DI
ELENA PUSTOVOJTOVA
geopolitica-rivista.org
Ogni qual volta una nazione europea torna alle sue origini, storia, cultura e tradizioni, si ritrova immediatamente addomesticata da forze “democratiche” esterne, che soffocano le aspirazioni nazionali nel mondo affinché la gente si conformi alle predilezioni della finanza globale. Gli eventi ungheresi d’inizio 2012 forniscono un vivido esempio di questo schema. Il paese, diventato membro delle Nazioni Unite nel 1955, del GATT (precursore dell’odierna WTO) nel 1973, del FMI e della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo nel 1982, del Consiglio d’Europa nel 1991 e della NATO nel 2004, sembra far parte della comunità delle democrazie occidentali, incentrata attorno al FMI e all’EU, sotto tutti i punti di vista; ma al momento viene trattato dall’Occidente come un bimbo cattivo.
Un recente articolo del Financial Times spiega con estrema chiarezza le cause di questo scontro: il Primo Ministro ungherese offrirebbe un promemoria – qualora qualcuno su questo continente ne avesse bisogno – della linea, familiare, che dal caos economico porta all’autoritarismo politico. L’Unione Europea ha portato avanti due grandi progetti dopo la caduta del muro di Berlino: la moneta unica e l’avanzata della democrazia verso est. L’euro è ora in serio pericolo. Orban manda un messaggio forte in merito ai pericoli per la democrazia.
Le invettive dei media contro l’Ungheria, specialmente quelle sfornate dai media statunitensi, illustrano i meccanismi occidentali che portano alla divisione del mondo fra coloro che appartengono al club elitario e quanti non vi appartengono. Evidentemente, il primo ministro ungherese Victor Orban ne è stato escluso a causa della sua “trasformazione da progressista anticomunista a populista xenofobo”; quest’ultima è un’etichetta appiccicata su Orban a mo’ di reprimenda per la sua difesa degli interessi nazionali ungheresi. “Paradossalmente per un politico così viscerale nelle sue ostilità verso la Russia post-sovietica – prosegue il Financial Times – la versione di democrazia di Orban è una che riceverebbe il plauso di Vladimir Putin”.
Questo martellamento mediatico rispecchia la preoccupazione occidentale che la situazione ungherese possa alfine replicare quella greca, dove la spesa pubblica ha fortemente limitato la capacità del settore finanziario d’influire sull’economia nazionale. Nel caso della Grecia, gli investitori scontenti sono fuggiti verso luoghi pronti ad offrire affari più vantaggiosi, e ciò ha costretto il paese a ricorrere sempre più a prestiti del FMI e dell’EU.
A dire il vero, in Ungheria non è il debito pubblico gonfiato ad essere in cima alle proteste del bramoso sciame di attori finanziari globali. Il debito è rimasto al livello del 75% del PIL – certamente una cifra tollerabile per l’Europa – nel secondo quarto del 2011. Nel terzo trimestre è salito all’82%, ma, considerando le modeste proporzioni dell’economia ungherese, la tendenza non appare ancora particolarmente preoccupante. Ciò malgrado, i due tentativi consecutivi del governo ungherese di immettere sul mercato nuovi titoli in Europa sono risultati un fiasco: il fiorino ungherese ha subito un’importante perdita di valore nella prima settimana del 2012 e i titoli di Stato ungheresi sono stati ceduti a condizioni sempre più onerose. Il rendimento delle obbligazioni ungheresi a cinque e dieci anni è balzato a circa il 10,5%: ciò indica che gli investitori internazionali non sono disposti a prestare denaro ad un paese i cui rating sono stati declassati allo stato di rischiosi, e le previsioni di Moody’s e Standard and Poor’s nel novembre 2011 erano pessime. La lezione da imparare dalla situazione di Grecia, Irlanda e Portogallo, che hanno dovuto richiedere l’intervento del FMI, è che anche un rendimento del 7% è sintomo di una imminente insolvenza statale. L’Ungheria, che avrà bisogno di 16 miliardi di euro entro la fine dell’anno per ripagare la parte in scadenza del suo debito pubblico, è candidata ad un destino simile; ma è bene precisare che questo paese, con un’economia considerata relativamente in salute fino a poco tempo fa, sta affrontando una crisi del debito per ragioni politiche piuttosto che fiscali.
Secondo la Neue Zürcher Zeitung, i problemi politici dell’Ungheria sono cominciati quando le forze nazionaliste hanno nettamente vinto le elezioni nella primavera 2010, e la coalizione guidata da Fidesz ha ottenuto i due terzi dei seggi in parlamento. Il risultato non avrebbe infastidito troppo l’Occidente se fosse continuata la svendita indiscriminata del paese di cui beneficiavano gli investitori occidentali; ma già nell’estate 2010 il nuovo primo ministro ungherese Orban optò per un definitivo allontanamento dal FMI, rigettando le esose richieste del Fondo stesso che, se soddisfatte, avrebbero minacciato di far piombare la maggior parte della popolazione ungherese in uno stato di profonda povertà. Contrariamente alle raccomandazioni del FMI, Orban ha imposto tasse addizionali al settore finanziario, nella convinzione che coloro che più degli altri drenano le ricchezze dall’economia ungherese, debbano sostenere i costi per rimetterla in sesto. Significativamente, l’Ungheria si è spinta fino alla revisione del regolamento riguardante lo status della sua banca centrale. Questa mossa ha per un attimo attratto le ira del FMI e dell’EU, che l’hanno interpretata come un tentativo di Orban di porre sotto controllo governativo l’istituzione finanziaria che fino a quel momento aveva usato la sua indipendenza per impegnarsi in speculazioni finanziarie, a dispetto dell’amministrazione ungherese.
I successivi sviluppi in Ungheria hanno continuato ad alimentare i malumori. Dire che la democrazia e il libero mercato servono solo alle potenze occidentali per modellare il mondo a loro piacimento è diventato un luogo comune non più sufficiente ad offendere Washington e Bruxelles. In questi giorni si ha l’impressione che i pesi massimi globali siano stanchi di promuovere la “democrazia” – ed i paesi più deboli di protestare di tanto in tanto – ma la nuova costituzione, entrata in vigore in Ungheria il primo gennaio 2012, non poteva che scatenare una reazione furiosa. “Pervasa di nazionalismo etnico – scrive il Financial Times – puzza di ambizione da partito unico di governo, promette repressione delle libertà personali in Ungheria…”. Non si può che essere curiosi di scoprire cosa possa suscitare tale protesta.
La costituzione, per esempio, stabilisce che Dio e la cristianità – non quindi le banche, l’appartenenza all’EU o i valori democratici – uniscano il popolo ungherese. Si dovrebbe capire che questa è una visione espressa dagli ungheresi in un voto nazionale. Caricando lo Stato della missione di proteggere le vite umane, la costituzione statuisce inequivocabilmente che la vita comincia al momento del concepimento. Certo, si può trovare lodevole l’approccio, ma dalla prospettiva delle femministe europee rappresenta, de facto, una violazione del diritto di uccidere un bambino non ancora nato. Inoltre, la costituzione ungherese definisce chiaramente il matrimonio come un legame eterosessuale. In altre parole, la legge fondamentale ungherese stabilisce che i musulmani o gli indù non trovano posto nel cuore della nazione cristiana europea e nega pari diritti agli omosessuali.
La rumorosa campagna che si sta sollevando nella stampa occidentale, e che viene ripresa dalle ONG ungheresi che prosperano coi finanziamenti stranieri, non merita attenzione; ma Washington e Bruxelles stanno già insistendo sullo stesso messaggio: che le riforme di Orban erodono le libertà civili in Ungheria. Orban e il suo Fidesz, il partito coi due terzi dei seggi in parlamento, sono etichettati come nazionalisti che allontanano la nazione dai valori democratici che essa aveva adottato due decadi fa svegliandosi sull’onda del collasso del regime comunista.
Gli Stati Uniti disapprovano la nuova legge ungherese sulla religione, che garantisce riconoscimento ufficiale ad un totale di 14 confessioni, dichiarando così illecite molte sette, e criticano aspramente l’ostacolo alla diffusione di religioni non tradizionali nel paese. Bruxelles critica duramente il nuovo codice ungherese sulla protezione dei dati personali e la legge sulla persecuzione dei crimini commessi sotto il regime comunista, in particolare durante la repressione della rivolta del 1956. Gli osservatori democratici occidentali sono preoccupati che quest’ultima misura possa servire a fare più pressione sul partito socialista all’opposizione – cui il sostegno popolare è venuto a mancare da tempo, sicché i socialisti disperati sarebbero felici di accettare sovvenzioni occidentali per potere, in cambio, unirsi al gioco anti-Orban. Per far fronte alle critiche contro la piattaforma politica condivisa dalla maggioranza pro-Orban, il dirigente ungherese ha istituito un consiglio finanziario autorizzato a porre il veto sui progetti di bilancio e, di conseguenza, a bloccare iniziative liberali rischiose, o addirittura indire elezioni anticipate. Il governo Orban si è appellato al Presidente della Corte Suprema e al Procuratore capo a cui sono similmente stati dati ampi poteri aggiuntivi. Eötvös, l’istituto fantoccio di G. Soros, ha pubblicato per tutta risposta un documento in cui ammonisce che una crisi di governo colpirebbe l’Ungheria qualora la coalizione al potere venisse esautorata. Senza dubbio, ogni disciplina data al settore finanziario deve suonare come una crisi di governo a tipi come Soros, ma i contribuenti ungheresi danno il benvenuto a queste misure come mezzi per contrastare le speculazioni che montano, a spese del bilancio nazionale.
Attualmente l’UE sta pianificando misure restrittive contro il membro inaspettatamente pervicace. Il Presidente della Commissione Manuel Barroso ha inviato numerose missive ad Orban esprimendo preoccupazioni per le riforme ungheresi, e minaccia un’indagine sulla compatibilità tra le innovazioni legislative del paese e le norme comunitarie. Barroso ammette che in questo senso l’UE ha uno spazio di manovra limitato poiché, come ogni altro paese europeo, l’Ungheria ha il diritto di autodeterminarsi. Si ha quindi l’impressione che se l’UE avesse forze di reazione rapida, come quelle degli Usa, potrebbe scoprire molti più spazi di manovra. Siccome l’UE si concentra sulla dimensione economica del conflitto con l’Ungheria, la sua naturale priorità è convincere il governo Orban a rispettare l’indipendenza della banca centrale ungherese, ossia a lasciare che continui ad essere irresponsabile nei confronti di ogni altra istituzione statale ungherese. La Commissione Europea usa sia l’influenza economica sia quella legale per riguadagnare l’obbedienza dell’Ungheria interrompendo le negoziazioni con il paese sui crediti necessari o guardando alla possibilità di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell’UE.
Come sempre, gli interessi internazionali delle lobby finanziarie sono inizialmente promossi con mezzi civili; ma talvolta queste storia sfociano in campagne militari. Il danaro è di solito la prima risorsa. Le banche hanno sufficienti risorse per indurre migliaia o decine di migliaia di persone a manifestare per le strade. Circa 30.000 persone si sono riunite per la manifestazione antigovernativa del 2 gennaio a Budapest per chiedere a Orban di dimettersi e per sostenere l’indipendenza della banca centrale ungherese. Il leader dell’opposizione Sandor Szekely ha detto a Reuters che la nuova costituzione è stata un pesante colpo ai meccanismi democratici che l’Ungheria stava implementando dal 1989. Le 30.000 persone che marciano al ritmo del FMI basteranno di sicuro…
Elena Pustovojtova
Fonte: www.geopolitica-rivista.org
Link: http://www.geopolitica-rivista.org/16047/lungheria-sotto-il-fuoco-della-finanza-internazionale/