DI

LARRY ELLIOTT

 

The Guardian
Rebelion.com

 

 

 

 

 

C’è una scena nel Signore degli Anelli in cui il mago Gandalf affronta il Balrog, un mostro infernale, su uno stretto ponte nelle Miniere di Moria. La battaglia termina quando Gandalf distrugge il ponte col suo bastone e fa precipitare il Balrog in un abisso senza fondo.

La storia tuttavia ha una svolta inattesa. Mentre cade, il mostro, con un ultima frustata, attorciglia la sua coda nella caviglia di Gandalf, trascinando anche lui nell’abisso. Ci possono essere pareri discordi, nel contesto della crisi del debito dell’eurozona, sul fatto che la Grecia sia Gandalf o il Balrog, ma una cosa è certa: i rischi di distruzione reciproca garantita sono elevati.
Tanto la Grecia quanto i paesi europei dalla linea dura, che esigono garanzie blindate sul fatto che non stanno sprecando una fortuna in un nuovo salvataggio da 130 miliardi di euro, hanno il potenziale per distruggere ciò che, nel migliore dei casi, rappresenta una fragile tregua. I greci potrebbero decidere che ne hanno abbastanza e che il default e l’uscita dall’euro siano preferibili all’austerità senza fine e all’umiliazione dello status coloniale.

I tedeschi, gli austriaci, gli olandesi e i finlandesi potrebbero concludere che la Grecia è una causa persa e che non si può fare affidamento a ciò che asseriscono i politici ad Atene sul loro impegno di riscuotere le tasse, di ridurre le spese e riformare l’economia. Potrebbero decidere, a dispetto di tutte le dichiarazioni ufficiali fatte nella direzione opposta, di espellere la Grecia dalla moneta unica.

Anche se i creditori sembrano avere tutte le carte vincenti, in realtà non è così. I politici greci possono apporre la loro firma su pezzetti di carta nei quali si impegnano a rispettare le condizioni dell’accordo di salvataggio, ma una volta che il denaro è stato consegnato e le elezioni si sono svolte, il nuovo governo potrebbe mandare a spasso gli altri membri della moneta unica. Gli stati sovrani, anche quelli tanto vulnerabili quanto la Grecia, hanno sempre questo potere.

I greci, anzi, hanno il vantaggio di sapere che una crisi finanziaria, accelerata da una disordinata sospensione dei pagamenti, arrecherebbe più danni al resto dell’Europa che a loro stessi. In “Like a Rolling Stone” Bob Dylan canta: “When you’ve got nothing you’ve got nothing to lose” (quando non ti rimane nulla, non hai nulla da perdere), un sentimento condiviso da molti greci.

Dhaval Joshi, di BCA Research fa un’interessante osservazione a tal proposito. Ci sono tradizionalmente due modi per sbarazzarsi dei debiti: li si può limare a poco a poco, attraverso prolungati programmi di austerità. Oppure, in alternativa, è possibile sospendere i pagamenti, liberandosi rapidamente dei debiti ma arrivando a un crollo più brusco del rendimento economico.

Nel caso della Grecia, c’è poca differenza tra le due: soffrirà una profonda recessione a forma di V se sospende i pagamenti, ma in ogni caso ha già una recessione a forma di V. E non c’è un solo politico ad Atene che non creda che spillare altri 3,3 miliardi di euro, a un’economia che si contrae al tasso annuo del 7%, non farà altro che incrementare la depressione.

Buco nero

Chi tiene i cordoni della borsa sta già facendo le proprie analisi costi-benefici. Wolfgang Schäuble, ministro tedesco delle Finanze, ha sintetizzato il suo stato d’animo quando ha parlato di buttare i soldi in un buco nero. Se, come credono i membri dell’eurozona del Nord Europa, la Grecia ancora una volta chiederà un piano di salvataggio nel prossimo futuro, perché correre il rischio di subire le ire dei propri elettori consegnando oggi più di 130 miliardi di euro?

Il presupposto è che la Banca Centrale Europea abbia creato un muro tagliafuoco buttando soldi a buon mercato alle banche commerciali e che non si ripeterà quanto accaduto a seguito del crollo di Lehman Brothers nel 2008.

Questo è supporre troppo. Naturalmente la Banca d’Inghilterra non crede sia possibile mettere la Grecia in quarantena in caso di default. Neanche Barack Obama, che parla della crisi con Angela Merkel almeno una volta a settimana. Nemmeno, con ogni probabilità, la stessa BCE che percepisce la fragilità di molte banche europee, non esclusi alcuni dei nomi più grossi.

Non basta sapere che la banca X vanta una certa quantità di debito greco nei suoi libri, né quanti credit default swaps ha. Come osserva Joshi, “c’è anche un grande mercato attivo di derivati di CDS e persino di derivati dei derivati. E siccome questi strumenti più complessi ed esoterici sono contratti non ufficiali, senza compensazione e senza conciliazione, semplicemente non è possibile sapere chi si espone, con quali rischi, lordi o netti, dove sono collocati e che reazioni a catena potrebbero scatenare.”

Quali conclusioni possiamo trarre da tutto ciò? In primo luogo che il rilassato approccio dei mercati finanziari nei confronti della Grecia sembra fin troppo compiacente. L’irrigidimento della retorica della scorsa settimana è forse più di una semplice dimostrazione di forza; la scorsa settimana si parlava del fatto che il vertice di lunedì avrebbe fornito alla Grecia solo un ponte, sotto forma di prestito, per farle superare la crisi nelle prossime settimane. Questa crisi si avvicina alla fine e la probabilità di eventi fuori dal controllo è più alta di quanto pensino i rialzisti del mercato.

In secondo luogo, gli insulti che ambo le parti si scambiano difficilmente riusciranno a promuovere la fiducia nel fatto che l’eurozona possa uscire fuori tutta intera da questa crisi. Ciò a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane è una crescente alienazione degli elettori in tutta Europa nei confronti di un’idea di una più stretta unione fiscale, anche se una più forte collaborazione fiscale è l’unico modo di nutrire la speranza che si possa porre rimedio alle falle fondamentali dell’unione monetaria. Per i greci, unione fiscale significa essere maltrattati dai tedeschi, per i tedeschi, significa firmare assegni in bianco ai greci. Questo stato delle cose non è sano.

Disintegrazione

Infine, la palese mancanza di tutto ciò che solo lontanamente potrebbe essere descritto come solidarietà europea mostra l’impossibilità del “progetto” e offre uno scorcio della sua definitiva disintegrazione. In parole povere, l’unione monetaria creò un tasso di interesse comune in un momento in cui i livelli di inflazione differivano notevolmente. Alcuni paesi, soprattutto quelli del nord Europa, avevano tassi di inflazione inferiori rispetto ai tassi di interesse, per cui tendevano a crescere più lentamente e ad avere livelli più elevati di risparmio. Altri paesi, in particolare quelli della periferia meridionale, avevano tassi negativi di interessi reali perché i costi dei prestiti erano al di sotto del tasso di inflazione. Crescevano rapidamente e disponevano dell’incentivo a chiedere prestiti ai risparmiatori dell’Europa del Nord.

Tutto ciò può finire solo in due modi. I paesi più deboli abbandoneranno la moneta unica e gestiranno politiche monetarie indipendenti adatte alla loro situazione. Oppure, se così non fosse, si dovranno adeguare a fare ciò che dicono la Germania e gli altri paesi del Nord Europa in cambio di consistenti trasferimenti fiscali. Per come stanno le cose, il primo sembra molto più probabile.

Chi ha letto Tolkien ricorderà che Gandalf sconfigge finalmente il Balrog ma perisce nella lotta; si reincarna in seguito adottando una nuova forma. Questo potrebbe essere lo stesso destino che attende l’euro.

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Fonte: Grecia puede liquidar sus demonios financieros, pero ¿se librará el euro?

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARY COSTA