DI

VINCENÇ NAVARRO
Público

 

 

Questo articolo evidenzia come la diminuzione della tassazione dei redditi alti (risultato delle politiche fiscali di sensibilità neoliberista) abbia impoverito gli stati portandoli ad indebitarsi, chiedendo denaro in prestito alle banche (dove quelli che percepiscono i redditi elevati depositano il loro denaro) che richiedono interessi elevati. Questa situazione comporta una concentrazione dei redditi con un conseguente impatto negativo sulla crescita economica e sulla creazione di occupazione.

I ricchi sono molto pochi in qualsiasi paese, ma posseggono un enorme potere. Un indicatore di questo potere è ciò che sta accadendo con il debito pubblico sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea, come anche in Spagna. La loro influenza sullo Stato di questi paesi ha determinato una notevole diminuzione delle tasse negli ultimi trent’anni (in Spagna negli ultimi quindici), cosa che gli ha permesso di diventare ancora più ricchi.
Questa forte riduzione delle entrate ha fatto sì che gli stati si indebitassero, chiedendo prestiti alle banche in cui le persone facoltose depositano e investono i loro soldi. In questo modo questi, invece di pagare lo Stato (con le tasse), prestano i soldi che hanno risparmiato non pagando le imposte al paese, il quale deve pagare loro gli interessi. Per loro il sistema è perfetto (e per le banche in cui depositano i loro soldi), trasferendo così una grande quantità di fondi dal settore pubblico, ai ricchi e alle loro banche.
Vediamo i dati, iniziando dagli Stati Uniti. Secondo Robert Reich, Ministro del lavoro e degli Affari Sociali del governo Clinton, l’aliquota massima per le persone affluenti (l’1% della popolazione con maggior reddito) negli Stati Uniti era, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino al 1980, quasi del 70%. Vale a dire, per ogni dollaro che guadagnava la gente più ricca, doveva pagarne 70 centesimi in imposte allo Stato. In quegli anni anche presidenti del partito Repubblicano come Dwight Eisenhower credevano non fosse salutare per la società che esistessero disuguaglianze estreme.
Questa convinzione era data dall’influenza della sinistra che ha configurato la cultura politica dominante tra il 1950 e il 1980. Non c’è bisogno di dire che i ricchi cercavano di svignarsela dal pagare quel 70%. E così, tra deduzioni e altre misure, questo 70% è diminuito al 50%.
Dall’altro lato, la tassa sulla rendita del capitale era del 35%.
Tutto questo cambiò sotto la presidenza Reagan, che avviò la rivoluzione reazionaria neoliberista. Reagan diminuì notevolmente le tasse per i ricchi (anche se aumentò quelle di tutti gli altri; in realtà è stato il presidente che ha aumentato maggiormente le tasse in tempo di pace negli Stati Uniti). Iniziarono così una serie di politiche che hanno portato a una situazione in cui i ricchi pagano allo Stato solamente il 36% dei loro introiti. Si va dal 50% al 36% nel periodo tra il 1980 al 2011. E le tasse sulla rendita del capitale sono diminuite dal 35% al 15%.
Questi vantaggi fiscali hanno raggiunto un livello tale che, nel 2010, 18.000 famiglie ricche non hanno pagato alcuna imposta. In realtà, le 400 famiglie più ricche degli Stati Uniti hanno pagato allo Stato federale solamente il 18% d’imposta sulle loro entrate. Come conseguenza di queste politiche, l’1% dei redditi più elevati, che negli anni ’70 guadagnava il 9% di tutto il reddito nazionale, nel 2010 è riuscito a percepire niente meno che il 20% del reddito nazionale.
Questa concentrazione dei redditi ha creato un enorme problema economico: la mancanza di domanda che stimola l’economia e che crea occupazione. I ricchi hanno così tanti soldi che, quando ne guadagnano di più, invece di aumentare il loro consumo lo investono al fine di accumulare sempre più soldi, creando un grave problema. In tempi di recessione bisogna che la gente consumi affinché la domanda cresca. Ma se il 20% del reddito nazionale è posseduto dall’1% della popolazione che (in proporzione) consuma meno, si crea un grande vuoto nella domanda. E questo è ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, nell’Unione Europea come anche in Spagna. Inoltre, siccome non c’è molta domanda per la cosiddetta economia produttiva dove si producono beni e servizi (come conseguenza della diminuzione dei redditi del lavoro in percentuale del reddito nazionale), i ricchi non ritengono opportuno investire in attività e in settori produttivi, ma in attività più redditizie, quelle speculative, creando così le bolle che ci portano ai disastri che conosciamo.
La bolla immobiliare ne è un esempio. Ma, adesso che la bolla è esplosa, i ricchi, attraverso le banche, comprano debito pubblico, ovvero titoli dello Stato. E, attraverso le agenzie di valutazione dei titoli, come Moody’s, Standard & Poors e le altre (che sono strumenti delle banche), creano la percezione di un’economia a rischio, che porta gli Stati a dover pagare interessi elevati. Le banche spagnole possiedono il 52% del debito spagnolo. Ricevono prestiti di denaro dalla Banca Centrale Europea a interessi molto bassi (1%) e con questi soldi comprano titoli pubblici dallo Stato spagnolo, che offre una redditività del 6%.
Risulta difficile delineare un sistema che sia più favorevole per i ricchi e per le loro banche. E mentre diventano super ricchi, chiedono alla cittadinanza di tirare la cinghia con la scusa che “non c’è alternativa”.
E i media più importanti dicono alla popolazione che “la pressione dei mercati finanziari” (la frase più utilizzata nella cultura dominante del Paese) obbliga lo Stato spagnolo a seguire politiche pubbliche enormemente impopolari, presentandole come necessarie e inevitabili.
Ma questa pressione, nel caso spagnolo, deriva principalmente dalle banche e dai ricchi spagnoli, che hanno causato la crisi (le loro speculazioni nel mercato immobiliare) e che ora stanno beneficiando di queste politiche, chiedendo i soldi allo Stato (gli alti interessi sui titoli) per prestare il loro denaro, lo stesso che hanno guadagnato pagando meno tasse.
È ovvio che esistono alternative. Da questa analisi si deduce che il modo migliore per evitare l’indebitamento dello Stato non è diminuendo la spesa pubblica (molto bassa nel caso spagnolo), bensì aumentando le tasse dei ricchi e dei super ricchi ai livelli del periodo anteriore (e nel caso spagnolo a livelli omologabili a quelli dei paesi nordici). Un lavoratore della manifattura paga già il 78% di quello che paga il suo omologo in Svezia.
Un ricco (l’1% del reddito elevato) paga il 20% delle tasse che paga il suo omologo in Svezia. Le cose stanno così.

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Fonte: http://www.vnavarro.org/?p=5712

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ILARIA VALENTI