DI

MASSIMO FINI
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Antonio Di Pietro ha dichiarato: “Chi è contro l’Unità d’Italia è un traditore”. Io sono un traditore. L’Italia migliore e più vitale è stata quella preunitaria. L’Italia dei Comuni, delle Repubbliche Marinare, dei Granducati. L’Italia-laboratorio dove, con l’affermarsi, a Firenze e nel piacentino, di una forte classe di mercanti (che oggi si chiamano imprenditori) ha avuto inizio la Modernità. L’Italia della grande letteratura, Dante, Petrarca, Cavalcanti, Boccaccio, poi il Tasso e l’Ariosto su su fino a Foscolo, Manzoni, Leopardi. L’Italia della grande arte, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Botticelli, Caravaggio, Tiziano, Tiepolo. L’Italia delle cattedrali, delle chiese, delle pievi, dei borghi e del suo straordinario paesaggio (oggi ampiamente e unitariamente sconciato) che sono poi i motivi per cui i turisti stranieri vengono ancora da noi.
L’Italia unitaria, dal punto di vista culturale, ha avuto ancora un buon periodo ai primi del Novecento, con le avanguardie, la grande stagione delle riviste, La Voce, La Ronda, La Cerba, il Leonardo e durante il fascismo dove fummo primi in un settore modernissimo quale il design industriale. Sul secondo dopoguerra, cinema a parte e qualche eccezione, è meglio stendere un velo pietoso.
Politicamente l’Italia unita ha fatto due guerre. Una l’ha vinta cambiando alleato, nell’altra ha sbagliato alleato e l’ha persa nel più ignominioso dei modi spaccando, in questo caso sì, il Paese in due. Piazzale Loreto resta, simbolicamente e concretamente, una vergogna indelebile. Nel dopoguerra, a parte l’euforia della ricostruzione (è facile essere felici quando si è salvata la pelle), è stato un disastro, soprattutto a partire dalla fine degli anni Sessanta. Siamo l’unico Paese al mondo ad avere quattro mafie (quella propriamente detta, la camorra, la ‘ndrangheta, la Sacra Corona Unita), ai primissimi posti per la corruzione, svuotati di ogni contenuto che non sia materiale e di ogni valore che non sia il Dio Quattrino. Che cosa dovremmo celebrare, presidente Napolitano?
Lo Stato nazionale, come ogni costruzione umana, non è eterno. Ha avuto la sua funzione in un determinato periodo storico. Nacque, in Europa, per motivi di difesa ed economici perché l’infinità di dazi danneggiava quel libero mercato che proprio allora stava prendendo piede. Ma oggi, in Europa, nessuno Stato nazionale è così grande e forte da poter assicurare da solo la propria difesa, né così piccolo e coeso da poter dare risposta alle esigenze identitarie che, in epoca di globalizzazione, si fanno sempre più impellenti. In quanto al commercio non solo non ci sono più dazi ma, in Europa, nemmeno confini.
Quando l’Europa sarà politicamente unita, gli Stati nazionali perderanno ogni ragion d’essere. I suoi punti di riferimento periferici non saranno più gli Stati, ma le "macroregioni", cioè aree geografiche economicamente, socialmente, culturalmente e climaticamente coese, che potranno anche superare gli attuali confini nazionali (non si vede perché non dovrebbero unirsi, per esempio, la Savoia e la Valle d’Aosta, il Tirolo con l’Alto Adige e il Trentino, la Riviera di Ponente con la Costa azzurra e la Provenza). Quelli che andiamo quindi gloriosamente a celebrare sono i 150 anni di un’istituzione morente.

Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/12/abbassola-patria/85960/