DI
FULVIO GRIMALDI
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Il modo più sicuro per corrompere un giovane è quello di insegnargli che vanno stimati di più coloro che la pensano allo stesso modo, che quelli che la pensano diversamente.
(Friedrich Nietzsche)
Coloro che chiudono gli occhi sulla realtà non fanno che sollecitare la propria distruzione. Chiunque insista a rimanere in uno stato di innocenza, quando l’innocenza è morta da tempo, si trasforma in mostro.
(James Baldwin, scrittore, saggista, critico sociale)
La parte terribile, fredda, crudele è Wall Street. Fiumi d’oro la collegano con tutta la Terra e la morte li accompagna. Lì, come in nessun altro posto, senti una totale assenza dello spirito: mandrie di uomini che non sanno contare oltre tre, altre mandrie che non ce la fanno oltre sei, disprezzo per la scienza pura e rispetto demoniacale per il presente. La cosa terribile è che le folle che riempiono la via credono che il mondo sarà sempre lo stesso e che è loro dovere far funzionare l’enorme macchina, giorno e notte, per sempre.
(Federico Garcia Lorca)
Muore il mondo La celebre tartaruga gigante delle Galapagos è morta. Era famosa perché ultima della sua specie. Oggi entra nello sterminato necrologio per l’estinzione di quel terzo delle specie che, dopo un paio di secoli dovuti al rispetto per Darwin, abbiamo saputo togliere di mezzo, insieme al loro (indispensabile a noi) habitat. I creazionisti, che collocano un vecchio barbuto iroso in mezzo all’universo di miliardi di galassie, buchi neri, pulsar e Avatar, ne attribuiranno la scomparsa alla saggezza distributrice di questa replica del Vitello d’oro. Barbuto trifronte che, oltre tutto, con i suoi impasti è arrivato in ritardo (22/9/3760 a.C., secondo l’ebraismo rabbinico), quando da centinaia di migliaia di anni sulla Terra scorrazzavano uomini e ominidi discesi da un corto circuito cellulare. Alcuni, come Monti, ne sono l’esito patologico.
Il carapace delle Galapagos verrà esibito nel Royal Albert Museum of Natural Sciences e i bambini faranno oooooh. Leggeri e divertiti, non sapranno che lì c’è una cosa infinitamente più vera e tragica della croce di Gesù Cristo. Nel profondo, si sente il cuore della Terra vibrare di singhiozzi. Sulla superficie la tragedia passa inosservata, sarà registrata nell’archivio di un qualche istituto. Già qualcosa, rispetto a quella dei due milioni e mezzo di iracheni uccisi dal consumo che fanno della vita voraci automi travestiti da uomini. E che nessuno, dato che l’estinzione ha l’inestimabile beneficio di allargargli gli spazi di insediamento, ha mai contato. Il capitalismo, che si tenta globalizzato fin dalla Compagnia delle Indie, non può star fermo. Deve battere i piedi. Mai solo sul posto.
Le statistiche rendono insensibili. Ma se pronunci il nome di un animale, senti vita. Potessimo nominarli, tutti gli animali, incessantemente e risparmiargli la sorte del minore, dell’inferiore, dell’altro, dello spendibile, dell’ignorato! Senza nome, senza anima, senza dignità, cancellando queste tessere che tengono insieme il mosaico della vita, così li vuole la razza degli estintori. Ogni creatura, animale, vegetale, che non sfugga allo sterminio genocida, specicida, sposta in avanti la lancetta dell’orologio. Fino all’ora in cui la natura, per autodifesa, si riprenderà da noi il miracolo concessoci. La vita. Tertium non datur.
L’IRA della regina
Questa mia foto del 30 gennaio 1972 è rimasta per alcuni decenni in gigantografia sulla facciata della prima casa entrando in Derry, Irlanda del Nord. Jack Duddy, 16 anni, proletario del ghetto repubblicano, disoccupato come il 50% della comunità cattolica e irridentista, fu la prima vittima dell’assalto a freddo del Primo Battaglione Parà britannico a un pacifico e inerme corteo di manifestanti per diritti civili negati da due secoli a chi non facesse parte della comunità proconsolare protestante e massonica, importata dal Regno Unito. Un corpo magro, fragile, con il maglione rialzato sulla pelle bianca, gli occhi arrovesciati, una pozza di sangue sotto la testa, padre Daily che gli segna una croce sul viso, intemerati soccorritori che sollevano il corpo appena adolescente, ma che già sa di fame, e lo trasportano da qualche parte, sotto la grandine di fucilate che non viene sospesa. Fucili mitragliatori Sterling, quelli degli eroi di Sua Maestà, che fanno buchi come la medaglia di una decorazione, perfetti per elefanti.
Era la Domenica di Sangue e Derry doveva pagare per essere stata capace, a mani nude, che sono quelle dei sassi e delle molotov, di cacciare dalla comunità vessata, deprivata, umiliata, occupata, la banda degli sgherri della Regina. E per mesi era stata per il mondo della speranza “Free Derry”. In ventimila, donne, bambini, tutti, quel giorno marciavano per difendere Free Derry, faro nella notte del colonialismo, del razzismo, dell’esclusione. Faro che illuminava la via per il riscatto dall’annientamento sociale, ma anche dal crimine storico della lacerazione in due parti di una terra e un popolo che si erano rifiutati di separarsi e di sottomettersi all’invasore perfino quanto questi, a metà ottocento, tentò di estinguerli con la carestia e la fame. Stavolta ci provava con i mitragliatori e, con Bobby Sands e i suoi compagni martiri dell’IRA, usando la fame. Posso giurare che il ragazzo Jack Duddy, primo e il più giovane di tanti civili innocenti che mi siano crollati morti tra i piedi per l’azione diretta dei rappresentanti dello Stato, non aveva solo fame di pane e di un nome da spendere sul lavoro. Non avrei dovuto vivere per mesi, ripetutamente negli anni, in quella comunità, nelle varie comunità degli esclusi e perseguitati nordirlandesi, non ascoltarne i canti di cui nessuno, dai 5 anni in su, ignorava le parole, non averne vista l’eletta arte murale politica sparsa su tutte le pareti e i muri che potessero essere raggiunti da sguardi, non averli visti combattere il nemico conculcatore con il sacro odio acceso da generazioni di conculcati, per non sapere, sapere con assoluta certezza, che quel ragazzino era morto, anche e soprattutto, per l’Irlanda unita e liberata. Già sapeva, nel sangue, che la libertà, o è collettiva, o non è. Non avevo bisogno della conferma del vessillo tricolore che pendeva sull’uscio della stanzetta divisa con tre fratelli, né della foto accanto al grande Martin McGuinness, 18enne comandante della locale Brigata dell’IRA.
Fu Martin a sottrarmi alla caccia data dai militari britannici, più che a me, ai miei materiali audiovisivi che comprovavano la strage, a nascondermi e, nelle ore più buie e nebbiose del mattino, a farmi passare il vicino confine con la repubblica irlandese e arrivare a Dublino dove avrei potuto pubblicare foto, registrazioni, racconto. A immediata smentita dell’apparato di menzogne costruito intorno al crimine da istituzioni e media. Un crimine che era ovvio, ma poi si è potuto provare, non potesse essere stato compiuto, come mistificato in certi film ambivalenti, per l’eccesso trasgressivo di qualche scherano invasato. Un crimine che portava la firma in inchiostro simpatico del primo ministro a Downing Street. Uno che le grandi cose le può fare solo con il consenso del sovrano, assoluto come Enrico VIII, o costituzionale come Elisabetta II. Non tanto per questa icona del fastoso cretinismo kitch della monarchia inglese in particolare, quanto per la Spectre massonico-finanziaria mondialista che questa ottusa figurante da tribuna Ascot rappresenta sulla via della restaurazione.
Giorni fa, McGuinness è stato ricevuto dalla Regina in qualità di vice-primo ministro del “governo” delle Sei Contee rubate, dette dall’invasore Ulster. Più realisticamente, visto quel che conta un governicchio di uno pseudo-Statarello incastonato nella corona e nei programmi di sviluppo dell’economia di rapina britannica, per aver smesso di fare casino con l’IRA e di essere entrato con cravatta e abito blu nella squadra di regime e nell’ordine naturale delle cose.
Vabbé, lui, essendo un istituzionale, è stato ricevuto e ha scambiato rispettosi convenevoli con la sovrana del suo regno. Un regno, peraltro, che sta perdendo pezzi in Scozia e in Galles, ma che sulla colonia nordirlandese può stare tranquillo. Una sovrana che discende e rivendica continuità con quanti, dalla fine del ‘600, hanno sparso e succhiato sangue in quell’isola. Membro di un governo, McGuinness, che, dopo la pace e il disarmo unilaterale, forse ha dato qualche posto di lavoro e allargato le microcasette a sudditi troppo pretenziosi, esigendo in cambio acquiescenza e collusione con chi ha ancora le mani imbrattate del sangue di Derry, Belfast e Armagh. Ma anche governo di coalizione tra l’estrema destra unionista, capeggiata da Peter Robinson, uomo del prete fascista Ian Paisley, capo diretto e partner di McGuinness. McGuinness ha allietato la regina e il governo guerrafondaio e colonialista britannico con una serie di graditi commenti all’incontro. Senza distinguere tra carnefice e vittima che si difende, ha compianto “ogni singola vita persa durante i decenni di violenza in Nord Irlanda”; ha offerto la “mano dell’amicizia” agli ex-nemici unionisti (che, imperterriti e mai disarmati, continuano a provocare e aggredire la comunità repubblicana); ha esaltato “il compromesso, l’accordo e la pace raggiunti dopo decenni di violenza”. A camminare con lo zoppo… è la storia, ormai paradigmatica, di tutti i sinistri che hanno sognato di spartirsi il potere con la destra. Sulla riunificazione, cercata disperatamente da ogni generazione di irlandesi fin dalla battaglia della Boyne, 1690, tra il re cattolico Giacomo e l’usurpatore protestante Guglielmo d’Orange, neanche un fiato. Da allora, dominio della corona britannica, oppressione e ferocia delle bande orangiste importate, tragedia e resistenza senza uguali di un popolo europeo. E la campagna, prima del movimento di massa di Bernadette Devlin, poi, contro la militarizzazione britannica e il terrorismo protestante, la ripresa della mai doma campagna dell’Ira. Una campagna, legittimata, oltre tutto, dalla Carta dell’ONU, costata in quattro decenni quasi 4000 vittime.
“Svendita al 100% x 100%”
Non so cosa diranno di tutto questo l’anziana mamma di Martin, sua sorella Geraldine, i suoi compagni di lotta. Quante volte con loro avevamo inneggiato alle funamboliche operazioni di guerriglia dell’Ira di Martin e Gerry contro un esercito occupante, che non aveva altra risposta che le bombe nei pub. L’aria sapeva di pinte scure e di merluzzo dell’Atlantico ed era colorata dalle note cinguettanti dei Reels, Jigs, Hornpipes e Killy. Balli che, nell’800, maestri di danza avevano insegnato agli irlandesi potenziando polifonicamente uno spirito musicale tra i più vispi del mondo. Avevamo scambiato invettive contro i British e i rinnegati cagasotto della Repubblica. Avevamo accolto e ascoltato in rifugi sicuri, nel profondo dei ghetti, ragazzi inseguiti da gas venefici e pallottole d’acciaio, per buona creanza democratica ricoperte di gomma. Non so neanche come valutare, da troppo tempo manco dall’isola, le ragioni di chi al disarmo, alla rinuncia e alla co-governance con un nemico per niente rinunciatario, ha opposto un rifiuto: la Continuity Ira, la Real Ira, tra altri. Ma so valutare chi stringe la mano al sovrano di una dinastia di ladri e oppressori e promette pacificazione e resa sull’obiettivo irrinunciabile di un popolo intero. E chi non ritiene di spendere una parola per la liberazione di una patriota, militante repubblicana, critica dei cedimenti del Sinn Fein, simbolo di tutto quello che c’è di più nobile in Irlanda, Marian Price. Insieme alla sorella, Dolours che, prima, aveva girato con me l’Italia per raccontare l’Irlanda, fu incarcerata e condannata a due ergastoli per avere, nel 1973, collocato bombe nel Tribunale centrale di Londra e nel centro di reclutamento di mercenari da impiegare in Nord Irlanda. Morì, per infarto, una sola persona. Rilasciata su cauzione, dopo che le sorelle avevano condotto uno sciopero della fame di 200 giorni, sottoposte ad alimentazione forzata, il 15 maggio le fu revocata la libertà provvisoria per “sostenere un’organizzazione illegale”, reato d’opinione. Sessantenne, è ridotta in fin di vita.. Nè McGuinness, né Gerry Adams, né Amnesty, né l’armata internazionale dei dirittoumanisti che rumoreggianno per processi a uxoricidi in Iran, per gli arresti domiciliari di protagonisti della destabilizzazione Usa, o per infiltrati Cia in Cina o Cuba, hanno sollevato un ciglio. Tra dominio coloniale e prevaricazione proconsolare dei fiduciari di Londra, ricchi, e risposta di un popolo, povero, che rivendica unificazione nazionale e riscatto sociale, tertium non datur.
Tertium non datur tra chi combatte per libertà e giustizia e chi le nega. In Italia quel tertium è particolarmente affollato. E’ il verminaio dei cerchiobottisti, terzoforzisti, panciafichisti, paraculi, saccenti “imparziali”, dei né-né che se la svignano di fronte a ogni ontologico aut aut posto dalle contraddizioni tra classi e lastricano di presunte buone intenzioni la via all’anientamento dei giusti. Legulei con l’aureola del politically correct, ammantati di società civile, che separano torti e ragioni sempre in ottemperanza a una superiore saggezza che sfugge a chi è preso per il collo. Mettiamo Israele e i palestinesi, la Siria e i suoi boia, Evo Morales e poliziotti incappucciati e indigeni leghisti che manderebbero a ramengo il progetto del riscatto boliviano, la Cupola dei genocidi e sociocidi e quei quattro gatti che la rivelano e combattono.
L’antipolitica e i correttori di bozze
C’è un certo Guido Caldiron, balilla della civiltà giudaico-cristiana, estimatore di Israele e sostenitore di tutte le rivoluzioni colorate che le agenzie imperialiste del regime change vanno fomentando nelle parti del globo non controllate. Per quella del Libano, delle destre anti-Hezbollah, si è infervorato su “Liberazione”, al tempo in cui quel giornalino dell’integerrimo comunista Sansonetti, coerentemente, inneggiava in prima pagina a Luxuria nell’Isola dei famosi. Stavolta è stato ospitato, coerentemente, dal “manifesto” per versare i suoi ingredienti nel gran calderone in cui cuochi di sinistra e cuochi di destra mescolano antipolitica, populismo, xenofobia, antisemitismo, minacce neonaziste, al fine di farci accettare la dieta con cui la Cupola degli usurai assassini ritiene di farci dimagrire fino alla scomparsa. La kabala cara ai sion-atlantici sa benissimo di sostenere, con Monti, Napolitano e tutta la banda di monatti incompetenti, sorretta dalla più grottesca coalizione di presunti opposti mai vista dopo il governo di unità nazionale pre-’48, il primato assoluto del populismo, del razzismo (anche bellico), dell’estrema destra e, dunque, dell’antipolitica, se per politica si intende, con i greci e con Marx, l’arte di governare la comunità dei cittadini per il bene di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico a cui tutti i cittadini partecipano. Un concetto la cui eliminazione la muta di licantropi addestrata a Wall Street ha affidato in primis a Napolitano e alla sua ineguagliabile determinazione a fare il proconsole della Cupola, piuttosto che il capo dello Stato.
La cortina fumogena che questo Caldiron solleva è quella dell’inversione netta dei dati di fatto. Tanto sbalorditiva, da non ammettere repliche. L’abbiamo sperimentata quando i violentatori islamisti accusavano di stupri collettivi i soldati libici e ora che una masnada di mentalmente appestati viene fatta passare per “rivoluzionari democratici siriani” e, prima e sempre, quando radere al suolo Gaza voleva dire salvare Israele dal nuovo olocausto. Cosa minaccia, secondo Caldiron e tanti altri della sinistra sinistrata e sinistrante, la democrazia europea? Quella meravigliosa che ci garantiscono i quattro cavalieri dell’Apocalisse, tutti funzionari della sottocupola eurocratica, mai insediati da alcuno voto, totalmente privi di mandato se non di quello del brigantaggio bancario, Barroso, Juncker, Von Rompuy, Draghi ? Quelli che ieri a Bruxelles hanno concesso al commissario Monti, glorificato per questo dai cortigiani mediatici, la farsa di un finto controllo sullo spread (come i vernacolari colonizzati chiamano il “differenziale”), in cambio di illimitate regalie alle banche e ai compari speculatori e della manomissione europea sui bilanci degli Stati, annientamento finale di ogni sovranità nazionale? La minaccia reale, mortale, per lui, per il ghostwriter di Bertinotti, Alfonso Gianni, che stigmatizza coloro che cavalcano gli sciagurati sentimenti anti-euro diffusi tra il popolo bue, per tutti i puri e duri dell’antifascismo da salotto e militante, non è la dittatura in corso di formazione, pianificata da Bilderberg, Trilateral, Goldman Sachs e modellata su collaudati modelli latinoamericani, del Golfo, del Vaticano. Con conseguente disintegrazione dei famigerati Stati nazionali, invisi anche agli utili idioti del municipalismo dal basso. Macchè, il pericolo vero (accantonato, anzi, reclutato, quello islamico) è il dilagare dei “movimenti populisti, xenofobi, di estrema destra”. Alludeva forse, il colorato Guido, alle forze nuove, alle albe dorate, alle case Pound, che la cupola mette in campo perché coprano col foklore il fascismo-peggio-del-fascismo in arrivo sul binario UE-Nato? Populisti? Ma cosa vai a pensare, Napolitano? Xenofobi? Escluso che si riferisca al ministro degli esteri Terzi, a quello della difesa Di Paola, ancora al presidente della Repubblica, impeccabili costruttori di pace ed esportatori di democrazia. Di estrema destra? A chi mai potrebbe venire in mente l’equa ed egualitaria Elsa Fornero? E neppure pensabile sarebbe che una minaccia si possa configurare nel modello includente, pluralista, pacifista, solidarista di Israele che, non per nulla, sta affannandosi a porre un freno sia al terrorismo palestinese, sia alle minacce di guerra nucleare dell’Iran, sia, per interposti compari democratici del Golfo, all’obsoleto nazionalismo laico e non-globalizzato della Siria.
No, sotto tiro di Caldiron, che non è nessuno, ma che cito perché emblematico, sono ben altri. Sono coloro che “accusano le politiche dell’UE di essere responsabili dell’abbandono della sovranità nazionale e della crisi finanziaria”. Ma quando mai, povera UE! C’è addirittura, secondo Caldiron, chi si spinge, il solito complottista paranoico, a figurarsi una guerra economica degli Usa contro Euro ed Europa, cosa che poi comporta che in Europa “la maggioranza del voto operaio vada alla nuova destra chauvinista e razzista”. Chissà com’è che in Francia e in Grecia quei pazzarelloni di lavoratori abbiano fatto vincere la sinistra, o presunta tale. E’ chiaro che tutta questa caciara su xenofobia, antisemitismo perennemente risorgente (vero solo in Israele, visto che tutti gli arabi sono semiti), populismo, in cui si è re-inserito un reperto del fiancheggiamento Nato-Sion, Enrico De Aglio, quello che si aggirava tra le macerie delle Torri Gemelle, ancora odoranti Cia-Mossad, gridando “è stato Osama”, costituisce il classico “finto scopo” dell’artiglieria campale occidentale. Sublime, in questa compagnia di contraffatti, il campione del trasformismo Nichi Vendola. Staccando il biglietto per entrare nel lupanare mafioso UDC, per il progetto catartico centro-sinistra-destra-cattointegralista, giurava sul principio-cardine che regge la volta del futuro umano: “Mai un caffè con chi si oppone alle coppie di fatto”. Dall’interno arrivava l’olezzo della tazzullella di Casini. Del resto, chi non ha tradito Svendola? A cominciare da quei resti di antagonismo ideologico che resistevano nel PRC, e finire con sanità e ambiente pugliesi affidati a farabutti, puttanieri, Don Verzè e Santa Marcegaglia Degli Inceneritori. Non si fidi Di Pietro, quello è di scuola bertinottiana: pur di arrivare allo scranno foderato dell’emiciclo si fa spingere anche da Netaniahu. L’omaggio a Israele è un pezzo che l’ha pronunciato.
Aggiustare Frankenstein
La malapolitica, che è appunto antipolitica se si pensa alla definizione di politica dei greci, o di Weber, non conosce confini. Avete visto, a Bruxelles il vertice dei congiurati avanzava sulla strada delle spoliazioni sociali e di quanto resta dell’autodeterminazione di singoli e popoli, verso un’unione bancaria che, come già negli Usa, prefigura la dittatura politica dei banchieri, burocrati da loro nominati e generali. In un pomposamente denominato “controvertice”, Rossana Rossanda (quella dei “giovani rivoluzionari di Bengasi”), Giulio Marcon (quello che al tempo della Serbia pellegrinava contro “Milosevic dittatore” e “serbi ultranazionalisti”) e compagnia di giro, che è generoso definire socialdemocratica, pigolavano a questa Europa la richiesta (richiesta!) di rammendare alcune lacerazioni alla democrazia, al welfare, ai diritti umani, civili, dei lavoratori, inflitte dall’primo all’ultimo trattato costituente. Cinque proposte cinque, tra cui nientemeno che una tassicciuola sulle transazioni finanziarie, quell’amenità della Tobin Tax e del bilancio partecipativo, simbolo della decrepitezza dell’istanza antagonista che ci trasciniamo dietro, pavoneggiandola come nemesi del capitalismo, fin dai tempi delle kermesse di Porto Alegre (da cui si cacciavano Chavez o le madri di Piazza de Majo). Quanto al debito pubblico, seppure un furto colossale, dai, prendiamocelo tutto, ma tutti insieme, così ce la facciamo! Lo sviluppo? Beh, cosa c’è di meglio di una Green Economy per dare nuova linfa ai rapporti di produzione capitalistici? La democrazia? “Deve essere estesa”. Sempre che se ne trovino i resti. Magari dalle parti dell’Islanda, della Val di Susa, di Piazza Syntagma, o di coloro – ce li siamo scordati? – che in Francia, Irlanda, Danimarca, e Olanda votarono contro i trattati capestro imposti dall’unità dell’1% dirigente.
Né Caldiron, né il parnaso radicalchic del “controvertice” (vertice de chè?), né la processione degli ululanti contro l’ombra di Mordor che si estenderebbe sul mondo sotto forma di neofascismi, ultradestrismi, populismi, antipolitica, nè tutti coloro che così si pongono a scudo dei castigamatti veri dell’antipolitica, dell’ultradestra, del populismo antipopolare, da Obama a Monti, sprecano un sospiro sulla guerra. Roba volgare, lontana, ineluttabile, probabilmente indispensabile, con tutti quei dittatori in giro. Una guerra resa possibile grazie al ladrocinio bancario sulla povera gente; grazie agli utili che lo Stato totalitario armato trae da armi e narcotraffico (il quale ha l’effetto collaterale di tagliare le palle a eventuali insubordinati interni); grazie al coro mediatico che assorda ogni voce di vittima e di chi le è solidale e che campa sui profitti pubblicitari sottratti con consumi, tagli e tasse alla gente comune minchiona. Da quest’Europa di guerra, rapina, despotismo, seppure potesse essere rattoppata da quei correttori di bozze – figuriamoci! – si salvi chi può. Oggi come oggi, con un’ Europa-mattone nella costruzione del leviatano mondiale, gli Stati nazionali e la loro sovranità costituiscono, in punto di diritto e di volontà collettiva, l’ultimo argine. Proprio come quella Siria che Stati-nazione cannibali vorrebbero mangiarsi viva. Un’unione di popoli, o la si fa come la voleva Lenin e come la perseguono oggi Chavez, Morales e altri, o niente. Tertium non datur.
C’è uno, che tra tante bischerate civili e ideologiche, urla le cose che Rossanda e i suoi carriaggi nelle retrovie delle armate in marcia non sanno neppure più sussurrare. E’ il populista, l’antipolitico, il demagogo, per eccellenza, il fastidio da eliminare, colui che si trascina dietro masse di stupidotti e minaccia di diventare il primo partito italiano con facce che non si erano mai viste e che hanno mezzo secolo anagrafico e politico meno di Rossanda. Ai morti viventi fa tremare le vene, per quante gliene restano. E da chi fa tremare le vene in quei polsi c’è forse per noi da imparare qualcosa. Eccolo citato qui sotto. Per ora, ahinoi, tertium non datur.
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2012/07/tertium-non-datur-neanche-per-lirlanda.html