DI
PAUL BIGNELL
The Independent
Alcuni documenti rivelano l’esistenza di progetti che sono stati discussi dai ministri governativi e dalle maggiori compagnie petrolifere mondiali un anno prima che il Regno Unito assumesse un ruolo guida nell’invasione dell’Iraq.
Queste annotazioni, rivelate qui per la prima volta, sollevano nuove domande sul coinvolgimento della Gran Bretagna nella guerra, una questione che aveva diviso il gabinetto di Tony Blair e che era stata approvata solo dopo che il premier britannico affermò che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa.
Si è sempre negato un interesse per le risorse irachene, ma la cosa è sempre suonata strana.
I verbali stilati dopo una serie di incontri avvenuti tra i ministri e i dirigenti petroliferi di alto livello contrastano con le pubbliche smentite riguardo gli interessi delle compagnie petrolifere e dei governi occidentali di allora.
Questi documenti non furono forniti come prove per l’indagine Chilcot sulla partecipazione del Regno Unito alla guerra in Iraq. Nel marzo 2003, poco prima che la Gran Bretagna entrasse in guerra, la Shell denunciò che i rapporti dei colloqui avuti con Downing Street sul petrolio iracheno erano "altamente imprecisi”. La BP ha negato di aver avuto “qualche interesse strategico” in Iraq, mentre Tony Blair ha descritto “la teoria della cospirazione del petrolio” come “la più assurda”.
Ma i documenti di ottobre e novembre dell’anno precedente dipingono un quadro molto diverso.
Cinque mesi prima dell’invasione dell’Iraq del marzo 2003, la baronessa Symons, l’allora Ministro del Commercio, disse alla BP che il governo riteneva che le imprese energetiche britanniche avessero diritto a una parte delle enormi riserve di petrolio e gas dell’Iraq come ricompensa per il coinvolgimento militare di Tony Blair nei piani statunitensi per il rovesciamento del regime di Saddam.
Le carte mostrano che la signora Symons accettò di fare pressioni sull’amministrazione Bush per conto della BP perché il gigante petrolifero temeva di essere “tagliato fuori” dagli accordi che Washington stava silenziosamente raggiungendo col governo russo e quello francese e le rispettive imprese energetiche.
Nei verbali di un incontro del 31 ottobre 2001 con la BP, la Shell e la BG (ex British Gas) si legge:
“La baronessa Symons concorda che sarebbe difficile giustificare una perdita delle compagnie britanniche in Iraq se il Regno Unito non fosse un evidente sostenitore del governo statunitense durante la crisi”.
Il ministro poi prometteva di “comunicare alle compagnie prima di Natale” i suoi sforzi di pressione politica.
Il 6 novembre 2002 il Ministero degli Esteri invitava la BP a discutere le opportunità in Iraq “susseguenti alla caduta del regime”. I verbali attestano: “L’Iraq offre le più grandi possibilità per il petrolio. La BP farà di tutto per avervi accesso ed è impaziente di sapere che gli accordi politici non le negheranno tale opportunità”.
A seguito di un altro incontro avvenuto nell’ottobre 2002, l’allora Ministro degli Esteri per il Medio Oriente, Edward Chaplin, osservava: “La Shell e la BP non possono permettersi di non avere un interesse [in Iraq] in vista di un futuro a lungo termine… Eravamo determinati a dare alle compagnie britanniche una giusta fetta dei profitti ottenuti nell’Iraq post-Saddam.”
Mentre la BP ribadiva pubblicamente che non aveva “alcun interesse strategico” in Iraq, in privato confessava al Ministero degli Esteri che l’Iraq era “l’affare più importante da tanto tempo”.
La BP temeva che, se Washington avesse lasciato in essere il contratto esistente tra Total/Fina/Elf e Saddam anche dopo l’invasione, la conglomerata francese sarebbe diventata la compagnia petrolifera più grande al mondo. La BP fece sapere al governo di essere disposta a correre “grandi rischi” pur di ottenere una parte delle riserve irachene, le seconde al mondo per grandezza.
Grazie all’"Atto per la Libertà di Informazione", oltre 1000 documenti sono stati raccolti in cinque anni dall’attivista Greg Muttitt. Questi rivelano che, alla fine del 2002, ci furono almeno cinque incontri tra i funzionari statali, i ministri, la BP e la Shell.
I contratti ventennali firmati dopo l’invasione sono stati tra i più grossi nella storia dell’industria petrolifera. Includevano la metà delle riserve irachene, 60 miliardi di barili di petrolio, acquistati in blocco da compagnie quali la BP e la CNPC (China National Petroleum Company), il cui consorzio da solo raggiunge un profitto annuo di 403 milioni di sterline (658 milioni di dollari) dalla zona di Rumalia, nel sud dell’Iraq.
La scorsa settimana l’Iraq ha portato la sua produzione di petrolio al livello più alto dopo quasi un decennio, 2,7 milioni di barili al giorno, un risultato molto importante visto il periodo, considerata la volatilità regionale e la perdita di produzione in Libia. Molti oppositori della guerra sospettano che una delle principali ambizioni di Washington nell’invadere l’Iraq sia stata assicurarsi una fonte di petrolio conveniente e abbondante.
Muttit, il cui libro "Fuel on Fire" uscirà la settimana prossima, ha dichiarato: “Prima della guerra, il governo fece ogni sforzo per ribadire che non era per nulla interessato al petrolio iracheno. Questi documenti sono la prova della falsità di tali affermazioni.
“È chiaro, infatti, che il petrolio rappresentava uno dei fattori strategici più importanti per il governo e che quest’ultimo si mise segretamente d’accordo con le compagnie petrolifere per dar loro accesso all’enorme bottino.
La 59enne baronessa Symons è diventata poi la consulente per una banca d’affari inglese che incassava proventi dai contratti per la ricostruzione dell’Iraq. Il mese scorso ha cessato un’attività non retribuita svolta per il Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Economico libico dopo che il colonnello Gheddafi ha iniziato a aprire il fuoco sui dimostranti. La notte scorsa la BP e la Shell si sono rifiutate di commentare.
Il petrolio non c’entra? Cosa è stato detto prima dell’invasione
* Memorandum del Ministero degli Esteri, 13 novembre 2001, a seguito di una riunione con la BP: “L’Iraq offre grandi possibilità per il petrolio. La BP farà di tutto per avervi accesso ed è impaziente di sapere che gli accordi politici non le negheranno tale opportunità…”
* Tony Blair, 6 febbraio 2003: “Lasciatemi chiarire questa cosa del petrolio… la teoria della cospirazione del petrolio è una delle più assurde se la si esamina a fondo. Il fatto è che, se il petrolio iracheno fosse la nostra preoccupazione, potremmo prendere accordi al riguardo con Saddam anche domani. Non si tratta del petrolio, ma delle armi…”
* BP, 12 Marzo 2003: "Non abbiamo alcun interesse strategico in Iraq. Se chi va al potere vorrà un intervento dell’Occidente dopo la guerra, sempre che ci sia una guerra, tutto ciò che abbiamo detto è che dovrebbe essere ad armi pari. Non stiamo certo cercando un coinvolgimento.”
* Lord Browne, l’allora capo esecutivo della BP, il 12 marzo 2003: “Per il sottoscritto e per la BP non è una guerra per il petrolio. L’Iraq è un produttore importante, ma è lui a decidere cosa fare del suo patrimonio e del petrolio.”
* La Shell, il 12 marzo 2003, ha detto che i rapporti dei colloqui sulle opportunità petrolifere avuti con Downing Street erano “altamente imprecisi” e ha aggiunto: “Non abbiamo cercato, né tanto meno preso parte a riunioni con ufficiali del governo britannico sulla questione irachena. L’argomento è emerso solamente in alcuni discorsi durante i soliti incontri avuti con gli ufficiali a cui abbiamo partecipato di tanto in tanto… Non abbiamo mai richiesto dei ‘contratti’.”
Titolo originale: "Secret memos expose link between oil firms and invasion of Iraq"
Fonte: http://www.independent.co.uk
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA URONI