DI
HANNES HOFBAUER
Strategic Culture
La riunione di Bruxelles del dicembre 2011 intendeva risolvere un gigantesco problema fiscale e di bilancio nell’eurozona (in realtà economico). Ha portato a una scissione politica all’interno dell’Europa a 27 e rischia di scatenare un disastro costituzionale.
Cosa è successo a Bruxelles? Superficialmente, la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha convinto quasi tutti i suoi partner dell’Unione Europea a concludere una politica monetaristica sotto forma di un patto fiscale restrittivo come scudo protettivo contro il capitale speculativo. È quindi riuscita a rigettare i piani francesi che chiedevano una condivisione del rischio tramite l’emissione di Eurobond invece delle obbligazioni emesse da ciascuno stato. La politica della Merkel era ed è guidata dal capitale tedesco orientato alle forti esportazioni. L’industria tedesca dell’export è minacciata dalla pressione del capitale speculativo in diverse nazioni dell’UE, portando all’aumento dei tassi di interesse per i titoli di Stato e di conseguenza a un maggiore indebitamento che indebolisce ancor di più la domanda degli stati membri dell’Unione meridionali e orientali. Non era possibile rompere questo circolo vizioso a Bruxelles, se mai questa sia stata l’intenzione.
I modi per implementare una tale politica fiscale restrittiva sono ben noti da venti anni, quando nel dicembre del 1991 gli allora membri della Comunità Europea si incontrarono a Maastricht nei Paesi Bassi per formulare i cosiddetti criteri di convergenza. Riguardano i limiti di deficit di bilancio dei governi, che non devono eccedere il 3% e il debito pubblico, che non deve non eccedere il 60% del PIL. La riunione di Bruxelles del dicembre 2011 ha reiterato il regime fiscale di Maastricht e ha cercato di renderlo più stringente. La Merkel e Sarkozy si sono accordati per legare il tetto del debito e il deficit pubblico. Ogni stato membro dell’UE subirà automaticamente sanzioni nel caso in cui venissero superate le linee guida monetaristiche. A proposito: al momento solo 4 (dei 16) paesi dell’Euro soddisfano questi criteri. Per imporre il nuovo regime di penalità automatiche, dovrà essere introdotto un coefficiente di controllo. Ciò potrà essere fatto da una Corte Europea di Giustizia potenziata o come uno strumento diretto dato alla Commissione Europea. Il Vice Presidente della Commissione Olli Rehn ha asserito che un tale rafforzamento avrebbe bisogno di una modifica contrattuale. Modificare il Trattato di Lisbona potrebbe essere un progetto rischioso, perché alcuni stati potrebbero essere costretti dalle loro costituzioni a tenere un referendum. Ed è ben noto che i popoli sono sempre più critici verso l’Unione Europea, che viene considerata un ente di amministrazione del capitale bancario.
Valutando i possibili esiti di ciò che è stato deciso a Bruxelles, possiamo presagire un certo numero di problemi che attanagliano l’Europa. Cerchiamo di analizzarli nei termini economici, (geo)politici e democratici.
Economicamente, il rinnovo di Maastricht e l’intensificazione delle conseguenze in caso di inadempimenti dei criteri comportano nuove politiche di austerità che dominano l’intera struttura dell’Unione Europea. La politica monetaria gioca quindi un ruolo chiave. Gli interventi keynesiani per stimolare la domanda sui mercati regionali, nazionale o sovranazionali non hanno mai funzionato al livello dell’Unione Europea, ma talvolta sono stati introdotti a livello nazionale. Con un nuovo regime fiscale restrittivo, simili interventi politici, sotto forma di investimenti e di acquisti da parte degli stati, difficilmente saranno ancora possibili. E senza uno stimolo economico, le economie deboli non saranno in grado di riprendersi. L’iniziativa dei governi sarà ristretta alla politica fiscale, che è controproducente per risolvere la crisi economica.
Anche il settore bancario non è soddisfatto. La agenzie di rating con sede negli USA – come Standard & Poor’s e Moody’s – non hanno apprezzato i risultati della riunione di Bruxelles, minacciando entrambe di abbassare, nel frattempo, i rating creditizi di quindici paesi dell’Euro e di numerose banche e compagnie di assicurazione. Anche se tutti gli economisti lo sanno perfettamente, le agenzie di rating non creano mai le condizioni per gli investimenti, ma riescono solo a intensificare gli stimoli alla crescita (prima del 2008) o al declino (dopo il 2008), e i governi nell’eurozona non sono capaci o desiderosi di liberarsi della loro influenza. Nessun punto di vista politico si sta opponendo alle forze dei mercati. Fino a questo momento c’è stato un solo esempio di intervento politico al cosiddetto libero mercato, quando il governo ungherese ha di recente fissato per legge un nuovo tasso di cambio per evitare l’insolvenza di milioni di debitori privati che hanno preso in prestito somme denominate in Franchi svizzeri negli ultimi quindici anni. Tutti gli altri governi sono ancora in stato di shock di fronte alle forze di mercato; ad esempio l’Italia, dove i titoli di Stato vengono ancora emessi a un tasso di interesse del 7,2 % senza alcun tentativo politico di contrasto.
Il summit di Bruxelles ha anche dimostrato una frattura profonda nei diversi approcci verso il mercato dei capitali. Segnala una linea divisoria geopolitica all’interno dell’Unione Europea. Sembra esserci un conflitto tra le banche che si basano sul business del credito e gli hedge fund. Anche se non può essere fatta una netta distinzione per la natura del capitale che cerca sempre il modo migliore per incrementarsi, si è saputo che l’Europa dell’UE continentale voglia tagliare o controllare maggiormente la speculazione degli hedge fund rispetto al Regno Unito, dove hanno sede i quartier generali dei capitali speculativi, principalmente in zone offshore come le isole del Canale o l’isola di Man. Gli hedge fund con le loro vendite a breve e gli effetti leva fanno un gioco molto rischioso e per questo non sono ammessi in Germania dal 2004. L’ipotesi di tassare ogni transazione finanziaria colpirebbe molto più gli hedge fund rispetto alle banche “normali”, perché operano con molto più capitale e per questo dovrebbe contribuire di più. Il suo “no” alle restrizioni fiscali di David Cameron riflette la posizione britannica all’interno dei mercati occidentali. Perciò rimane saldo di fronte al suo alleato atlantico e si comporta come un cavallo di Troia americano nel contesto europeo. Il suo “No” è anche sostenuto dai Repubblicani negli Stati Uniti e dal loro rifiuto di nuovi possibili salvataggi per i peccatori dei deficit con l’aiuto delle linee di credito del FMI. E il presidente Barack Obama potrebbe seguire questa razionalità transatlantica, perché anche gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno i propri guai fiscali e finanziari.
Si può notare all’orizzonte la comparsa di nuovo problema, dopo che i dirigenti dell’UE si sono incontrati a Bruxelles per decidere le nuove restrizione fiscali per l’eurozona. Potrebbe esserci un problema costituzionale. La nuova piattaforma fiscale costringe tutti gli Stati membri dell’UE a seguire la Germania nell’introduzione dei limiti al debito a livello della Costituzione. Berlino fu la prima a implementare questo limite nel 2009. Oltre agli impatti economici e sociali negativi, questa variante politica abusa della costituzione di uno stato per favorire un certo interesse (politico o economico) o una certa intenzione. Le costituzioni stabiliscono procedure basilari e standard per disciplinare i possibili conflitti in uno specifico stato. Non sono fatte per disciplinare i contenuti dei conflitti. Se racchiudono un contenuto codificando un dato limite al debito, la prossima crisi del debito non causerà solamente un nuovo problema economico e politico, ma anche costituzionale. Non avverrà solo a livelli nazionali, ma anche a quello dell’Unione.
Il patto fiscale di Bruxelles, che pretende di stabilizzare l’economia punendo automaticamente i peccatori fiscali, può essere reso nullo solo se una maggioranza qualificata dei membri dell’eurozona decide di farlo. Ciò differisce dai vecchi criteri di Maastricht, che prevedevano il contrario. Le sanzioni contro i peccatori fiscali erano possibili solo se una maggioranza qualificata votava a favore della loro imposizione. Nel caso in cui i debiti non vengano ripagati e il tetto del debito ecceda i limiti stabiliti, l’Unione Europea potrebbe facilmente affrontare non solo un appesantimento della crisi economica, ma anche un disastro costituzionale. Di fronte a queste possibili turbolenze, la settimana che ha preceduto il summit di Bruxelles è stata piena di dubbi e scetticismo e l’intera procedura è stata messa in discussione a livello parlamentare in Finlandia, Irlanda, Repubblica Ceca, Ungheria e Svezia.
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Fonte: European Union: From economic crisis to constitutional disaster
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE