DI
ALDO GIANNULI
aldogiannuli.it
I mercati sono in picchiata, lo spettro di un gigantesco effetto domino si para improvvisamente davanti: default della Grecia- crisi bancaria franco-tedesca- default italiano- fine dell’euro- fine della Ue, grande crisi mondiale. E tutto questo è stato innescato solo dall’annuncio di Papandreu di un referendum sul piano di aiuti ottenuto e sulle conseguenti misure da adottare.
Per capire dove stiamo andando a sbattere, partiamo da una domanda: perchè Papandreu ha fatto questa mossa?
Si potrebbe pensare che ci sia dietro una strategia del tipo: “se salta tutto, noi greci andiamo a terra, ma ci portiamo appresso tutti voi, signori dell’Eurozona, per cui vi conviene concederci gli aiuti a condizioni più ragionevoli, per evitare la catastrofe”. Ma questo non convince: è un argomento che Papandreu avrebbe potuto far valere già da due anni e non lo ha mai fatto, che senso avrebbe farlo ora, dopo aver appena concluso con successo il negoziato per il finanziamento Ue-Bce per una rata di bond?
Rimettere tutto in discussione a questo punto è molto più che una mossa azzardata: somiglia molto da vicino ad un suicidio. Peraltro, se davvero ci fosse qualche calcolo politico di portata internazionale, si immagina che il governo greco ne avrebbe informato il governo ed il partito che lo sostiene, che farebbero quadrato intorno a lui. E, invece, a quanto pare, nemmeno il ministro delle finanze non ne sapeva nulla e il Pasok è stato colto del tutto impreparato al punto che diversi suoi deputati chiedono le dimissioni del governo.
Dunque, non si tratta di questo.
A darci qualche lume per capire la situazione è un libro di Dimitri Deliolanes uscito da poche settimane “Come la Grecia” ed. Fandango-Libri, Roma 2011, la cui lettura consiglio caldamente, per sfatare molti pregiudizi ed apprendere notizie che difficilmente si leggono sui nostri quotidiani. Fra le altre, Deliolanes fornisce molte notizie sulle caratteristiche personali del ceto politico greco e del suo principale esponente, Papandreu, greco della diaspora, vissuto per quasi tutta la sua vita negli Usa, uso frequentare i migliori salotti della politica e della finanza mondiale, con legami assai deboli con il suo paese di origine di cui ha una immagine molto fantasiosa. Tornato in patria come l’erede di una leggendaria dinastia di governanti (il nonno Yiorgos fu leader dell’Unione di Centro e capo del governo nel 1944 e poi negli anni sessanta, il padre Andreas fu il capo dell’opposizione al regime dei colonnelli, fondatore del Pasok e capo del governo negli anni ottanta), era naturalmente destinato a prendere le redini del partito e candidarsi a Presidente del Consiglio, nonostante la debole conoscenza del suo paese. Per di più, egli non ha minimamente le capacità politiche degli illustri ascendenti ed ha decise inclinazioni personalistiche, più incline a formarsi una corte personale che un vero e proprio gruppo dirigente di partito e di governo. Corte nella quale è ascoltato consigliere Pavlos Yierousulanos, un vecchio amico, anche lui reduce di università americane ed inglesi, del tutto estraneo alla patria d’origine ma comunque nominato ministro del Turismo (che, in Grecia, vuol dire qualcosa). L’attuale Papandreu ha ripetutamente dimostrato di considerare il Pasok come una mera appendice personale, mentre ritiene che il merito della vittoria elettorale risieda soprattutto nel suo nome altisonante e non tiene in gran conto le critiche alle sue scelte di governo.
Vi ricorda nessuno questo ritrattino?
La situazione è precipitata negli ultimi giorni di ottobre: sbandierato come un clamoroso successo la tranche di finanziamenti ottenuti dall’Europa, non si aspettava le dimostrazioni popolari ostili del 28 ottobre, data nella quale i greci (che hanno un forte senso nazionale) ricordano la vittoria sull’aggressione dell’Italia del 1940, con manifestazioni sempre molto partecipate. In questa occasione le usuali critiche a Papandreu di essere un amerikano (con il k) che ha venduto il paese agli stranieri, sono state ancora più violente. Di qui la reazione del premier che, in perfetta solitudine e senza degnarsi di consultare neppure il suo ministro delle Finanze, ha convocato un referendum, forse pensando di essere De Gaulle.
Il calcolo politico, piccolo piccolo, per la verità, sembra essere questo: fare un referendum sul piano di aiuti che si trasformi in un referendum su “Euro o Dracma”, vincerlo e piegare le resistenze ai piani di risanamento imposti dalla Ue. Peccato che i sondaggi diano il no al piano al 60% e che questo abbia immediatamente scatenato il terremoto finanziario che ha travolto le borse europee.
Che succederà ora? La cosa più probabile è che il referendum non si farà, che il governo Papandreu cada e che si vada ad elezioni anticipate, magari passando per un governo di unità nazionale; dopo di che il probabile vincitore sarebbe Venizelos che farà esattamente le stesse cose ordinate dalla Ue con un pizzico di sadismo in più.
Nel frattempo, la notizia della caduta del governo Papandreu calmerà i mercati, si ritroverà una qualche stabilità e forse, addirittura, ci sarà qualche momento di euforia, ma i problemi resteranno tutti e si tratterà solo di una piccola tregua. E’, più o meno, quello che ha fatto Zapatero (ma lì i socialisti hanno più probabilità di vincere) ed è la stessa cosa che borse e governi europei auspicano che accada in Italia.
Intendiamoci: in tutto questo sfacelo le bestialità dei governanti hanno un peso e l’Italia in particolare paga in più la “tassa Berlusconi” dovuta all’impresentabilità del suo Primo Ministro. E’ auspicabilissimo che il Cavaliere finalmente si tolga dai piedi, il che guadagnerebbe qualche indulgenza della Ue al nostro sfortunato paese, ma le cose sono molto più complicate e non si risolvono solo togliendo di mezzo i governanti-macchietta del continente (peraltro, quanto a macchiette, non è che Sarkozy e la Merkel siano poi tanto meglio).
Il punto è un altro: la speculazione internazionale sta puntando le sue carte sul fallimento dell’Europa e della sua moneta. Noi non amiamo rifugiarci dietro questi comodi nomi generici (“speculazione internazionale”, “poteri forti”, ecc.) e preferiamo puntare il dito verso obbiettivi più precisi, dunque diciamo che i protagonisti principali dell’operazione sono le maggiori banche d’affari americane, Goldman Sachs in testa, con l’appoggio degli hedge fund e private equity collegati, con la benevolenza del governo americano e la complicità delle agenzie di rating. Poi ci si aggiungono molti altri soggetti finanziari che sperano di banchettare anche loro sul cadavere dell’euro (gli squali seguono sempre la scia delle navi, nella speranza di avventarsi sui rifiuti buttati in mare), ma la testa dell’operazione sta lì a Wall Street.
L’affondamento dell’Euro (e dei titoli di debito pubblico così denominati) avrebbe diversi vantaggi per gli “amici” di Oltreatlantico.
In primo luogo si tratterebbe della classica ricetta dei tempi di crisi: trovare il capro espiatorio cui rifilare il conto di tutti. E l’Euro è l’anello debole della catena, naturalmente destinato a spezzarsi: è debole perchè è una moneta senza Stato, incapace di assumere tempestivamente decisioni efficaci, è debole perchè è una moneta senza politica, è debole perchè mette insieme alla rinfusa economie diversissime fra loro che emettono titoli di debito sconsideratamente e senza raccordo fra loro, è debole, soprattutto, perchè ha dietro di sè un ceto politico dove il migliore è quello mediocre e tutti gli altri sono delle bestie.
In queste condizioni, e dato il vento che spira, puntare allo scasso dell’Euro e titoli collegati è il gioco più ovvio che si possa immaginare ed i ribassisti di tutto il mondo staranno già da mesi puntando alla grande sulle vendite allo scoperto. Fra l’altro, questo avrebbe anche il vantaggio di accumulare liquidità, in vista della tempesta della scadenza dei titoli da alto rischio prevista per il prossimo anno.
Ma la fine dell’Euro avrebbe anche molte altre conseguenze gradite a Wall Street e dalle parti del Potomac: il ritorno alle monete nazionali (o lo sdoppiamento dell’Euro fra forte e debole) avrebbe come conseguenza l’emergere di monete forti nell’area dell’Europa centro settentrionale (soprattutto se la Germania tornasse al marco) determinando la caduta delle esportazioni europee nel Mondo facilitando quelle americane. Inoltre, il fallimento dell’Euro avrebbe l’effetto di consolidare il dollaro che, nonostante tutto, potrebbe presentarsi come l’ancoraggio monetario più stabile. Magari non funzionerebbe per molto, ma un po’ di respiro al biglietto verde lo darebbe.
Poi ci sarebbero conseguenze più propriamente politiche: il naufragio dell’Euro porterebbe con sé quello della Ue. Scomparirebbe così una ambigua area di mezzo fra l’Impero di sempre e quelli emergenti o riemergenti, ci sarebbe la fine dell’asse franco tedesco e, di riflesso, la saldatura dell’ asse Parigi-Londra, tradizionale alleato di Washington. Il prezzo potrebbe essere quello di spingere la Germania fra le braccia di Mosca (in fondo è anche in questo caso la ripresa di un asse storico, la linea di Tauroggen) ma a questo si penserà dopo.
Tutto questo ha una logica, quello che invece manca è la logica dei governanti europei che sono un’accozzaglia di Don Abbondio allo sbaraglio.
Aldo Giannuli
Fonte: www.aldogiannuli.it
Link: http://www.aldogiannuli.it/2011/11/la-crisi-degenera-che-sta-succedendo/#more-1779