13 luglio 2012 (MoviSol) Ieri il Senato della Repubblica ha approvato il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) e il Trattato europeo sul Fiscal Compact, due nuovi accordi progettati per mantenere in vita il sistema speculativo globale attraverso l’austerità e la dittatura dei mercati finanziari. Con il sistema dell’euro in via di disintegrazione, i poteri oligarchici sovrannazionali e i loro portavoce nella Troika (BCE, FMI, Commissione Europea) hanno ormai abbandonato ogni pretesa di democrazia e imposto un processo che porterà alla fine di ogni vestigia della sovranità nazionale.
Il Fiscal Compact è l’estensione del Patto di Stabilità, che obbliga tutti gli stati a rispettare i vincoli di bilancio stabiliti a suo tempo dal Trattato di Maastricht. Nel caso italiano significherebbe ulteriori tagli o tasse per circa 40 miliardi di euro all’anno per i prossimi 20 anni. Quello che sta facendo oggi Monti è solo un piccolo assaggio. L’ESM è il fondo salva-stati, che originalmente era previsto venire in soccorso agli stati in difficoltà, agendo come ente indipendente con la forza contrattuale di dettare le linee guide ai governi che accettassero gli aiuti. Non ci sarebbe la possibilità di trattare, di discutere democraticamente con la popolazione, ma solo di eseguire gli impegni presi con qualsiasi mezzo. Nel frattempo gli è stato conferito anche il potere di finanziare direttamente le banche. Quindi non più la maschera di "salva-stati" ma "salva-banche".
Il Trattato ESM ratificato dal Senato prevede che i manager del fondo possano richiedere in qualsiasi momento un aumento del capitale, già consistente, senza che i governi o i parlamenti nazionali possano opporsi, e che gli stessi manager godano della completa immunità da ogni giurisdizione nazionale e internazionale.
Al Senato i due trattati sono stati approvati da tutti i gruppi parlamentari tranne la Lega Nord (contrari) e l’IdV (astenuti). I partiti della maggioranza si giustificano con la "necessità" di costruire un’Europa più forte, strada obbligata per uscire dalla crisi; cioè l’unione fiscale e politica che è l’obiettivo dell’UE da almeno il 1989, quando si decise di bloccare la strada dello sviluppo economico guidato da un’alleanza di nazioni sovrane.
La realtà è che il progetto degli Stati Uniti d’Europa rappresenta soltanto un tentativo disperato di tenere in piedi un sistema finanziario decotto. La politica dell’austerità, della deregulation e del disinvestimento nell’economia reale è la causa della crisi, e non si potrà cambiare direzione senza un taglio netto con il passato (la creazione degli Stati Uniti d’America, infatti, avvenne su basi ben diverse, mirate all’investimento nell’economia reale). Eppure ad ogni ulteriore manifestazione del problema i capi di governo europei – incoraggiati da Obama e Geithner che temono per le banche americane – raddoppiano: altri salvataggi, altri tagli al tenore di vita della popolazione.
Ormai è evidente che la ricetta non funziona, ma bisogna avere il coraggio di cambiare, prima che sia troppo tardi. Gli stati possono ancora decidere di riappropriarsi del futuro, ma per fare ciò dobbiamo porre fine al circolo infinito di salvataggi bancari. La soluzione comincia con la Glass-Steagall, cioè la separazione tra banche ordinarie e banche speculative, proposta che trova nuovi sostenitori ogni giorno. In Italia ci sono proposte di legge in entrambe le Camere del Parlamento (Peterlini, Tremonti, Lega Nord), come negli USA con il ddl della deputata democratica Marcy Kaptur. E lo scandalo Libor di questi giorni ha messo paura addirittura ad una fazione della City di Londra, che ora chiede di andare in questa direzione, con un editoriale sul Financial Times a favore della Glass-Steagall.
I trattati draconiani dell’UE si possono ancora fermare, sia a livello politico perché devono passare ancora per la Camera dei Deputati in Italia, sia a livello giudiziario, per esempio con i ricorsi costituzionali in Germania. La vera svolta però dipende dalla mobilitazione popolare, per costringere le istituzioni a guardare in faccia alla realtà e cominciare a costruire un futuro di progresso.