DI

PATRICK COCKBURN
Counterpunch

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il “rumor” di solito aveva una cattiva reputazione. Nelle opere di Shakespeare, si dava per scontato che i “rumors” fossero in realtà artistiche menzogne e la comparsa di racconti dettagliati, ma falsi, di vittorie e sconfitte. Nessun giornalista potrebbe parlare con credibilità di massacri, torture e detenzioni massicce utilizzando "insistenti dicerie" come unica prova del proprio racconto. Gli editori di qualunque giornale, catena di televisione o emittente radio di un tale giornalista scuoterebbero senz’altro la testa con incredulità per una fonte tanto vaga e dubbiosa, e quasi certamente si rifiuterebbero di pubblicare la notizia.
Ma supponiamo che il nostro giornalista tolga la parola “rumor” e la sostituisca con fonti come YouTube o qualche blogger. Allora, in base alle esperienze recenti, gli editori tenderebbero a dare il proprio assenso, arrivando a elogiare il proprio dipendente per il giudizioso utilizzo di Internet. La BBC e altre catene televisive ci offrono felicemente ogni notte le immagini del caos in Siria, scaricando apertamente la responsabilità sulla loro autenticità. Queste avvertenze si susseguono così di sovente che attualmente hanno lo stesso impatto degli avvisi rivolti agli utenti di un’informazione che potrebbe contenere immagini pornografiche. Il pubblico ritiene, logicamente, che, se la BBC e altre emittenti non fossero convinte della veridicità delle immagini offerte su YouTube, non li utilizzerebbero come fonte principale di informazione sulla Siria.

Le immagini di YouTube potrebbe aver avuto un ruolo determinante nelle rivolte della "primavera araba", ma la stampa internazionale non si pronuncia, in gran parte, sulla facilità di manipolazione di queste immagini. Fotografata da un angolo particolare, una piccola manifestazione potrebbe sembrare un assembramento di decine di migliaia di persone. Alcuni spari in una strada potrebbe venire utilizzati per la fabbricare l’esistenza di sparatorie in una dozzina di città. Le manifestazioni non dovrebbero essere eventi captati, in modo fortunoso, dalle telecamere dei cellulari da cittadini interessati: di frequente l’unica ragione della protesta è quella di fornire materiale per YouTube. Le catene televisive non rifiutano queste fonti, o non sottolineano che la messa in scena delle stesse è gratuita, drammatica e presa sul momento, e che non sarebbero in grado di produrle con i propri corrispondenti e le proprie squadre di ripresa anche se spendessero un mucchio di soldi.

Nella stampa scritta, i blogger hanno anche loro vita facile, anche quando non esiste sia prova alcuna che sappiano quello che sta davvero accadendo. Da qui viene la semplicità con cui uno studente statunitense, residente in Scozia, fu capace di farsi passare per una giovane lesbica perseguitata a Damasco [1]. Dalla guerra dell’Iraq, persino i blogger più dichiaratamente parziali sono stati presentati come fonti di informazione obiettiva. Per quanto la loro immagine possa essere già intaccata, ancora mantengono un certo prestigio e una credibilità.

I governi che impediscono l’accesso ai giornalisti stranieri in tempo di crisi, come in Iran e, nell’ultima settimana, in Siria creano un vuoto informativo facilmente colmato dai loro nemici. Essi sono molto meglio equipaggiati per offrire la propria versione dei fatti di quanto avveniva prima della diffusione della telefonia mobile, della televisione satellitare e di Internet. I monopoli statali dell’informazione sono oramai insostenibili. Ma se le opposizioni ai governi in Siria e in Iran si sono impadroniti dell’agenda informativa non significa che quello che riportano corrisponda alla verità.

Agli inizi dello scorso anno mi incontrai a Teheran con alcuni corrispondenti iraniani di pubblicazioni occidentali, le cui credenziali di stampa erano state sospese temporaneamente dalle autorità. Gli dissi che la situazione doveva essere per loro frustrante, ma mi risposero che, se anche avessero potuto presentare le loro notizie – informando che non stata succedendo granché -, i loro editori non li avrebbero creduti. Questi erano stati convinti dai gruppi di esiliati, grazie ai blog e alle immagini di YouTube accuratamente selezionate, che Teheran ribolliva visibilmente di scontento. E se i corrispondenti locali avessero informato che si trattava di un’esagerazione, i loro datori di lavoro avrebbero sospettato che erano stati intimoriti o corrotti dalla sicurezza iraniana.

Non c’è niente di sbagliato o di sorprendente nel fatto che i movimenti rivoluzionari facciano falsa propaganda. Lo hanno sempre fatto in passato e sarebbe incredibile che non lo facessero oggigiorno. Mio padre, Claud Cockburn, che combatté con la fazione governativa nella guerra civile spagnola, una volta si inventò la cronaca di una ribellione contro i sostenitori del Generale Franco a Tetuan, nel Marocco spagnolo. Anni più tardi, fu sorpreso dal’essere stato duramente criticato per quello che lui riteneva che fosse un chiaro colpo propagandistico, come se la disinformazione non fosse stata un’arma utilizzata da tutti i movimenti politici da Pericle in poi.

Questi sotterfugi sono diventati obsoleti con i progressi della tecnologia dell’informazione negli ultimi venti anni. E questo viene di solito considerato come uno sviluppo totalmente benigno e democratico, che ha ispirato le sollevazioni della "primavera araba". E così è avvenuto, fino a un certo punto. Il pugno di ferro degli stati polizieschi sui mezzi di comunicazione e su altre fonti informative è stato sbaragliato in tutto il Medio Oriente. I governi hanno scoperto che la cruda repressione del passato poteva essere controproducente. Nel 1982, a Hama nel centro della Siria, le forze del presidente Hafez al-Assad uccisero circa 10.000 persone e soffocarono la ribellione sunnita, ma non apparve neppure una foto di un cadavere. Oggigiorno le scene di un simile massacro sarebbero sugli schermi di tutte le televisioni mondiali.

Per questo, gli avanzamenti tecnologici hanno reso più difficile ai governi ’occultare la repressione. Ma questi progressi hanno anche reso più facile il lavoro dei propagandisti. Ovviamente, le persone che dirigono i giornali e le stazioni radiofoniche e televisive non sono stupide. Sono a conoscenza della natura incerta della maggior parte dell’informazione che trasmettono. L’élite politica di Washington e quella europea erano divise, chi a favore e chi contro l’invasione statunitense dell’Iraq, e questo facilitò la dissidenza tra i giornalisti. Ma oggi c’è un consenso opprimente nei mezzi di comunicazione stranieri, secondo cui i ribelli sono nel giusto e i governi sbagliano. Per istituzioni come la BBC, una tendenziosità così smaccata diventa accettabile.

Tristemente Al Jazeera, un media che, dalla sua creazione nel 1996, ha fatto molto per rompere il controllo statale dell’informazione in Medio Oriente, si è trasformata nell’acritico braccio propagandista dei ribelli libici e siriani.

L’opposizione siriana deve dare l’impressione che l’insurrezione sia più vicina al successo di quanto non sia in realtà. Il governo siriano non è riuscito a reprimere i manifestanti, ma questi, a loro volta, sono ben lontani da poterlo abbattere. I dirigenti esiliati auspicano un intervento militare occidentale come avvenuto in Libia, anche se le condizioni sono molto differenti.

Lo scopo della manipolazione della copertura dei media è quello di persuadere l’Occidente e gli alleati arabi che le condizioni in Siria si stanno avvicinando al punto in cui possono ripetere il loro successo in Libia. Ecco la ragione della nebbia disinformativa che bombarda Internet.

**********************************************

Fonte: The Newsfakers

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE