DI
JEFFREY SOMMERS E MICHAEL HUDSON
Global Research
Anders Åslund e altre majorette dell’austerità reclamizzano la Lettonia come fosse un poster per infanti a favore dei tagli radicali. Niente potrebbe essere più distante dal vero.
I dati economici dello scorso mese rivelano che la crisi economica globale continua a peggiorare, e che per durata e gravità ha le carte in regola per essere definita come la Grande Depressione II. E, anche se è evidente che molti che i nostri problemi vengono da una finanza selvaggia, diversi commentatori dei media continuano a mentire alla vittima, il pubblico. Invece di rimodellare la finanza, consigliano ai governi di imporre misure di austerità che, nell’economia odierna, saranno capaci di gettare a mare le vittime mentre affogano, quando ai colpevoli verrà garantita una scialuppa di salvataggio sotto forma di denaro.
Per Robert Samuelson del Washington Post, la risposta per la crisi mondiale la si può trovare, in modo mistificatorio (fino a che uno si chieda "cui bono?"), in uno dei paesi più piccoli (e poveri) dell’Unione Europea, la Lettonia; una nazione che ha imposto alla sua gente uno dei regimi di austerità più brutali e le cui politiche stanno favorendo un collasso demografico. La Lettonia ha una popolazione con un altro grado di istruzione ed è vicina ai Paesi più ricchi del mondo, quelli scandinàvi. È anche favorita dalla presenza di porti di transito di primo livello. Ma la Lettonia ha un potere di acquisto per abitante (PPP) pari alla metà della Grecia ed è solo di poco avanti rispetto alla della Bielorussia isolata politicamente e senza sbocchi sul mare.
Esatto, questo è il modello che i banchieri, i loro delegati al governo e la cerchia dei decisori vogliono che sia intrapreso anche da altri stati. Gli opinionisti che pubblicizzano la soluzione lettone, comunque, non hanno capito (o hanno scelto di non capire) questo paese, e neppure gli esiti delle politiche di austerità. Non solo insistono nel dire che i tagli in Lettonia erano necessari, ma anche che si tratta del primo posto in cui queste misure sono state sostenute da un’intera popolazione. Si presume, di conseguenza, che l’elettorato sia "maturo" e "saggio", e che per questo i politici non devono aver paura di imporre l’austerità a un pubblico ben "educato". Queste asserzioni sono sia pericolose che false, ma stanno prendendo piede.
La realtà lettone descrive, dopo aver vissuto la più forte contrazione economica mondiale dalla crisi del 2008, una piccola risalita dopo una caduta libera che è terminata con lo schianto sul pavimento. Il modesto segno positivo della crescita è soprattutto una conseguenza della domanda svedese di legname lettone. Le prospettive economiche a lungo termine, comunque, rimangono fosche.
Per di più, l’acquarello della storia recente della Lettonia dipinto da Samuelson e dagli altri esperti – che descrive una popolazione che ha supportato i tagli – è contraddetto dalle proteste fluviali che hanno preso piede all’inizio della crisi. Quando queste proteste non sono riuscite a produrre un cambiamento, la risposta del pubblico è stata quella di prendere armi e bagagli e di lasciare il paese. Sommato con il basso indice di natalità lettone, questa emigrazione ha creato una specie di eutanasia demografica che rischia di far sparire questa nazione. Inoltre, il partito politico che ha suggerito il programma di austerità risulta essere al terzo posto nei sondaggi per le elezioni nazionali che si terranno il 17 settembre. Visto questo insieme corposo di fallimenti subiti dal regime di austerità lettone, ci si potrebbe chiedere da dove provenga la percezione del suo successo economico e del sostegno riscosso dalle sue politiche?
Ogni crisi attrae carpetbagger (ndt: indica anche persone che si candidano in un paese diverso dal proprio) e ogni sorta di falliti, pronti per il “secondo atto” di Scott Fitzgerald. Nella crisi economica lettone entrambi possono essere individuati nella figura del consulente di politica economica, ben finanziata da banche e industrie, Anders Åslund. La Lettonia ha fatto esperienza del più grande boom mondiale alimentato dal credito facile nella corsa verso la Grande Depressione II, e ha già vissuto sulla propria pelle anche il colpo più forte. La crisi del 2008 ha colpito più severamente i paesi che hanno seguito la rotta neoliberista delle politiche economiche di Åslund, con cui ha trafficato in tutto il blocco post-sovietico nel corso degli anni ‘90. La crisi lettone del 2008, in ogni caso, ha fornito a Åslund l’opportunità di rifarsi una reputazione come consulente e analista politico, mentre al contempo era alla ricerca di "medici" presenti nella banca centrale e nel governo del paese che volessero somministrare la sua tossica medicina a base di austerità per risolvere la crisi economica.
Il racconto di Åslund descrive l’austerità come una storia di successo, che potrebbe essere un modello da seguire anche dal resto dell’Europa e dagli Stati Uniti. Ha poi introdotto nel lessico economico il termine "svalutazione interna". Questa politica è stata presentata nell’eurozona per poter tenere in vita l’euro e, per quelli che la avrebbe seguita, come un sistema per evitare il deprezzamento delle proprie divise per una futura inclusione nella zona euro. I suoi sostenitori consigliano di spingere verso il basso gli stipendi e i sussidi, e quindi di ridurre la spesa pubblica. Questo programma mantiene il debito pubblico e privato al loro posto, di modo che i banchieri non debbano soffrire degli "haircuts" (ndt: indica il calo dei rendimenti di un investimento), un altro neologismo coniato dalla lobby bancaria.
In breve, i banchieri verranno pagati e il pubblico dovrà pagare il conto. Sembrerebbe una soluzione agevole del problema da parte della finanza, far pagare ai contribuenti il debito pubblico che schiaccia l’economia grazie alla riduzione dei consumi. Sfortunatamente, anche se è utile agli interessi del settore bancario, ciò uccide l’economia reale, riducendo la domanda e riportando i lettoni a una forma di servitù debitoria, una condizione da cui i lettoni credevano di essere sfuggiti all’inizio del XIX secolo.
Da notare che Åslund sta addirittura facendo il giro di campo in quanto architetto di questo piano terribile. Il suo "successo" ha assunto la forma di un nuovo libro, “How Lettonia Came Through the Political Crisis”, pubblicato dall’Istituto Petersen, anch’esso ben finanziato da banche e industrie, e realizzato con il contributo del Primo Ministro dell’austerità lettone, Valdis Dombrovskis. Åslund ha dichiarato che il lungo inverno della crisi economica che vede i paesi PIIGS in prima linea può provocare la fine delle economie che sono in sofferenza. I paesi BELL (Bulgaria, Estonia, Lituania e Lettonia), secondo Åslund e Dombrovskis, sono entrati in una nuova stagione di speranza, indicando alle inguaiate economie europee il modo con cui si può uscire dalla crisi economica.
Per questo, il libro è diventato un manuale di riferimento per tutta la genia di economisti neoliberisti che cercano di dimostrare che l’austerità funziona. Per Åslund e Samuelson e anche per altri settari neoliberisti, le nazioni dovrebbero emulare i pagamenti dei debiti bancari operati da lettoni e irlandesi al costo di vedere le loro economia in fase di stallo e la struttura sociale prossima al collasso.
Nel frattempo altri, come gli elettori islandesi, hanno rifiutato il neoliberismo e hanno compreso che la partecipazione all’eurozona ha perso il suo splendore, proprio mentre i greci stanno organizzando una serie di scioperi generali per sollecitare l’uscita dall’euro, se il prezzo che devono pagare è la servitù debitoria, l’austerità e le svendite per le privatizzazioni forzate solo per rimborsare i banchieri stranieri che hanno concesso prestiti in modo azzardato.
E allora interroghiamoci in cosa consista il "successo" della Lettonia? Intanto, le banche verranno pagate. Non c’è stato alcun debito che sia stato depennato. E questo dovrebbe già fornire una risposta alla domanda precedente, quella del “cui bono”. I lettoni stanno pagando i loro debiti privati principalmente alla Svezia, la patria di Aslund, facendo in modo che gli svedesi non debbano affrontare una crisi economica. Il danno, in ogni caso, si può notare nella contrazione del 25% del PIL lettone e dai salari del settore pubblico che sono calati del 30%, con la disoccupazione causata dai tagli alla spesa che spinge verso il basso anche i salari del settore privato. Nel frattempo, il popolo lettone dovrà sopportare il costo di questo programma con il rimborso del debito, superiore ai 4,4 miliardi di euro, che è stato erogato dall’UE e dal FMI per tenere in vita il governo durante la crisi.
I difensori della soluzione lettone, comunque, ipotizzano che la contrazione economica è terminata e che è tornata una modesta crescita, con la disoccupazione che è adesso sotto il 15%. Ma l’emigrazione è stata un fattore fondamentale per il calo della disoccupazione, mentre gli investimenti nei settori produttivi e i risparmi sono troppo scarsi per poter far restituire al paese una forte crescita. Diversamente dall’Argentina, che ha rifiutato l’austerità, e che ha visto la propria economia crescere al tasso del 6% annuo per sei dei esercizi che hanno seguito la crisi, la Lettonia non dimostra di avere questi numeri.
In secondo luogo, Åslund dichiara che i lettoni si sono schierati a favore dell’austerità e che rieleggeranno i governi che l’hanno promossa, come evidenziato dalla vittoria del partito dei tagli alla spesa, il Vienotiba, nelle elezioni di ottobre del 2010. Chiunque abbia una minima familiarità con la politica lettone ha notato altre cose. Le elezioni in Lettonia del 2010 sono state sommerse dallo sciovinismo e dal nazionalismo, tutto qui. Questa tornata elettorale aveva avuto un inizio promettente: il partito, a volte di centrosinistra, del Centro dell’Armonia aveva anticipato un programma keynesiano per ricostruire l’economia e per riunire le etnie dei lettoni e dei russi. Alla fine, la manipolazione sulle paure di un collegamento con il Cremlino, ben architettata dal partito dell’austerità, ha portato a un’elezione che si è frammentata lungo le linee etniche. Ma dallo scorso anno il parlamento largamente composto da parlamentari a favore dei tagli alla spesa ha visto un calo dei favori del pubblico di circa il 5-15%. Non proprio una forte approvazione.
In breve, il popolo lettone e le prospettive a lungo termine sono state messe in pericolo da queste politiche di austerità. Per questo, affermare che la cittadinanza lettone ha sostenuto queste politiche è una sciocchezza.
Quindi, la Lettonia è sulla via del recupero? Solo il tempo potrà dirlo, ma i primi segnali non sono incoraggianti. Demograficamente, la mera sopravvivenza del paese è in dubbio. Secondo i fautori della svalutazione interna, il paese potrà migliorare la propria ricchezza grazie alle esportazioni. E ancora, come ha dimostrato l’economista Edward Hugh, solo il 10% dell’economia lettone viene dalla produzione, diversamente dal 40% di un’economia industrializzata come quella tedesca. Il sottosviluppo strutturale, incoraggiato sin dall’inizio dalle politiche di Åslund (politica industriale assente, basse aliquote di imposta, l’affidamento agli investimenti stranieri), ha ora privato la Lettonia di una base economica da cui poter far avviare una ripresa.
Le buone notizie vengono dal fatto che i lettoni stanno di nuovo protestando contro il governo degli oligarchi e stanno cercando alternative all’austerità. Se solo riuscissero a ottenere delle politiche economiche corrette e allineate alla volontà popolare, forse potrebbero raggiungere gli stessi obbiettivi di coloro che con coraggio lottarono contro l’occupazione sovietica alla fine degli anni ’80.
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Fonte: The Architects of Economic Collapse: The Case of Latvia
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE