DI
DMITRY ORLOV
CultureChange.org
Nota dell’editore: Dmitri Orlov è l’autore di “Reinventing Collapse”, basato sulle sue osservazioni dirette del collasso del Unione Sovietica e delle prospettive socioeconomiche degli Stati Uniti d’America. Il suo nuovo articolo descrive i fattori chiave fisici, sociali, politici ed economici che gli analisti dell’industria dell’energia devono prendere in considerazione nelle previsioni della produzione di petrolio, perché queste siano significative. “Il picco del petrolio è storia” è esclusivamente su CultureChange.org fino al 1° Novembre – JL
La quarta di copertina della prima edizione del mio primo libro, Reinventing Collapse, mi descriveva come “un eminente teorico del Picco del Petrolio”. Quando l’ho letto per la prima volta sono rimasto a bocca aperta. Vedete, se scorrete una lista di seri eminenti teorici del Picco del Petrolio : i vostri Hubbert, Campbell, Laherrère, Heinberg, Simmons e pochi altri che vale la pena di menzionare, non troverete un solo Orlov tra di essi. Cercherete invano tra gli annali e i procedimenti delle conferenze dell’ Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio una traccia del vostro umile autore. Ma ora che questo sproposito è stato stampato e messo in circolazione in un numero così alto di copie, suppongo che non abbia altra scelta che corrispondere alle aspettative che ha suscitato.
A parte le mie scarse qualifiche, questo sembra un momento propizio per disquisire a lungo su una nuova parte della teoria del Picco del Petrolio, perché quest’anno, per la prima volta, quasi tutti sono pronti ad ammettere che il picco del petrolio è sostanzialmente reale, nonostante alcuni non siano ancora pronti per chiamarlo con tale nome. Solo cinque anni fa tutti, dai rappresentanti governativi ai dirigenti delle compagnie petrolifere trattavano il picco del petrolio come il prodotto di una frangia di scienziati folli, ma ora che la produzione tradizionale di petrolio ha raggiunto il massimo nel 2005 e quella dei combustibili liquidi lo ha fatto nel 2008, tutti sono pronti a riconoscere che ci sono seri problemi nell’aumentare l’erogazione di petrolio a livello mondiale. E nonostante alcune persone siano ancora scettiche nell’usare il termine “Picco del Petrolio” (e pochi esperti ancora insistono che ci si debba riferire al picco come ad un “altopiano ondulato”, che se non altro è una graziosa parafrasi) le differenze di opinione ora sono originate da un rifiuto di accettare la terminologia “Picco del Petrolio” piuttosto che dall’essenza del raggiungere il massimo della produzione globale di petrolio. Certo, questo è abbastanza comprensibile: è imbarazzante passare istantaneamente da gridare “il picco del petrolio è una stupidaggine” a gridare “il picco del petrolio è storia” in poco tempo. Tali acrobazie sono consentite solo ai politici e agli economisti.
Ora che la questione è stata ampiamente definita, sento che i tempi sono per me maturi per intervenire sull’argomento e dichiarare inequivocabilmente che il picco del petrolio è veramente una sciocchezza. Non la parte circa la produzione mondiale che raggiunge in qualche momento vicino al presente un massimo e poi declina inesorabilmente: quella parte sembra abbastanza vera. E neanche la parte che riguarda la produzione che in ogni regione del pianeta diventa vincolata dalla geologia e dalla tecnologia una volta raggiunto il picco : anche quella parte, sotto condizioni sperimentali ben progettate, sembra essere profetica. In effetti il modello di deplezione è stato elegantemente confermato dall’esempio degli Stati Uniti continentali (tranne l’Alaska) dal 1970. Ma l’idea che questo modello di esaurimento possa essere applicato all’intero pianeta, è, ritengo, qualcosa che deve essere rifiutato come completamente e sommamente fasullo. Per vedere quello che intendo, guardate al tipico grafico del picco del petrolio (Fig1) che mostra la produzione globale che sale fino a un picco e poi declina.
Osservate che la salita contiene molte strutture interessanti. Ci sono guerre mondiali, depressioni, collassi di imperi, embarghi petroliferi, scoperte di immensi giacimenti, per non menzionare i terribili cicli di espansione e frenata che sono la sventura delle economie capitaliste (mentre quelle socialiste sono a volte riuscite a crescere, ristagnare ed eventualmente collassare molto più gradualmente). E’ una salita accidentata, con pareti, crepacci, affioramenti scoscesi e pendii ripidi. Ora guardate alla discesa: non è liscia in maniera sconcertante? La sua origine geologica deve essere completamente diversa da quella della salita. Sembra essere costituita da una singola morena gigante, accumulata all’angolo di riposo vicino alla cima, con una certa diffusione alla base, senza dubbio dovuta all’erosione, con una graduale transizione verso quello che sembra essere un dolce pendio di una pianura alluvionale, sicuramente composta di limo proveniente dalle inondazioni, seguito da una vasta area perfettamente piatta, che potrebbe essere il fondale di un antico mare. Se salire fino alla cima deve aver richiesto tecniche alpinistiche, sembra che la discesa sia affrontabile in ciabatte da bagno. Uno potrebbe rotolare giù per tutta la discesa, e essere sicuro di non urtare nulla di affilato prima di fermarsi lentamente da qualche parte intorno al 2100. Matematicamente, la curva di salita dovrebbe essere caratterizzata da qualche polinomiale di alto grado, mentre la discesa è semplicemente e^(-t) con un minimo di rumore statistico. Questo, ne converrete, è estremamente sospetto: un fenomeno naturale di grande complessità che, appena è costretto a smettere di crescere, cambia direzione e diventa semplice come un cumulo di terra. Dove altro abbiamo osservato questa specie di spontanea e immediata semplificazione di un complesso e dinamico processo? La morte fisica è a volte preceduta da un lento decadimento, ma prima o poi la maggior parte degli esseri viventi passa dalla vita alla morte in una transizione netta. Non si avvizziscono continuamente per decadi, fino a diventare troppo piccoli per essere osservabili. Così io chiamo questa generica e largamente accettata situazione del picco del petrolio lo Scenario Roseo. E’ quello in cui la civiltà industriale, invece di crollare a terra immediatamente, si ritira in una immaginaria casa di riposo e passa i suoi ultimi anni dorati legata a fantomatici serbatoio di ossigeno e sacca per colostomia.
La cosa veramente strana è che lo Scenario Roseo potrebbe essere abbastanza accurato, in circostanze ideali, quando viene applicato a singole nazioni e regioni produttrici di petrolio. Per esempio immaginiamo che il più grosso produttore di petrolio, che ha iniziato con più petrolio dell’Arabia Saudita, raggiunge il picco, diciamo, nel 1970, ma poi all’improvviso decade dal regime aureo, impone la sua valuta al resto del mondo supportandola con la minaccia della forza, inclusa la minaccia di una iniziativa di attacco nucleare, alla fine arriva a importare oltre il 60% del suo petrolio, molto del quale a credito, e, poche decadi più tardi va in bancarotta. Quindi, durante le decadi intercorse, la sua produzione di petrolio domestica esibirebbe in effetti questa curva splendidamente delicata e tecnologicamente costruita – fino al momento della bancarotta nazionale.
[Superato il punto della bancarotta nazionale le circostanze sono vincolate a diventare non ideali, ma le implicazioni di ciò rimangono poco chiare. Riuscirà quella sventurata nazione a continuare a prendere in prestito soldi da tutto il mondo per importare abbastanza petrolio per far continuare a funzionare la sua economia, e, nel caso ciò accada, a quali condizioni, e per quanto a lungo ? Sarebbe bello sapere come va a finire questa storia, ma sfortunatamente tutto quello che possiamo fare è stare a guardare quello che accadrà.]
Ma abbiamo un altro esempio (fig. 3), che potrebbe offrirci delucidazioni su cosa intendiamo quando scriviamo che le circostanze saranno “non ideali”. La nazione che è al momento il più grande produttore di petrolio ha raggiunto il suo picco di produzione intorno al 1987. La sua classe dirigente sclerotica, geriatrica, irrigidita ideologicamente e sistematicamente corrotta non fu in grado di intuire l’importanza di questo fatto, e solo tre anni dopo la nazione era in bancarotta, poco dopo si è dissolta politicamente. In questo caso il crollo della produzione di petrolio divenne il principale indicatore economico della nazione: è crollata la produzione di greggio, quindi è crollato il PIL , quindi è crollata la produzione di carbone e gas naturale, e, una decade più tardi l’economia era sprofondata al 40%. Dietro a queste cifre c’era un tracollo dell’aspettativa di vita e un pervasivo clima di disperazione in cui molte vite furono perse o rovinate.
Ma finché nessun fattore politico o economico destabilizzante interferisce con il naturale calo della curva, le predizioni della teoria del Picco del Petrolio su quello che avviene dopo l’apice sembrano reggere. (Quando parlo di “circostanze ideali”, immagino che vada inteso come ideali dal punto di vista di senzienti, per quanto irrazionali, molecole di idrocarburi, il cui desiderio è di essere pompate fuori dal sottosuolo e bruciate prima e più efficientemente possibile, perché non è chiaro, in fin dei conti, chi altro ne benefici… ma non stiamo a cavillare). Dal momento che si sa che il problema di non avere abbastanza petrolio per spostarsi causa ogni sorta di problemi politici ed economici, e dal momento che questo è esattamente il problema che ci dovremmo aspettare di affrontare subito dopo che il mondo raggiunge il picco di produzione, l’assunzione di fondo su cui poggiano le previsioni della teoria del Picco della produzione globale di Petrolio, non è realistica. Gli specialisti che sono nella posizione di predire il Picco del Petrolio non sono in grado di valutare i suoi effetti politici ed economici, e quindi tutto quello che possono fare è fornirci lo Scenario Roseo come limite superiore definitivo. Comunque, questo ammonimento non è mai spiegato a chiare lettere come dovrebbe. Il risultato è che potremmo trovarci a lavorare con una teoria che predice che, una volta che il picco della produzione globale viene raggiunto, deliziosi dolcetti al cioccolato si sforneranno dal nulla e voleranno nelle nostre bocche su delicate ali di marzapane.
La spiegazione basata sulla teoria del Picco del Petrolio è che, mentre la salita è vincolata economicamente, la discesa è vincolata solamente dalla geologia delle riserve che si svuotano e dalla tecnologia dell’estrazione del greggio, che sono soggette a limiti termodinamici e non possono migliorare per sempre senza incorrere in una flessione e infine in un calo. Mentre la fornitura di petrolio è in crescita, la domanda fluttua, producendo numerose oscillazioni nella produzione sovrapposte alla principale tendenza al rialzo, in quanto la produzione prova ad adattarsi alla domanda. Ma sul lato del calo, la domanda è sempre superiore alla produzione, e quindi ogni barile di greggio che può essere prodotto in ogni istante sarà estratto.
Estrapolando le conseguenze di un declino locale della produzione di petrolio per capire quelle di un declino globale, il tacito assunto è che l’economia globale continuerà a funzionare con una sorprendente tranquillità a livello di domanda che può essere soddisfatta, mentre la domanda non soddisfatta sarà drenata nei bassifondi da un costante e potente flusso di assurdità sociali e politiche. Tutto questo si risolverà spontaneamente con partecipanti al mercato razionali che rispondendo ai segnali delle variazioni di prezzo decideranno in ogni istante se devono:
A) continuare a consumare petrolio nella maniera in cui sono abituati , oppure
B) allontanarsi tranquillamente e morire senza richiamare l’attenzione su di sé o fare chiasso.
Dove è stata mai vista una tale organizzazione perfetta in situazioni dove una merce chiave – come ad esempio, il cibo o l’acqua potabile – scarseggia criticamente? Si è mai vista? Si è vista mai da qualche parte?
E suppongo che un ulteriore tacito assunto è che una economia in contrazione (cosa da aspettarsi con tutta questa domanda non corrisposta e corrispettivo attrito tra i partecipanti al mercato) può funzionare altrettanto bene di una in espansione, senza subire un collasso finanziario. Speciali strumenti finanziari chiamati “credit default-swaps” possono essere usati come copertura contro il crescente rischio della controparte che gli antagonisti collassino in massa per ferite auto-inflittesi, per quanto, dopo un po’ questi strumenti inizierebbero a diventare troppo costosi. Ma non credo che si possa fare molto con le proiezioni di crescita economica sfornate con ogni piano finanziario, ad ogni livello. Una volta che queste si rivelano infondate, tutte le piramidi di debito inizieranno a crollare. E dal momento che una valuta a corso forzoso (quale il dollaro americano) è composta di debito – credito anticipato basato sulla promessa di una futura crescita – non è chiaro come e con cosa il petrolio rimanente continuerà ad essere acquistato. La fine della crescita è un evento imponderabile; iniziate a parlarne, e tutti improvvisamente decidono che si è fatta ora di pranzo e iniziano a ordinare da bere. Almeno i francesi hanno una parola adatta per questo : décroissance (letteralmente, de-crescita (la parola esatta manca in Inglese, NdT)); qui, nel mondo anglofono, tutto quello che possiamo fare è farfugliare e borbottare di “doppie recessioni”. Forse Geithner e Bernanke possono esibirsi in una danza di cifre per illustrare.
Vediamola in un altro modo. Come ho già fatto menzione, la teoria del Picco del Petrolio è stata abbastanza buona nel predire il profilo della deplezione di certe nazioni e province stabili e prospere. Ma queste previsioni sono senza senso quando estrapolate sul pianeta come un tutto, per una ragione veramente ovvia: il mondo non può importare petrolio. Lasciatemelo riscrivere, questa volata a caratteri da titolo, grassetto e centrato, per enfatizzare il significato di questa frase :
Il Pianeta Terra Non può Importare Petrolio
Quando deve affrontare una produzione di petrolio insufficiente una nazione industrializzata ha soltanto due scelte:
1. importare petrolio
2. collassare
Ma quando è un pianeta industrializzato ad affrontare una produzione globale insufficiente ha solo una scelta: la scelta numero 2. Qualcuno potrebbe obiettare che esiste una terza scelta: iniziare da subito a usare meno petrolio. Comunque, in pratica, questa si rivelerebbe equivalente alla scelta numero due.
Usare meno petrolio condurrebbe a effettuare alcuni cambiamenti radicali, spesso tecnologicamente impegnativi, politicamente impopolari e di conseguenza costosi in termini di soldi e di tempo. Queste scelte potrebbero essere tecnologicamente avanzate (e poco realistiche) come rimpiazzare l’attuale flotta di veicoli a motore con veicoli elettrici alimentati a batteria e costruire un grande numero di centrali nucleari per ricaricare le loro batterie, oppure semplici (e piuttosto realistiche) come spostarsi in un luogo da cui sia possibile raggiungere il lavoro a piedi o in bicicletta, far crescere la maggior parte del proprio cibo in un orto-giardino e in un pollaio e così via.
Ma qualunque siano questi passi, tutti richiedono una certa preparazione e spesa e, in un momento di crisi (come ad esempio il momento in cui le scorte di petrolio improvvisamente si assottigliano) è notoriamente un momento difficile per imbarcarsi in attività di pianificazione a lungo termine. Per quando la crisi arriva o un paese ha già preparato quello che può o vuole preparare (rimandando il momento del collasso) oppure non lo ha fatto, accelerando l’arrivo della crisi e rendendola più severa. Il Rapporto Hirsch (spesso citato) afferma che ci vorranno venti anni per prepararsi per il picco del petrolio per evitare una siccità severa e prolungata di carburanti per il trasporto, e dato che il picco si è verificato nel 2005 abbiamo già cinque anni in meno per poltrire prima di dover cominciare a prepararci. Secondo Hirsch et al. abbiamo già perso l’occasione per prepararci.
Alcuni potrebbero anche chiedersi perché una riduzione delle scorte di petrolio dovrebbe dare via automaticamente al collasso. Si può vedere che – in un’economia industrializzata – una diminuzione nel consumo di petrolio comporta una diminuzione proporzionale nelle attività economiche nel loro complesso. Il petrolio è la materia prima per la vasta maggioranza dei carburanti utilizzati per spostare prodotti e fornire servizi attraverso tutta la struttura economica. Negli USA in particolare c’è una correlazione molto forte tra il PIL e le miglia percorse da veicoli a motore. Così si può affermare che l’economia USA va a petrolio in modo piuttosto diretto e immediato: meno petrolio comporta un’economia più compressa. Qual è il punto in cui l’economia si riduce tanto da non riuscire più a mantenere i requisiti minimi per la sua sopravvivenza? Per poter continuare a funzionare tutte le infrastrutture, le centrali e gli equipaggiamenti devono essere sottoposti a manutenzione e sostituiti tempestivamente. Una volta che quel punto è stato raggiunto le attività economiche sono vincolate non solo dalla disponibilità di carburante, ma anche dalla disponibilità di equipaggiamento funzionante. Arriva un punto in cui l’economia si riduce tanto da invalidare le ipotesi finanziare sulle quali si basa, rendendo impossibile l’importazione di petrolio a credito. Una volta che quel punto è stato raggiunto la quantità di carburanti per il trasporto disponibile non è limitata soltanto dalla disponibilità di petrolio, ma anche dall’impossibilità di finanziarne le importazioni.
Per innescare l’intera sequenza di eventi la carenza iniziale di carburanti per il trasporto non deve essere necessariamente grande perché anche una riduzione piccola delle scorte può attivare un numero di reazioni economicamente distruttive. Molto carburante si spreca rimanendo in coda presso i pochi distributori di benzina che rimangono aperti. Altri sprechi derivano dalla pratica di fare sempre e comunque il pieno, non sapendo quando e dove si potrà fare rifornimento di nuovo. Ulteriori porzioni di carburante spariscono dal mercato perché vengono stivate in taniche e contenitori improvvisati. Mentre la carenza si prolunga e si amplia il carburante viene accumulato e nascosto e nasce il mercato nero: carburante dirottato dai canali di distribuzione ufficiali e sottratto alle cisterne diviene disponibile sul mercato nero a prezzi gonfiati. Così anche l’effetto di una lieve diminuzione delle scorte iniziale può facilmente innescare un effetto valanga generando una perturbazione {economica} sufficiente a spingere l’economia oltre i suoi limiti fisici e finanziari e [quindi] verso il collasso.
Se a questo punto iniziate a sentirvi preoccupati… mi dispiace dirlo, siete dei pesi leggeri, perché è solo l’inizio. Lo scenario del picco del petrolio può apparire roseo, ma anche una rosa ha le spine. E ci sono altri aspetti da prendere in considerazione nel quadro sinottico.
Primo: il roseo profilo di produzione globale post-picco è basato su cifre sovrastimate per quanto riguarda le riserve. Molto del petrolio che resta si trova in Medio Oriente, nelle nazioni OPEC, e queste nazioni hanno dichiarato riserve largamente sovrastimate durante la "guerra delle quotazioni" negli anni ’80 del secolo scorso. Mentre gli altri membri dell’OPEC hanno timidamente inventato numeri sballati ma con una vaga parvenza di realismo, Saddam Hussein – che ha sempre avuto un certo gusto per la spettacolarizzazione – ha arrotondato le riserve irachene a un bel numero intero: 100 miliardi di barili. Ne consegue che le riserve dell’OPEC sono state gonfiate un bel po’ – almeno un terzo. E l’OPEC non è l’unica ad aver esagerato i numeri della propria scorta. Le compagnie energetiche USA hanno fatto lo stesso gioco per fare contenta Wall Street. Mettete via le pantofole: per scendere la china del picco del petrolio c’è bisogno di un equipaggiamento da scalata serio.
Secondo: c’è un fenomeno chiamato Effetto Paese Esportatore: le nazioni esportatrici quando la produzione inizia a vacillare hanno una forte tendenza a ridurre le esportazioni prima di incidere sul consumo interno. Naturalmente ci sono alcune nazioni che hanno ceduto la sovranità sulle loro risorse ad aziende internazionali e hanno perso il controllo sulle politiche di esportazione. Ci sono anche alcuni regimi dittatoriali che penalizzano i loro concittadini consumatori per continuare a incassare i guadagni delle esportazioni, necessari per sostenere il regime. Ma la maggior parte delle nazioni esporterà soltanto il proprio eccesso di produzione. Questo vuol dire che sarà impossibile comprare petrolio a livello internazionale molto prima che i pozzi si prosciughino, lasciando tutte le nazioni importatrici di petrolio fuori al freddo. Così se vivete in una nazione importatrice di petrolio e pensavate di poter scendere la china di del picco del petrolio in scarponi da montagna… metteteli via: avrete bisogno di un paracadute.
Terzo: benché le quantità totali di petrolio prodotte nel mondo siano aumentate fino al 2005, la quantità totale di prodotti basati sul petrolio (benzina, gasolio, etc.) distribuite ai punti di utilizzo ha raggiunto il suo picco anni prima, in termini di energia derivata utilizzabile. Il motivo risiede nel fatto che è richiesta sempre maggiore energia per estrarre un barile di petrolio dal suolo e raffinarlo. Le riserve di greggio hanno mostrato la tendenza a divenire più difficili da estrarre, più pesanti e più inquinate da zolfo; inoltre la richiesta di carburanti con minor contenuto di piombo per aumentare il numero di ottani contribuisce allo spreco di energia.
L’indice energia prodotta su energia investita (Energy Returned On Energy Invested – EROEI) è passato dal 100:1 dell’alba dell’era del petrolio, quando un gruppo di robusti ragazzi potevano scavare un pozzo di petrolio con pala e piccone, a un valore medio di 10:1, ora che la produzione di petrolio richiede piattaforme sottomarine (che a volte esplodono e avvelenano interi ecosistemi), perforazioni orizzontali e tecnologie per la distillazione frazionata, recupero secondario e terziario con iniezioni di acqua e azoto, impianti di separazione del petrolio dall’acqua e ogni sorta di altre complessità tecnologiche che consumano sempre più dell’energia che producono. Mentre l’indice EROEI scende da 10:1 a 1:1 l’industria petrolifera inizia a somigliare a una balia obesa ma affamata che succhia avidamente il proprio seno accanto alla culla di un neonato che muore di fame. A un certo punto non sarà più economicamente conveniente trasportare gasolio e benzina ai distributori.
Non sappiamo con esattezza quando questo momento arriverà, ma alcuni indicatori portano a pensare che il minimo EROEI sostenibile per l’industria si aggiri intorno a 3:1.
L’effetto della diminuzione dell’EROEI è di rendere il dolce declivio dello scenario roseo molto più ripido. La curva non assomiglia più a un mucchietto di ciottoli, ma a una fiume di lava che si tuffa in mare solidificandosi tra nuvole di vapore. C’è molta energia rimasta, ma molta di questa è destinata a disperdersi e potrebbe essere impossibile avvicinarvisi a sufficienza per arrostire i marshmallow.
Quarto: dobbiamo considerare il fatto che la nostra moderna industria petrolifera globale è altamente integrata. Se si necessita di un certo componente specializzato per un’operazione di trivellazione è probabile che venga acquistato da una delle due aziende globali. Ed è altrettanto probabile che questa azienda abbia alcune operazioni importanti ed altamente tecnologiche in una nazione che è incidentalmente un’importatrice di petrolio. L’importanza di questo diviene chiara quando si prende in considerazione che cosa accadrebbe alle operazioni di quell’azienda quando si manifesti l’Effetto Nazioni Esportatrici. Supponiamo che voi siate un’azienda petrolifera nazionale in una nazione ricca di petrolio che abbia ancora greggio sufficiente per il consumo domestico, benché sia stata costretta di recente a sganciare tutti i suoi clienti internazionali. I vostri campi petroliferi sono grandi ma maturi, e potete mantenerli produttivi soltanto continuando a trivellare nuovi pozzi orizzontali appena sopra il livello dell’acqua e tenere la pressione alta iniettando acqua marina. Se interrompeste anche solo brevemente questa attività la composizione del greggio cambierebbe da petrolio acquoso in acqua oleosa che tanto varrebbe rimandare di nuovo sottoterra. E ora accade che questo equipaggiamento di cui avete bisogno per continuare a perforare pozzi orizzontali provenga proprio da una delle sfortunate nazioni che solitamente importavano il vostro petrolio ma ora non possono più, e i tecnici che solitamente costruivano i vostri equipaggiamenti hanno rinunciato a cercare benzina al mercato nero per andare al lavoro in macchina e sono impegnati a dissodare il loro giardino per piantare patate. Non molto tempo dopo le vostre operazioni di trivellazione terminano i pezzi di ricambio, la vostra produzione di petrolio si sfascia e la maggior parte delle vostre riserve residue rimangono sepolte, contribuendo a incrementare un’altra categoria sempre più importante di giacimenti: quelli che non verranno mai estratti.
Quando si tengono in considerazione questi quattro elementi insieme diviene difficile immaginare che la produzione globale di petrolio possa declinare lentamente dal suo picco in una curva dolce e continua lunga decenni. Piuttosto l’immagine che si presenta è quella di un crollo brusco e diffuso che alla fine colpirà tutto il pianeta. Chiunque e ovunque siate è probabile che vedrete il processo dispiegarsi in tre fasi:
Fase 1: l’accesso ai carburanti per trasporti e servizi rimane al livello attuale
Fase 2: l’accesso ai carburanti per trasporti e servizi è fortemente limitato
Fase 3: l’accesso ai carburanti per trasporti e servizi è impossibile e si manifestano severe restrizioni alle possibilità di spostamento.
La durata della fase 2 varierà da un luogo all’altro. In alcuni luoghi si potrebbe passare direttamente alla fase 3: le autocisterne non raggiungeranno più alcune città, i distributori della zona chiuderanno e basta. In altri paesi un fiorente mercato nero potrebbe permettere di avere benzina ancora per qualche anno a prezzi che permetteranno ancora alcuni utilizzi, come un generatore elettrico nei centri di emergenza. Ma l’abilità di gestire la fase 2 e di sopravvivere alla fase 3 dipende in larga parte dai cambiamenti e dai preparativi messi in atto durante la fase 1.
Ci si deve aspettare che la grande maggioranza delle persone non avranno fatto nulla per prepararsi, non avendo la consapevolezza di doverlo fare. Ci si può aspettare che qualcuno faccia qualche passo nella direzione del buon senso come installare una stufa a legna o provvedere all’isolamento termico delle case, oppure in una direzione apparentemente di buon senso ma fondamentalmente inutile, come sprecare il loro denaro per una nuova auto ibrida o sprecare le loro energie per fondare un nuovo partito politico o cercare di prendere il controllo di uno di quelli esistenti.
Alcuni compreranno una fattoria, equipaggiandola per essere autonomi, cominceranno a far crescere il loro cibo (forse trasportando il loro surplus a un vicino mercato rurale con biciclette attrezzate o barche), istruiranno i loro bambini a casa, enfatizzando i classici e l’agricoltura, l’allevamento degli animali e altri tipi di conoscenza utili in tutte le epoche. Alcuni fuggiranno in luoghi dove il carburante è già scarso e dove un motorino è considerato un dispositivo che allevia la fatica… di asini e cammelli.
Sfortunatamente è difficile prevedere quali di questi cambiamenti e adattamenti saranno effettivamente coronati da successo e quali falliranno perché molto dipende da circostanze imprevedibili e varieranno da luogo a luogo e da persona a persona: l’incertezza è semplicemente troppo grande. Ma c’è una cosa di cui si può essere certi: che lo scenario roseo del picco del petrolio, che proietta un declino lento e graduale delle produzioni mondiali di petrolio, è privo di senso. Prendere coscienza di questo fatto dovrebbe causare un senso di urgenza. Che lo usiamo stupidamente o saggiamente dipende da noi, e il nostro successo dipende anche dalla fortuna, ma avere un senso di urgenza non è affatto una cosa sbagliata. Se nutriamo il desiderio di prepararci potremo avere alcuni mesi, forse alcuni anni, ma sicuramente non abbiamo decenni. Lasciate che quelli che vorrebbero farvi credere altrimenti, prendano prima in considerazione le obiezioni che ho sollevato in questo articolo.
Titolo originale: "Peak Oil is History "
Fonte: http://www.culturechange.org
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PAOLO CASTELLETTI