Di
Enzo Trentin
Non c’è praticamente nessun paese occidentale in cui non ci sia una maggioranza del popolo (di solito larga) che non voglia la democrazia diretta. Nel 1995 il sondaggio ‘stato della Nazione’ mostrò che il 77% dei cittadini britannici credeva che dovesse essere introdotto un sistema «…in cui certe decisioni vengono rimesse al popolo per decidere con referendum popolare» (Prospect Magazine, ottobre 1998). Secondo un sondaggio pubblicato dal Sun (15 marzo 2003) l’84% dei britannici voleva un referendum sulla Costituzione europea. Contemporaneamente apparve un sondaggio sul Daily Telegraph secondo cui l’83% dei cittadini britannici voleva risolvere questioni di sovranità per mezzo di referendum nazionali; solo il 13% riteneva che questo fosse competenza del governo. Il Guardian (29 febbraio 2000) pubblicò un sondaggio secondo il quale il 69% dei Britannici voleva un referendum sul nuovo sistema elettorale proposto dal Primo Ministro Blair. Ciò dimostra chiaramente che il popolo britannico vuole l’ultima parola in merito all’organizzazione del loro sistema politico.
In Germania più di 4 cittadini su 5 desiderano che l’iniziativa di referendum popolare venga introdotta a livello nazionale. Da un sondaggio Emnid nel 2005 apparve chiaro che l’85% dei tedeschi ne erano convinti (Readers Digest, 10 agosto 2005), e dati simili sono pervenuti da decine di altri sondaggi. Nel 2004 Emnid chiese anche ai tedeschi se volevano un referendum sulla Costituzione europea; il 79% rispose in senso affermativo. Precedenti sondaggi mostrarono che la preferenza tedesca per la democrazia diretta è trasversale a tutti i partiti: erano sostenitori il 77% degli elettori della SPD, il 68% degli elettori CDU, il 75% degli elettori FDP, il 69% degli elettori dei Verdi, il 75% degli elettori PDS. (Zeitschrift für Direkte Demokratie 51 [periodico per la democrazia diretta no. 51], 2001, p. 7).
Secondo un sondaggio SOFRES l’82% dei francesi sono a favore dell’iniziativa referendaria popolare; il 15% sono contrari (Lire la politique, il 12 marzo 2003).
Secondo un sondaggio SCP del 2002, nei Paesi Bassi l’81% degli elettori sostiene l’introduzione del referendum. Nel 1997 un’indagine della SCP mostrava che c’era una larga maggioranza a favore della democrazia diretta in tutti e quattro i più grandi partiti politici: il 70% degli elettori del CDA (Cristiano Democratici), l’86% degli elettori del PvdA (Laburisti), l’83% del VVD (Liberali di destra), l’86% degli elettori del D66 (Democratici liberali di sinistra) (Kaufmann & Waters, 2004, p.131). Secondo un sondaggio NIPO nell’aprile 1998 il 73% degli elettori voleva un referendum sull’introduzione dell’Euro ed un sondaggio del settembre 2003 mostrava che l’80% voleva un referendum sulla Costituzione europea (che venne effettivamente tenuto nel 2005. [Nijeboer, 2005]). Oltretutto il popolo olandese si aspetta molto dalla democrazia. Il Nationaal Vrijheidsonderzoek (indagine sulla libertà nazionale) del 2004 mostra che la «promozione della democrazia» è stata scelta dalla maggior parte dei cittadini (il 68%) come una risposta alla domanda: «Che cosa, secondo voi, è particolarmente necessario per la pace nel mondo?»
Gallup ha intervistato gli Europei, a metà del 2003, circa l’opportunità di un referendum sulla Costituzione europea. L’83% di essi consideravano un tale referendum come ‘indispensabile’ o ‘utile ma non indispensabile’, ma solo il 12% pensava a un referendum ‘inutile’. La percentuale a favore era ancora più elevata tra i giovani e le persone con istruzione di livello superiore (Witte Werf, autunno 2003, p. 15). Anche la maggior parte della gente negli USA vuole la democrazia diretta. Tra il 1999 e il 2000 venne effettuato il più ampio sondaggio sulla democrazia diretta che sia mai stato fatto. In tutti i 50 Stati membri si è constatato che ci sono come minimo il 30% in più di sostenitori rispetto ai contrari; la media per tutti gli Stati Uniti è stata di 67,8% pro e 13,2% contro la democrazia diretta. Era sorprendente come più referendum si erano tenuti in uno Stato nei 4 anni precedenti al sondaggio, più alto era il numero dei sostenitori della democrazia diretta. Negli Stati con pochi o nessun referendum i sostenitori erano in media il 61%; negli Stati con un numero medio di referendum i sostenitori erano il 68% e gli Stati con più di 15 referendum avevano una media del 72% a sostegno. «Le indagini del 1999-2000 hanno definitivamente dimostrato che l’esperienza di voto su iniziative popolari e referendum aumenta effettivamente il sostegno al processo», commenta Waters [M.D. Waters: «Initiative and referendum almanac», p. 477, Durham: Carolina Academic Press, 2003]. Ci fu anche un sondaggio circa l’opportunità di una iniziativa di referendum popolare a livello federale (gli Stati Uniti sono paradossalmente uno dei pochi paesi al mondo che non hanno mai tenuto referendum nazionali, anche se la democrazia diretta è molto diffusa a livello statale e locale). In questo sondaggio, i sostenitori erano il 57,7% e gli oppositori il 20,9%.
Nel nostro paese si fanno moltissimi sondaggi, ma su questo argomento sembra non ci siano dati o comunque non sono pubblicati a quanto ne sappiamo. In compenso Noam Chomsky, filosofo e teorico della comunicazione statunitense. Professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, riconosciuto come il fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, spesso indicata come il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo, ha codificato le 10 regole della manipolazione mediatica. Basterà qualche semplice riflessione, ed il lettore si renderà conto di quanto il potere politico le applichi anche nel nostro paese:
1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali.”
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. È più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno.
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori”.
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.
E… i giornalisti sono i cani da guardia del potere? Era il 1789 e Benjamin Franklin non ebbe alcun dubbio: «La libertà della stampa – disse l’ometto divenuto immortale grazie all’ombrello parafulmine – deve essere assoluta. I giornali devono essere lasciati liberi di esercitare la propria funzione investigativa e di controllo con forza, vigore e senza impedimenti». Sarebbe stato contento, Franklin, se avesse potuto leggere la sentenza della Corte Suprema degli USA che nel 2001 sentenziò che anche la pubblicazione di intercettazioni telefoniche “illegalmente ottenute” da un giornale (caso Bartnicki v. Vopper) è protetta dal diritto alla libera informazione e il giornalista che la diffonde non è perseguibile. Duecentovent’anni e migliaia di politicanti, presidenti, bugiardi, finanzieri, grandi ladri, magistrati corrotti, governatori, boss e ipocriti assortiti distrutti più dalla penna che dalla spada o dalle sentenze di un giudice, il risultato di questa magnifica ossessione per la libertà di stampa resta scolpita anche nell’art. 21 della nostra Costituzione. Un principio che si può capire ancora meglio nella citazione opposta di un contemporaneo di Franklin sull’altra sponda dell’Atlantico, Napoleone Bonaparte. «Temo i giornali più di centomila baionette».
Ma nel Belpaese è davvero così? Il settore è sconvolto dalle trasformazioni tecnologiche, operative ed organizzative, peraltro sempre più rapide ed innovative. La multimedialità è una realtà sempre più diffusa e penetrante. La classica carta stampata è sempre più in difficoltà, tanto che riesce a reggersi solo grazie alla pubblicità (peraltro fortemente contesa dalla televisione) e agli aiuti di Stato (sui costi dei materiali per la produzione). Questi ultimi estesi anche all’emittenza privata. E chi dipende da tali aiuti può efficacemente svolgere il proprio ruolo di cane da guardia del potere?
Qui di seguito un paio di conferme sulla precarietà del settore: Massimo Mucchetti per il “Corriere della Sera” – 23/2/2012 – scrive: «La recessione morde. Nei supermercati le vendite calano già alla seconda settimana. E a gennaio la spesa pubblicitaria è crollata, si dice, del 15-20%. Di questo passo, né Rai né Mediaset riusciranno a salvare il conto economico del 2012 senza tagliare pesantemente i costi. La Rai prevede di perdere 16 milioni, presupponendo un fatturato pubblicitario invariato sul miliardo di euro. Sarebbe meglio se si attrezzasse per un deficit di un centinaio di milioni. Con un debito in crescita rispetto ai 320 milioni di fine anno, gran brutto segno in un’azienda in teoria ricca di cassa. Mediaset non diffonde budget. Ma se perde il 10% della raccolta su base annua finirà per bruciare i margini. Non a caso Silvio Berlusconi torna a occuparsi del Biscione, un’impresa che nel primo semestre 2011, rileva Mediobanca, ancora aumentava i costi mentre le altre tv commerciali europee avevano già impugnato il bisturi. Non ci sarebbe da stupirsi se presto Mediaset fosse affidata a un manager esterno alla famiglia, più adatto alla bisogna. Ma se tanto può bastare alla tv privata, per la Rai ci vuole ben altro che un direttore generale promosso amministratore delegato.»
Il “Wall Street Italia” – 13/6/2012 – rincara la dose: «Schiacciate da un calo progressivo delle entrate pubblicitarie, ma anche del numero di lettori, le società dell’editoria italiana sono ai minimi degli ultimi 5 anni, con prezzi di borsa da penny stock. La carta stampata non riesce a reggere la concorrenza dell’online: nel 2011 registrato un boom di lettori sul Web, accompagnato da un aumento della pubblicità su Internet. Di contro il numero di lettori dei quotidiani nazionali tradizionali è calato bruscamente, con una riduzione allarmante dei ricavi in termini di introiti dall’esterno.
Non è un segreto che ormai gli inserzionisti preferiscono puntare sulla stampa digitale e l’informazione online. Da uno studio, pubblicato il mese scorso dagli editori della Fieg e intitolato “La Stampa in Italia 2009-2011″, è emerso che la recessione che ha investito il nostro Paese a metà 2011, per poi acuirsi nel corso del 2012, non ha affatto risparmiato il settore dell’editoria giornalistica.
Dal punto di vista dei lettori, il numero è in crescita per i siti web di quotidiani e altri mezzi di informazione. La media giornaliera è infatti passata da 4 a 6 milioni per una crescita del +50% in due anni (dal 2009 al 2011). Le rilevazioni sono confortate anche da quelle dell’Istat che, nel Report su ‘Cittadini e nuove tecnologie’ dello scorso dicembre, ha rilevato che tra le persone di sei anni e più che hanno utilizzato internet nel 2011, il 51% lo ha fatto per leggere o scaricare giornali e riviste. Nel 2010 erano il 44%.» [SULL’ARGOMENTO LEGGI ANCHE: CROLLO DI VENDITE DEI QUOTIDIANI, SOLE 24 ORE "NON SIAMO MORTI"]
Di più: con la LEGGE 7 giugno 2000, n. 150 “Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” (vedasi: http://www.normattiva.it/dispatcher) i politici di ogni ordine e grado sono autorizzati a creare quello che con una battuta vengono definiti gli uffici “degli specchi e del fumo”, perché più dell’informazione privilegiamo la propaganda.
Basta osservare certi telegiornali nei quali Sindaci ed Assessori compaiono quotidianamente per affermare sostanzialmente che hanno fatto questo e quest’altro. Insomma, per dirci quanto sono bravi e perché dobbiamo continuare a votarli. E questo, ben inteso, con il supporto della legge che definisce persino nei minimi particolari le percentuali che gli Enti locali debbono destinare a questo e a quel “media”. Vedasi qui.
Particolare non trascurabile: quasi mai il “media” si preoccupa di segnalare al suo pubblico che quella è un’informazione istituzionale a pagamento, spesso indulgendo con tale omissione a far credere al pubblico che quella sarebbe informazione prodotta dal “media” omissivo. Alexis de Tocqueville nel 1831 partì per gli USA. La motivazione ufficiale è lo studio del sistema penitenziario statunitense (Tocqueville è un magistrato, e vuole trovare rimedi per migliorare il sistema penitenziario francese, in crisi e del tutto inadeguato alle esigenze del paese); tuttavia, nel corso della sua permanenza negli Stati Uniti, non è solo l’organizzazione del sistema penitenziario a colpire l’attenzione di Tocqueville: è in particolare lo straordinario livellamento sociale americano, vale a dire l’assenza di privilegi di nascita e di ceti chiusi, e la possibilità per tutti di partire dallo stesso livello nella competizione sociale. È proprio dall’osservazione di questa realtà americana che prende vita il suo studio che sfocerà nella sua opera più importante, “La democrazia in America”, pubblicata in due parti, nel 1835 e nel 1840 dopo il suo ritorno in Francia.
Alexis de Tocqueville, aristocratico ammirato e turbato da questa mostruosità chiamata democrazia scrive: «La libertà di informazione è la sola difesa reale contro la tirannide della maggioranza.» È stato calcolato che in Parlamento e negli Enti locali i cosiddetti “rappresentanti” sono in media solo il 0,003% della popolazione [Il termine democrazia deriva dal greco δῆμος (démos): popolo e κράτος (cràtos): potere, ed etilologicamente significa governo del popolo.] eppure essi possono prendere tutte le decisioni. Insomma, Alexis de Tocqueville non solo avanzerebbe delle perplessità circa la presunta tirannide della maggioranza (ovvero della democrazia diretta), che nel nostro caso è diventata la tirannide della minoranza, ma scriverebbe ancora parole di fiducia sull’attuale sistema informativo?
Fonte:l’Indipendenza