazione delle masse, quando è utile, si sa sempre come provocarla. Il consenso o la sollevazione popolare sembrano simili a un interruttore, che è possibile accendere o spegnere a piacimento. Per l’11 settembre hanno staccato del tutto il contatore, tranne quando è servito il consenso per scatenare due guerre che complessivamente hanno già provocato più di un milione di morti.
Nonostante queste evidenze, molti pensatori che si sentono ad un livello superiore a quello della massa immersa nell’oblio, …
… continuano ad avere la convinzione che la propaganda funzioni soltanto con le menti deboli, o che più semplicemente si tratti di menzogne facilmente identificabili. Nessuno ancora, tranne quelli che la applicano ovviamente, sembra comprendere cosa sia davvero la propaganda, e quali siano gli effetti devastanti che permette di ottenere.
Per meglio capire l’uso e gli effetti della propaganda negli eventi dell’11 settembre 2001, conviene ripartire da eventi che hanno preceduto quella data. Nel rinfrescarci un po’ la memoria (scopriremo quanto è utile), caliamoci per un momento nei panni dei cacciatori di bufale, e iniziamo a smascherarne qualcuna, per dare il nostro contributo a chi tanto si impegna in quest’opera non sempre con successo.
Nonostante siamo provetti cacciatori di bufale, infatti, ne abbiamo trovate alcune che sembrano essere sfuggite ai più incalliti segugi. Ma partiamo dall’inizio: abbiamo già accennato in nostri precedenti articoli al tema della propaganda e dei suoi fondamenti, e ora vediamo alcuni esempi sulla sua applicazione tramite i media e la guerra.
CINEMA E PROPAGANDA
E’ indubbio che il cinema in tutti questi decenni abbia profondamente modificato la percezione della realtà e il sistema di valori delle persone, così come ha fatto la televisione (sulla modificazione di una cultura a livello di massa consigliamo l’ottimo documentario di Erik Gandini —Videocracy)(1) e non è certo un segreto che Pentagono e CIA abbiano entrambi un ufficio di collegamento con Hollywood, che richiede regolarmente certe revisioni delle sceneggiature, in cambio del supporto nella fornitura di mezzi e finanziamenti.
Negli corso degli anni 80 sono stati moltissimi i film d’azione e di guerra che trattavano la tematica terroristica addossata sempre e soltanto al fanatismo islamico, tanto che la percezione della gente, che sommava le notizie dei telegiornali sull’intolleranza religiosa e sui massacri nei paesi arabi con i film di Chuck Norris (solo per fare un esempio) era, all’inizio degli anni 90, già abbondantemente addomesticata e incanalata nella direzione voluta.
All’inizio della Prima Guerra del Golfo si poteva contare già su un background culturale, nel mondo occidentale, formato da migliaia di film e notizie che avevano impresso una certa immagine negativa, ormai accettata come un dato di fatto, del mondo arabo. Questa immagine negativa veniva contrapposta ad una positiva dell’America che, non è un segreto, fin dal dopoguerra ha più di un ufficio che si occupa di manipolare in senso positivo l’immagine degli Stati Uniti nel mondo, attraverso la propaganda.
L’operazione Desert Storm fornì l’opportunità di attuare una delle più imponenti operazioni di trasformazione della realtà, allo scopo di controllare e manipolare le opinioni della gente e la stessa formazione culturale di massa che si siano viste di recente. Una delle tecniche della propaganda per manipolare le notizie in ambito mediatico infatti, consiste nel fornire una quantità enorme di notizie. La saturazione tramite un flusso imponente di informazioni selezionate con cura permette di occultare quelle realmente importanti, ottenendo nello stesso momento il favore dell’opinione pubblica, che crederà di trovarsi davanti ad un’opera di trasparenza, buona fede e disponibilità.
Questa strategia fu messa in atto con grande successo prima e durante la guerra del golfo che è ricordata come la “guerra mediatica vista in diretta dal salotto di casa propria”. Come disse Mike Deaver, inventore della comunicazione reaganiana durante un’intervista: “I militari, ma certo anche il potere politico, avevano capito che occuparsi dei giornalisti era importante quanto la logistica e la strategia” (2).
GIORNALISTI SOTTO CONTROLLO
Per Desert Storm, l’apparato militare americano mostrò nei confronti dell’informazione una disponibilità mai vista prima; sia nella fase precedente le operazioni che durante il conflitto. I giornalisti furono letteralmente sommersi da informazioni e comunicazioni sotto le più svariate forme: conferenze stampa, briefing, interviste, documenti fotografici e filmati, e si ebbe davvero la sensazione di essere per la prima volta di fronte a una struttura impegnata a fornire la massima collaborazione. La tendenza dei media poi a spettacolarizzare e drammatizzare i fatti fece il resto, amplificando ulteriormente ciò che soltanto in seguito si sarebbe capito essere un perfetto meccanismo di gestione dell’informazione, costruito a tavolino dagli esperti delle agenzie di PR chiamate a collaborare con il Pentagono.
Gli scopi di questa manipolazione infatti, oltre a quelli già citati, erano molteplici: trasformare l’Irak di Saddam Hussein da alleato a nemico, esaltare la tecnologia americana giustificando una guerra giusta e umanitaria combattuta con armi intelligenti che colpivano solo i cattivi; e non ultimo, quello di irregimentare i giornalisti saturandoli di notizie che avrebbero dimostrato la massima collaborazione nei confronti della stampa, ma costringendoli nel contempo all’inattività all’interno di strutture controllate.
Si alimentò nei giornalisti l’illusione di agire in piena libertà, ma il fatto di essere sul posto e di partecipare ai briefing tenuti all’hotel Dharan International, allestito per dare in diretta a tutti quanti le informazioni sul conflitto, non significava che potessero partecipare alle azioni vere e proprie o che fosse consentito loro di seguire tempestivamente i fatti. Fu creato un pool di giornalisti operativi, tutti rigorosamente statunitensi e di provata fiducia ,che avrebbero distribuito ai colleghi una selezione delle notizie. Tutti i giornalisti dei vari paesi, ben 1600, prima di ottenere l’accredito dovevano firmare delle regole di comportamento che di fatto limitavano pesantemente la loro libertà di azione. (3)
Tutto questo servì a costruire una cassa di risonanza senza precedenti nella quale venivano diffuse informazioni fasulle e preconfezionate, che ingannarono tanto gli operatori quanto il pubblico. Lo spettacolo in perfetto stile hollywoodiano si avvalse non a caso della collaborazione di personaggi come il generale Kelly, che proveniva da una dinastia di giornalisti e quindi a suo agio con i media. Il capitano Sherman, capo del Joint Information Bureau, che era stato ufficiale di collegamento con Hsollywood, offrendo consulenze per film come Top Gun; e tutta una serie di filmati preparati ad hoc, che davano l’illusione al mondo di assistere al conflitto in diretta. Quello che in realtà vedeva il pubblico, erano decolli e atterraggi di aerei che facevano parte degli spot messi a punto dalle industrie degli armamenti per pubblicizzare i loro prodotti o veri e propri film costruiti a tavolino, dove commuoversi con la ragazza marine e il suo orsacchiotto di peluche, o con la performance del militare di colore con il suo sax sul crepuscolo del deserto.
Vennero quindi occultati e resi invisibili ai media eventi realmente drammatici e criminali come il massacro degli iracheni in ritirata sull’autostrada Kuwait City – Bassora, o la pratica statunitense di ricoprire con carri Abrahams e ruspe le trincee irachene seppellendo vivi i soldati nemici.
Quando vennero alla luce questi fatti, grazie ad alcuni giornalisti della BBC, trovarono pochissima eco sulla stampa internazionale e i pochi che ebbero il coraggio di parlarne vennero presto tacciati di disfattismo, scarso senso pratico e scarsa conoscenza della situazione.
E veniamo ora alle bufale vere e proprie…
TECNICHE DI OCCULTAMENTO
Una cosa che dobbiamo tenere presente è che oggi, esistono altri sistemi per ottenere un’informazione alternativa ai giornali e alla televisione e di conseguenza, anche se questi mezzi sono ancora prominenti, occultare la realtà può non essere sufficiente. Si rende quindi necessario per l’operatore della propaganda colmare tutti i possibili buchi neri dell’informazione per coprire delle “verità non dette” con delle vere e proprie menzogne, che possono essere trasmesse al pubblico con modalità e mezzi insospettabili. Si tenta cioè una trasformazione della realtà attraverso la mistificazione, o la vera e propria costruzione dei fatti da diffondere grazie al controllo globalizzato dell’informazione, a volte essa stessa veicolo inconsapevole di queste operazioni. Si tratta di una manipolazione capace di lasciare un imprinting profondo e duraturo nel pubblico, che non verrà scalfito nemmeno nell’eventualità che uscisse la verità perché in quel caso l’impatto mediatico e la sua diffusione non saranno mai uguali a quelle costruite per far conoscere o accettare la finta realtà pianificata a tavolino. Di conseguenza, con il passare degli anni, la gente si ritroverà ad avere come bagaglio personale, una storia composta da una serie di verità accettate come dato di fatto e mai messe in discussione, che però non corrispondono assolutamente alla verità.
I “RUMORS”
Un’altra tecnica della propaganda è quella di far circolare delle voci, spesso ridicole o fantascientifiche, atte a generare dubbi o malcontento, e lasciare che poi vengano autoalimentate e ingigantite dalla gente fino a creare delle vere e proprie leggende metropolitane; questa pratica è molto utile per preparare un background se vista in prospettiva di informazioni poi più autorevoli e controllate. I cosìdetti “rumors” (voci non confermate, “pettegolezzi”, ecc.), rappresentano un ottimo modo per comunicare e far passare informazioni attraverso canali non ufficiali, e quindi talmente occulti da non lasciare quasi traccia della manipolazione. Questo è anche un altro sistema per generare attraverso informazioni false e dicerie, un clima di paura che può garantire l’appoggio incondizionato di quanti offriranno il proprio consenso in cambio della propria sicurezza.
Un caso esemplare di questi “rumors” fu l’acquisto da parte di Saddam Hussein di migliaia di Playstation-2 a scopi militari. La notizia, avvalorata dalla rivista britannica “New Scientist” (4) rimbalzò in breve attraverso tutta la stampa internazionale; ecco l’articolo che pubblicò La Stampa il 23 dicembre del 2000:
“L’embargo imprigiona Saddam e l’import di molti prodotti continua ad essergli vietato, compresi computer e software che le sue squadre di scienziati potrebbero convertire in strumenti bellici. E, allora, non resta che farsi spedire container del super giocattolo del 2000 che è un capolavoro di ingegneria ed è stato progettato per processare grafica ad alta velocità (e che naturalmente non è soggetto alle restrizioni dell’Onu). Smontando e riconnettendo le consolle, dovrebbe essere possibile mettere insieme abbastanza byte per uno dei supercomputer di cui spesso si è favoleggiato e che sarebbero, con i missili e le armi batteriologiche, il bene più prezioso del dittatore. Quelle memorie potrebbero essere utilizzate per i sistemi di guida delle bombe intelligenti e per la progettazione di ordigni chimici, a credere ad alcune fonti dei servizi segreti americani, secondo l’indiscrezione catturata dalla rivista New Scientist e che ha già fatto il giro di Washington. Gli esperti si interrogano e bisticciano. John Crowcroft (University College di Londra) è convinto che le performance multimediali della Playstation 2 possano servire anche per i radar. Ma, aggiunge, se lo scopo è potenziare la capacità di calcolo di qualche vetusto computer, è probabile, è probabile che il dittatore abbia sbagliato consolle: —Io avrei optato per la Sega Dreamcast—. Un altro tecnico, Andrew Downtown (Essex University) è di parere opposto: —E’ più facile acquistare chip e componenti; viste le dimensioni lillipuziane, farli entrare di nascosto in irak non è certo impossibile” (Gabriele Beccaria, La playstation letale di Saddam – La Stampa, 23/12/2000)
State ridendo tutti, lo so; sarebbe però un errore e una grave sottovalutazione considerare informazioni come questa alla stregua di tante sciocchezze smerciate dai mass media in clima natalizio.
La notizia è irrilevante perché assolutamente gratuita; serve però a mantenere un clima di sospetto nei confronti di Saddam Hussein e diffonderla in un momento in cui i media si sprecano su servizi di preparazione al Natale, con notizie rassicuranti per una festa considerata da tutti come il simbolo della bontà, significa identificare Saddam come un mostro nemico del Natale, dei bambini e della serenità. Immagine ben conosciuta nella nostra cultura cinematografica tramandata da Hollywood in cui i “cattivi” rubano i giocattoli ai bambini per dispetto o per rubare il posto a Babbo Natale, oppure – e qui c’è la totale identificazione con il personaggio – per costruire un potentissimo ordigno che servirà a conquistare il mondo.
LE AGENZIE DI PR – HILL & KNOWLTON
Questo tipo di strategia prepara le masse integrandosi poi perfettamente con quella mirata e non più delle voci di corridoio che seguirà; le agenzie di PR con i professionisti della comunicazione entrati in campo su richiesta del Pentagono, e impegnati sia in tempo di pace che in guerra, produrranno tutta una serie di rumori e false notizie:
La Hill & Knowlton fu assoldata una settimana dopo l’invasione del Kuwait con un contratto da 11 milioni di dollari da un gruppo di copertura (l’associazione “Citizens for a Free Kuwait”), finanziato dal governo dell’Emiro Al Sabah. L’incarico era quello di accrescere la sensibilizzazione internazionale sulla questione kuwaitiana.
Ma la notizia che mosse l’opinione pubblica fu quella relativa all’uccisione di neonati kuwaitiani. Dopo che tra Agosto e Settembre iniziarono a circolare strane voci su una strage di innocenti, l’agenzia fece approdare a un comitato per i diritti umani del congresso americano (un gruppo politico informale che non avrebbe trasformato una falsa testimonianza in un reato) la testimonianza di una quindicenne volontaria presso l’ospedale del Kuwait, che narrò tra le lacrime le atrocità viste con i propri occhi e commesse ad opera dei soldati di Saddam, che strappavano i neonati prematuri dalle incubatrici per lasciarli morire sul pavimento.
Il filmato della testimonianza fece il giro del mondo, e poco dopo venne presentata davanti al consiglio delle Nazioni Unite (con le stesse modalità: audizione, video, notiziari) la testimonianza di un medico, un certo Dottor Behbehani, che dichiarò di aver personalmente assistito al massacro di 40 bambini. (5)
L’indignazione internazionale era stata raggiunta, e questa notizia fu tra quelle che determinarono la scelta di avviare le ostilità contro l’Iraq, con 6 senatori che citarono l’episodio per avvalorare la necessità dell’intervento. La menzogna provocò un errore di valutazione destinato a produrre risultati di dimensioni enormi di cui tutti stiamo ancora pagando le conseguenze.
L’infermierina Nayirah infatti non era altro che la figlia dell’ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti che non era mai stata protagonista di quanto affermato, e che fu allenata dall’agenzia Hill & Knowlton a recitare quella parte, mentre il Medico Behbehani risultò essere un dentista qualunque, che ammise di aver mentito dopo la fine della guerra.
Il famoso filmato dell’invasione del Kuwait, con l’ingresso dei carri armati a Kuwait City che tutto il mondo potè vedere, grazie a un video amatoriale girato da due turisti tedeschi sorpresi nel loro albergo dall’invasione, e che si concludeva con i primi patrioti che scrivevano sui muri: “Free Kuwait”, fu un altro prodotto della Hill & Knowlton: una produzione cinematografica realizzata a Hollywood, e compresa nel pacchetto di servizi proposti dall’agenzia. Saddam Hussein infatti fece in modo che nessuna immagine clandestina uscisse dal Kuwait durante tutto il periodo dell’occupazione.
LE AGENZIE DI PR – RENDON GROUP
Un’altra agenzia che fu coinvolta dal governo statunitense fu il Rendon Group, che nel 1991 ricevette un contratto da 23 milioni di dollari per avviare operazioni di propaganda volte a colpire l’immagine di Saddam Hussein nel suo paese.
Dopo l’11 settembre 2001 questa agenzia assunse anche l’incarico di avviare azioni di propaganda fornendo informazioni anche false ai media stranieri, per influenzare l’opinione pubblica internazionale tanto nei paesi alleati quanto in quelli avversari.
L’agenzia elaborò programmi di propaganda aggressiva, che prevedevano l’uso di operazioni coperte, azioni destabilizzanti, creazione di falsi eventi e attacchi a reti telematiche.
Tutto questo, fu, almeno formalmente, interrotto a seguito di forti polemiche innescate dal New York Times, probabilmente supportate da oppositori all’interno dello stesso Pentagono.
Sempre al Rendon Group si deve la costruzione di un’altra menzogna, in seguito molto ridimensionata, e relativa alla cattura e successiva liberazione del soldato “Jessica Lynch”, in perfetto stile da film d’azione e eroismo hollywoodiano trasmesso da tutte le reti. Il Rendon Group diresse tutte le operazioni di immagine e propaganda legate a questo caso, costruendoci sopra un’abile manipolazione che culminò con la composizione di un inno: “She Is a Hero”, composto per Jessica da Eric Horner.
E’ giusto ricordare che John Rendon, il fondatore di questa agenzia, è stato coinvolto anche nell’invasione di Panama, e alla demonizzazione di Noriega attraverso l’operazione “Giusta Causa”, alla diffusione in rete di false notizie per giustificare la guerra in Kosovo nel 1999, e alla distribuzione di informazioni mirate sul millenium bug.
Fu a questo personaggio e a questi eventi che si ispirò il regista Barry Levinson per il suo film: “Wag the dog” (Sesso e Potere), in cui un produttore televisivo si inventa una finta guerra per coprire lo scandalo sessuale del presidente.
Anche se la reale versione dei fatti riguardanti Jessica risultò totalmente differente e assai meno eroica, quando emerse alcuni mesi dopo, l’eco della smentita fu del tutto irrilevante rispetto a quello iniziale. Una regola ormai tristemente nota. La stessa Jessica Lynch smentirà poi la versione ufficiale, arrivando ad accusare direttamente il Pentagono di essersi servito di lei unicamente per scopi propagandistici.
Naturalmente abbiamo scherzato; come avete potuto leggere, tutte queste bufale non sono state scoperte da noi e sono emerse anche grazie al lavoro di seri giornalisti e ricercatori ma come abbiamo detto, l’emergere della verità e la notizia della smentita non hanno lo stesso impatto nè la stessa cassa di risonanza mediatica di quella costruita ad arte e diffusa intenzionalmente. Per tante persone, molti fatti, ma cosa ancora più importante, le opinioni che da essi si sono create, rimangono tali e acquisiti in virtù di un bagaglio di esperienze mai messo in discussione. In questo aspetto la creazione delle menti, delle idee e delle opinioni è davvero efficace nel tempo e nel costruire gli individui di domani, che saranno convinti del proprio bagaglio umano e culturale e totalmente inconsapevoli della manipolazione operata alle loro spalle in ogni aspetto della loro vita, anche se in questo caso stiamo analizzando soltanto l’aspetto propagandistico e mediatico rispetto alla guerra.
Per concludere vogliamo citare un ultima bufala clamorosa che può essere d’aiuto per riflettere, in chiusura di questa nona triste ricorrenza dell’11 settembre: il caso dell’eccidio di Timisoara.
TIMISOARA
Il presunto eccidio del Natale del 1989, raccontato dalle televisioni e dai giornali di tutto il mondo con dovizia di particolari, fu destinato a trasformarsi nel volgere di poche settimane in una delle bufale più inquietanti nella storia del giornalismo.
Le cose da considerare in questa storia sono allo stesso tempo importanti e quasi incredibili: 1) La capacità di raggiungere in pieno un obiettivo di disinformazione a livello internazionale 2) L’accettazione acritica da parte dell’opinione pubblica di notizie che mancavano di fonti certe e attendibili 3) L’incredibile capacità di penetrazione della notizia che crebbe a dismisura attraverso leggende e false notizie di supporto 4) La dimostrazione di quanto un’informazione manipolata possa trasformare o addirittura costruire la realtà.
La vicenda inizia martedì 19 dicembre 1989, quando le prime pagine dei giornali riportano gli avvenimenti della domenica precedente, annunciando la rivolta nel sangue contro Ceausescu nelle cittadine di Timisoara e Arad, sottolineando l’intervento dell’esercito e il —probabile— massacro.
Il Corriere della Sera riporta: “…Ieri sono arrivate altre conferme delle manifestazioni che sabato e domenica hanno sconvolto le città di Timisoara e Arad e che sarebbero state represse nel sangue dalla polizia con l’appoggio dell’esercito.” (Corriere della sera 19/12/1989)
La Repubblica commenta così: “…Fonti dell’opposizione interna parlano di scontri violentissimi e di 300 morti…”
Il fatto è che i media rumeni praticano un silenzio totale e le poche informazioni arrivano dagli stranieri che hanno potuto abbandonare il paese; e ovviamente si tratta di fonti non controllabili ne verificabili, ne tantomeno confermabili dato che circoleranno molte versioni diverse.
E così i morti passano da almeno due a 3-400 a differenza delle fonti, ma potrebbero essere anche mille.
Mano a mano che le stime dei morti continuano a crescere iniziano ad arrivare anche informazioni sulle efferatezze della guardia dei Pretoriani di Ceausescu; secondo il Corriere della Sera, testimoni oculari parlano di un’orgia di violenza, un medico rumeno che ha chiesto di non fare il suo nome racconta di una donna di circa quarant’anni straziata sotto ai cingoli di un carro armato. La Repubblica riporta di oltre 400 romeni sventrati a colpi di baionette e schiacciati dai blindati.
Mentre tutte queste notizie si accavallano, tre importanti agenzie: la Tanjug, la Adn e la Free Europe legata al dipartimento di Stato Americano, annunciano il 20 dicembre il grande massacro di Timisoara – forse ormai completamente distrutta. Si parla di donne incinte sventrate con le baionette, bambini schiacciati dai carri armati o uccisi all’uscita di una chiesa, e di elicotteri che mitragliano la folla. Free Europe comunica al quotidiano francese Liberation di essere in possesso di una nota indirizzata a Elena Ceausescu nella quale sarebbero riportati i numeri del massacro: 4.632 morti e 1.282 feriti. Appare chiaro che la portata della tragedia è immane e non ha precedenti nella recente storia europea.
Nonostante le varie fonti si contraddicano spesso e non siano del tutto coerenti tra loro, l’estrema precisione di questi numeri è autorefenziale. Cifre così esatte e dettagliate non possono essere che vere.
Il 21 dicembre nuovi e sempre più raccapriccianti e inquietanti racconti oscurano completamente la notizia del giorno: l’occupazione statunitense di Panama con l’operazione “Giusta Causa”.
La repubblica parla di 2000 morti, fosse comuni e pire di cadaveri; La Stampa porta le cifre a 4000 e parla di rapimenti di massa, occultamento di cadaveri e brutalità gratuita
Le voci dirette sono sempre poche mentre quelle indirette tantissime; il 22 dicembre viene confermata la voce delle fosse comuni. La notizia ripresa dalla tv di stato ungherese e poi da quella di Belgrado e dalla France Press, Tanjug e da tutte le altre agenzie parla di una fossa comune rinvenuta nel cimitero dei poveri di Timisoara nella quale sarebbero state ritrovate addirittura tutte le 4632 salme.
Compare subito dopo anche un filmato girato male e di notte al lume di lanterne nel quale si vedono i primi corpi riesumati con evidenti tracce di torture spaventose; tutti i cadaveri hanno in comune un taglio malamente ricucito che va dal collo all’inguine; segno evidente di quei sventramenti di cui si è parlato o di chissà quale altra tortura.
Il filmato fa il giro del mondo mentre la vicenda si arricchisce sempre più di macabri dettagli.
La Stampa del 24 dicembre attribuisce a Tanjug la notizia di 12.000 morti uccisi nei combattimenti o nelle esecuzioni di massa. Rinvenuti in fosse comuni con i volti sfigurati dall’acido: “…C’era un bambino, c’era una madre col suo neonato…”
Tutti i giornali fanno a gara nel riportare dettagli truculenti e stime di morti; arrivano anche le prime testimonianze dirette di alcuni giornalisti che descrivono gli orrori a cui hanno assistito; un crescendo di atrocità spaventose che elencarle tutte è superfluo. Alcuni arrivano a parlare di 60.000 morti ma poco a poco nei giorni vicini alla fine dell’anno l’interesse va scemando e viene via via soppiantato dagli avvenimenti internazionali. Ogni tanto appaiono ancora notizie in modo sporadico per risvegliare lo sdegno: L’uomo crocefisso come gesù a cui sono stati strappati gli arti da vivo (CDS 27/12/89), il bambino appeso nella piazza principale di Timisoara per spaventare la gente (Repubblica 28/12/89), e altre notizie ai limiti del ridicolo come il vampirismo di Ceasusescu o i Robot umani della Securitade o ancora degli strani contatti della Securitade con il mondo Arabo.
La situazione comunque, normalizzandosi entra a far parte di un mito fondante collettivo e viene accantonata dall’opinione pubblica.
Ma presto, più di qualcuno inizia a mettere in dubbio la veridicità delle notizie e comincia ad interrogarsi sui troppi punti interrogativi di informazioni tanto dettagliate che nella realtà sembrano non trovare conferme. La questione inizia a essere messa in discussione dalla stessa Romania; l’ufficio sanitario di Bucarest ad esempio in contrasto con il comitato di salvezza nazionale, sostiene che per gli obitori della capitale sarebero passati meno di mille cadaveri; non certo i 60.000 dei quali si parla. Anche un rappresentante del governo locale di Timisoara, nel corso di una conferenza stampa pone interrogativi sullo stato di decomposizione dei morti ritrovati nelle presunte fosse comuni. Insomma, in molti e da più parti del mondo iniziano ad avere seri dubbi sulla stima ufficiale fornita dal governo rumeno che aveva parlato di 80.000 morti al massimo.
Un mese dopo i fatti la notizia delle fosse comuni di Timisoara inizia a vacillare: il 24 gennaio 1990 una televisione tedesca propone la versione di alcuni testimoni diretti, secondo i quali le informazioni e le immagini offerte all’opinione pubblica internazionale sarebbero false. La France Press denuncia una messa in scena: “Tre medici di Timisoara hanno affermato che i corpi di persone decedute in modo naturale sono stati prelevati dall’istituto medico legale e dall’ospedale per essere esposti alle telecamere come vittime della securitade”. Ma la maggior parte dei media tende a ignorare questa smentita.
La verità sui fatti di Timisoara e sul filmato che fece il giro del mondo per testimoniare il massacro arriverà nel mese di aprile grazie a due giornalisti di Liberation; Sorj Chalandon e Marc Semo, tornati sul posto e raccolte le dichiarazioni dei parenti delle vittime e dei testimoni diretti, concluderanno che i morti di Timisoara erano stati 147 di cui 25 dispersi e 335 feriti. Uno scarto a dir poco enorme che non toglie nulla alla gravità dei fatti ma ne modifica pesantemente le proporzioni.
In seguito a questa scoperta lo stesso Liberation farà una spietata autocritica a se stesso e al comportamento seguito da tutti i media. Riconoscerà di aver pubblicato notizie prive di fondamento e alcuni anni dopo Dominique Pouchin all’epoca caporedattore del quotidiano, accuserà i giornali di aver seguito le vicende fidandosi solo delle agenzie di stampa e vivendo gli avvenimenti come uno scenario pre-programmato e già pronto a cui nessuno voleva rinunciare (Internazionale n 142-143 9 agosto 1996)
Per quanto riguarda il filmato televisivo con la gigantesca fossa spacciato per reale, la verità sarà ancora più sconvolgente e sarà citato da Le Monde Diplomatique come il più grande inganno mondiale dopo l’invenzione della televisione.
Gli autori della messinscena sono a tutt’oggi ignoti ma si scoprì che i corpi filmati nel cimitero dei poveri appartenevano a barboni e vagabondi che non erano i martiri della rivoluzione ma dei semplici poveracci come ce ne sono in ogni città di cui occorreva stabilire la causa del decesso e che proprio per questo motivo erano stati sottoposti ad autopsia (le lacerazioni frettolosamente ricucite che non erano dunque sventramenti di baionette), e le orribili deturpazioni erano semplicemente attribuibili al processo di decomposizione. La fossa comune rientrava perfettamente nella norma di trattamento di persone che non erano in grado di pagarsi le spese di sepoltura e si vennero anche a scoprire i nomi delle 13 persone presenti in quella fossa e le loro date di nascita.
Questo permise di sfatare le varie voci che avevano commosso e indignato l’opinione pubblica come ad esempio la madre sventrata non era altro che Zamfira Baitan di 70 anni alcolizzata e morta per cirrosi epatica l’8 novembre 1989.
Riuscite ora a percepire con più chiarezza le operazioni di propaganda messe in atto prima, dopo e durante l’11 settembre 2001?
Fonti:
Menzogna e propaganda (Massimo Chiais – Lupetti 2008)
Tecniche di controllo mentale (Matteo Rampin – Aurelia 2004)
Il mito dell’11 settembre (Roberto Quaglia – PonSinMar 2007)
(1) (Occhio che l’essere noi stessi, cittadini italiani, immersi in questa profonda trasformazione mostrata nel lungometraggio potrebbe non farci comprendere a fondo questa pellicola che in altri paesi è stato recepita benissimo e con sgomento. Il trailer italiano all’epoca della sua uscita è stato bloccato da tutte le televisioni compromettendone pesantemente la visibilità)
(2) (Chantal de Rudder per Nouvelle Observateur, tradotta da: il sabato 22 giugno 1991.)
(3) (Per un elenco delle regole: Candito 1997, pp 233-234)
(4) (Ian Sample, War Games – New Scientist 21/12/2000)
(5) (F. Roncarolo, La guerra tra informazione e propaganda – D’Orsi 2003)