DI

GIULIETTO CHIESA
megachip.info

 

 

 

 

 

 

 

 

Le controverse e bizzarre versioni ufficiali e ufficiose dell’attentato di Boston, l’ombra dell’FBI sulle biografie degli attentatori, le esercitazioni di sicurezza (come sempre nei grandi attentati), le impressionanti lacune dei principali organi di informazione, una metropoli sotto assedio. Il massimo indiziato è ora muto, ma i media non stanno meglio.
Il mainstream peggiora a vista d’occhio. E, tanto più peggiora, tanto meglio si vede in filigrana quando mente (anche se non è facile, di primo acchito, vedere quanto mente). Peggiora ma non pare destinato, per il momento, a passare a miglior vita. Infatti viene sostenuto da possenti iniezioni di morfina, che lo rendono, se non più sano, quanto meno abbastanza arzillo.
Io, da modesto cronista, l’ho seguito con grande attenzione nelle sue circonvoluzioni: dalla narrazione che imbastì a proposito della fine dell’Unione Sovietica, all’esaltazione della figura di Boris Eltsin, dipinto a tinte pastello come il primo presidente democratico della nuova Russia, mentre era soltanto un Quisling ubriacone che la Russia la svendette, privatizzandola, tutta intera, con la modica spesa di 10 miliardi di dollari (sottolineo, dieci miliardi di dollari).

L’ho seguito, il mainstream durante gli eventi dell’11 settembre 2001, a volte perfino ammirato della sua spettacolare potenza. Non si poteva non restare affascinati dalla capacità planetaria con cui riuscì prima a raccontare che il colpevole era stato Osama bin Laden, insieme a 19 terroristi semi-analfabeti, naturalmente islamici, poi a chiudere bruscamente e per sempre (forse) la pagina, dimenticandola insieme ai prigionieri di Guantanamo. Che infatti sono ancora là a prendere il sole di Cuba senza essere stati gratificati nemmeno da un qualche modesto capo d’accusa, in compenso definiti sbrigativamente “nemici combattenti”, che solo Bush sapeva cosa volesse dire.

Ma questa è ormai storia. L’altro giorno ho parlato agli studenti del primo anno universitario in una facoltà del Veneto. La gran parte di loro nemmeno sapeva che c’era stato un 11 settembre 2001. A riprova del fatto che il mainstream – quanto a copertura (nel senso proprio di coprirli per impedire che si vedano) degli eventi reali – è più efficace di un monastero di clausura.

Quello che accade in questi giorni è dunque poca cosa rispetto a eventi di quella portata. Spiccioli, loose change, direbbero gli americani. Ma gustosi. Prendiamo per esempio le bombe di Boston. Ho seguito con pignoleria le cronache americane (di quelle italiane si poteva fare a meno essendo banalmente copiate da quelle), per accorgermi, con curiosità crescente, che la storia ufficiale, minuto per minuto, si allontanava dalla ragione per entrare nei meandri del più fitto mistero, poi della più banale confusione, per infine perdersi nella menzogna più spettacolare, del più trito grand guignol.

Il fatto che i due “terroristi” fossero stati individuati così in fretta parrebbe dimostrare grande efficienza dell’FBI di Boston. Se non fosse che, alcuni giorni dopo, emerge dal New York Times che i due daghestan-ceceni erano tutt’altro che sconosciuti allo stesso esimio Federal Bureau of Investigation. Il quale li teneva sotto controllo da ben due anni. Sapeva tutto di loro, li aveva già interrogati, aveva seguito con la massima cura il ritorno in patria di Tamerlan (una “patria” che gli era quasi sconosciuta visto che aveva passato tutta la sua giovinezza negli Stati Uniti, ma opportunamente riportata in primo piano, guarda caso, proprio, si può dire, alla vigilia dell’attentato).

Vengono alla mente i viaggi di Lee Harvey Oswald a Cuba e poi nell’allora Unione Sovietica. Fatti apposta, con largo anticipo, allo scopo trasparente (ma il mainstream non vede le cose trasparenti, vallo a spiegare a Vittorio Zucconi!) di preparare la tesi, subito poi abbandonata, che Oswald fosse stato inviato dal KGB a uccidere John Kennedy. Non ce ne fu bisogno perché si trovò presto Jack Ruby che fece fuori Oswald con due colpi di pistola di fronte alle telecamere americane. Per poi morire “di cancro”, a sua volta, prima che un processo potesse chiarire come mai aveva sparato a Oswald. Il quale ultimo, prima di spirare, si accorse – e lo disse – di essere stato un “capro espiatorio”.

Ma questa è una parentesi. Passano i giorni e non viene fuori una sola motivazione che avrebbe potuto spingere i due fratelli Tsarnaev, il giovane Dzhokar e il poco più anziano Tamerlan, a mettere le bombe. Mentre scrivo – e sono già trascorse due settimane abbondanti – ancora non c’è una motivazione, una rivendicazione, uno straccio d’idea in materia. Quello che conta è la loro “origine cecena”. Si sa, i ceceni sono cattivi e terroristi per doppia definizione: la seconda è che sono islamici. Uno dei due è stato ufficialmente ammazzato subito dopo l’attentato in un “conflitto a fuoco”, e dunque non parlerà più. L’altro, Dzhokar, è stato trovato ferito e non armato, ma pare che non potrà più parlare essendosi inflitto da solo una ferita ammutolente. Per lo meno così ha dichiarato il sindaco di Boston, Thomas M. Menino. In ogni caso, per evitare che possa un giorno dire cose sconvenienti, si sta ancora valutando l’opportunità di trattarlo come “potenziale nemico combattente” (guarda che fantasia!), in modo che possa essere interrogato al di fuori del sistema legale garantito (per ora) a tutti i cittadini, senza la presenza di un legale e senza essere stato avvertito – pensate ! – che egli potrebbe “involontariamente autoaccusarsi” (International Herald Tribune, 22 aprile 2013).

Nel frattempo dilagano sui giornali le ricostruzioni di tutti gli attentati effettuati dai ceceni in diverse città della Russia nel corso degli ultimi vent’anni. Pagine e pagine, ma non si riesce a capire cosa c’entri Beslan, o Mosca, con questa faccenda di Boston. Non ci si riesce perché nessuno riesce a trovare alcun nesso decente. Ma così si fanno i giornali e così si sparano le notizie in tv. Attentati molto sanguinosi, come sappiamo, ma servono a insinuare sottopelle l’idea – razzista – che da quelle parti è “logico” che nascano terroristi. Per altro il giovane Tsarnaev, seppure la famiglia sia di origine cecena, è nato in Daghestan e fu subito trasferito negli Stati Uniti, dove viveva da molti anni, piuttosto floridamente. E – riferiva uno dei suoi professori alla Darthmouth University of Massachusetts, il professor Bryan Glin Williams – ne sapeva così poco della sua “patria” che, richiesto di scriverne, andò a chiedere informazioni al proprio docente. Terrorista, dunque, ma anche ignorante. Al massimo si potrebbe concludere che ce l’avesse con i russi, che avevano deportato i ceceni in Asia Centrale, ai tempi di Stalin. E, dunque, se avesse voluto mettere bombe, sarebbe andato a Mosca. Dove, in ogni caso, non avrebbe potuto far saltare in aria altro che la tomba di Stalin. Tutto salvo mettere bombe a Boston: non si riesce a capire il perché.

Dovrebbe essere già chiaro fin d’ora che, in questa storia delle due bombe di Boston, ci sono troppe oscurità per essere bevuta tale e quale. Eppure mai che qualche giornalista, sia locale che nostrano, avanzi qualche sospetto. Tutti allineati e coperti. I buchi e le voragini di questa storia sono talmente evidenti che un normale professionista non può non accorgersene. Invece vengono allineate, per il colto e l’inclita, ondate di interrogativi sui possibili legami tra i fratelli Tsarnaev e la famosa, ma ormai in disuso, Al-Qa’ida. Solo Giovanna Botteri, ogni sera, tirava fuori questa tesi, caldeggiata dalla altrettanto famosa, e non per caso, ammiraglia televisiva mondiale detta CNN. Salvo poi riferire improvvisamente, una sera, agli assonnati telespettatori del TG3Notte, che la CNN si scusava pubblicamente per avere raccontato troppe frottole nei giorni precedenti. Frottole dovute alla fretta, naturalmente, raccontate in buona fede, niente malizia. E la Botteri ne approfittava, insieme al Mannoni sonnecchiante, per tessere le lodi della CNN, capace di emendarsi dei suoi errori. Vedi come funziona bene il mainstream? Dobbiamo inchinarci anche quando mente. Infatti mente con sincerità.

Tuttavia, nonostante le scuse e le rettifiche, le cose che non quadrano si moltiplicano. I due bombaroli daghestan-ceceni avrebbero appena massacrato un po’ di persone con pentole a pressione piene di esplosivo (pare) – non senza essere accuratamente fotografati, insieme, sul luogo del delitto; ed eccoli andarsene in giro per la città, trasformata in zona di guerra (e resterà in quelle condizioni per dieci giorni consecutivi anche dopo la liquidazione fisica del “commando ceceno”), fino ad ammazzare, senza apparente motivo, che non fosse quello di appropriarsi della sua pistola, un giovane poliziotto di guardia all’università, che se ne stava quietamente seduto nella sua auto di servizio. Ma non erano già armati? E, essendo ricercati da migliaia di agenti, non sarebbe stato più logico che se ne stessero rintanati da qualche parte? No. Sparacchiano e assaltano automobili. A un certo punto della serata, non si sa a che ora, un giovanotto (uno solo, e l’altro dov’è?) – che, tanto per far capire bene chi era, si dichiara subito come l’autore dell’attentato di poche ore prima – assalta un SUV e si fa portare in giro per Boston e dintorni. Il giovane esibisce una pistola, mostra al terrorizzato conducente che c’è un colpo in canna, si vanta delle sue gesta. Tutto questo lo sappiamo dalla “dichiarazione giurata” del conducente del SUV. Di cui però non viene rilasciato il nome e il cognome. Ma deve trattarsi di persona coraggiosa, poiché riesce a fuggire al suo rapitore durante la sosta in una stazione di servizio. Poi la sparatoria con i poliziotti, in cui Tamerlan viene ucciso, mentre Dzhokar riesce a fuggire.

Solo che emerge dal web un filmato in cui si vede benissimo un uomo completamente nudo che viene infilato a forza in una vettura della polizia. E’ notte, le immagini sono poche, ma i fari delle auto della polizia e le luci roteanti rosse e blu sono sufficienti a mostrare con nitidezza la scena. C’è anche, sul web, la dettagliata intervista di una televisione locale a un testimone oculare del fatto. Il giovanotto non risulta ferito. Si muove agevolmente, si copre le pudenda con le mani. E’ aitante, sicuramente giovane. Chi è? Perché è nudo? Possiamo ipotizzare che i poliziotti che l’hanno arrestato lo abbiano spogliato completamente per eliminare il timore che fosse imbottito di tritolo? Penso che sia un’ipotesi legittima. Forse hanno sbagliato persona? Forse. Ma la madre – cui il filmato viene immediatamente mostrato – da Makhachkalà grida: “E’ mio figlio, è Tamerlan!” . Inutile citare qui tutte le fonti. Basta andare su youtube e se ne trovano a decine, l’una più sorprendente dell’altra. A riprova che fabbricare attentati diventa sempre più difficile, nonostante la sorpresa. Perché c’è sempre qualcuno che riprende le immagini, o che va ad analizzare le immagini fornite dalle tv del mainstream, e scopre un sacco di cose che gli operatori del mainstream, non informati preventivamente, hanno involontariamente mostrato.

Ahinoi! Qualcosa è andato storto. Se era Tamerlan, ed era vivo e nudo, allora non funziona più la tesi dello scontro a fuoco con la polizia in cui è stato ammazzato. Va bene, da qui non si può sapere niente e non possiamo concludere niente, sebbene il cuore di una mamma, come ci è noto da De Amicis e da De Filippi (Maria) , non sbagli mai. Tuttavia qualche giorno prima, del tutto inaspettatamente, si era aperta un’altra pista tipo Al-Qa’ida. Mentre tutti gli Stati Uniti erano in stato di allerta, in attesa di nuovi attentati dinamitardi (che non potevano più essere opera di Tamerlan, defunto, e di Dzhokar, muto) ecco apparire le lettere al ricino. Due per la precisione. Una addirittura inviata a Barack Obama, fermata dai sistemi di controllo esterni alla Casa Bianca, e l’altra al senatore Roger Wicker, repubblicano del Mississippi. Allora c’è una strategia di grandi dimensioni, e l’America è sotto attacco? Oppure era una variante di contorno, prevista per sviluppi di altro genere, come lo furono le lettere all’antrace che apparvero nei giorni successivi all’11 settembre 2001?

Si ricorda che le indagini a proposito di quelle lettere portarono, dopo qualche anno, alla scoperta che l’antrace era stato prodotto in un laboratorio militare statunitense e la faccenda finì con qualche incriminazione e qualche suicidio. Del ricino post Boston si sono invece perdute le tracce. Sebbene una considerazione elementare dovrebbe indurci obbligatoriamente alla conclusione che le lettere al ricino non potevano essere comunque il prodotto della furia assassina dei fratelli daghestan-ceceni, e, dunque, che c’era qualcun altro a tessere le fila. O, forse, si è trattato di una coincidenza, spettacolare come tutto il resto. Se non fosse che – le coincidenze si moltiplicano – sempre sul web si assiste a una girandola impressionante di testimonianze visuali che dimostrano come sul luogo degli attentati siano avvenuti eventi assai strani. Ci sono feriti che hanno perduto entrambe le gambe, maciullati dalle bombe, che restano vivi nonostante ferite che provocherebbero il dissanguamento e la morte in pochi minuti. Che vengono fotografati con grande dettaglio, con esibizione di monconi sanguinanti e scomposti, ma che risulterebbero poi reduci di guerra già regolarmente dotati di protesi. E’ il caso del colonnello Nick Vogt, (1-o. battaglione del 5-o reggimento di fanteria, 1-a Brigata di combattimento d’urto, 25-a Divisione di fanteria) che perdette le gambe mentre era in combattimento a sud di Kandahar, Afghanistan. Il quale figurerebbe in molte fotografie professionali come mostruosamente maciullato dalla bomba. Che ci faceva Nick Vogt alla maratona di Boston? Cosa c’entrava tutto quel sangue rappreso, tutti quei filamenti di carne, attorno ai suoi moncherini da gran tempo cauterizzati? Ovviamente c’è chi giura che invece non è lui. Ma è lecito pretendere un’indagine che chiarisca i tanti punti controversi, come questo.

Si vedono (prima delle bombe) massicci personaggi che sembrano telefonare. Giubbotti neri, pantaloni beige, scarponi beige, con grossi zaini militari appesi alle spalle. Hanno l’aria di guardinghi poliziotti in borghese, ma quei grossi zaini neri non si spiegano con le funzioni di vigilanza (che poi, va detto, non ha funzionato affatto, come gli eventi hanno dimostrato). Ma probabilmente non erano là per vigilare. Risultano vestiti come i Navy Seal, ma non sono poliziotti, né militari. Hanno l’aria di una squadra di “contractors”, mercenari che stanno svolgendo “altre funzioni”. Se ne vedono ben cinque, tutti con la stessa divisa, e alcuni portano distintivi di una organizzazione che risponde al nome di Craft e che ha un motto davvero eloquente: “Despite what your mamma (sic!) told you… Violence does solve problems” (A differenza di ciò che ti ha detto la mamma… la violenza risolve i problemi). Dopo l’esplosione si vede un altro giovanotto che se la dà a gambe ad alta velocità e con destrezza, molto sano, molto atletico, con i pantaloni sbrindellati. Una telecamera lo insegue, e lo vede sparire tra la folla. Uno degli attentatori? Ma vi pare che l’attentatore se ne va a spasso a pochi metri (pantaloni sbrindellati) dalla bomba che ha appena piazzato?

In uno di questi filmati vengono ingranditi i due dispacci del Boston Globe che, uno dietro l’altro, raccontano la verità pochi minuti prima della tragedia. Ecco il primo: “Officials: there will be a controlled explosion opposite the library within one minute as part of bomb squad activities” (Funzionari: ci sarà tra un minuto una esplosione controllata di fronte alla biblioteca come parte delle attività di una squadra di artificeri). Ecco il secondo: “Breaking News: police will have controlled explosion on 600 block on Boylston Street” (Ultime notizie: la polizia effettuerà una esplosione controllata al n. 600 di Boylston Street). Ma, scusate, vi pare credibile che la polizia effettui “esplosioni controllate” nel bel mezzo di una manifestazione piena di gente?

Ho impiegato diverse ore a esaminare con cura decine di questi filmati. Alcuni sono palesemente “fake”, prodotti da dilettanti che si lanciano in analisi improbabili. Altri potrebbero essere prodotti “fake”, fatti apposta per creare confusione e screditare prodotti più seri. Altri sono prodotti opinabili, ma costituirebbero materiale importante in una inchiesta degna di questo nome. Infine ce ne sono parecchi che – come quelli appena citati (e sono solo alcuni nel gran mare) – forniscono le prove dell’inganno architettato a uso e consumo dei media che dovranno diffonderlo in giro per il mondo. Chi c’è dietro questa messa in scena? L’impressione del cronista è di trovarsi di fronte a una “rete canaglia” di terroristi, strettamente legata a settori chiave del mainstream americano

Ora non ci resta che aspettare che la sagacia dell’FBI, e della CIA, rimetta insieme i pezzi di questo puzzle insensato. Ma non riusciamo a sottrarci all’impressione che i poveretti Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev siano da includere nella lunga lista dei “capri espiatori”. Quanto alle coincidenze esterne non sarà inutile ricordare che, proprio quel giorno dell’attentato di Boston, Barack Obama subì la sconfitta, nel Senato, del suo progetto di legge di limitazione delle vendite di armi ai cittadini americani. Magari non c’entra niente, ma io lo terrei presente. Soprattutto terrei presente il fatto che quello stesso 16 aprile il New York Times metteva in prima pagina un articolo, a firma Scott Shane, intitolato così: “US tortured detainees after 9/11, report says” (Gli Stati Uniti hanno torturato i prigionieri dopo l’11 settembre, così afferma un rapporto). Il rapporto, di 557 pagine, meritava la prima pagina, onore al merito del New York Times, essendo completamente bipartisan, firmato da due ex deputati con esperienze di governo: un repubblicano, Asa Hutchinson, e un democratico, James R. Jones. Sedici mesi di lavori, che presero avvio dopo che – scrive Scott Shane – “il Presidente Barack Obama decise nel 2009 di non sostenere la creazione di una commissione nazionale per indagare sui programmi antiterroristici del post 9/11, come invece aveva proposto di fare il senatore Patrick Leahy, democratico del Vermont, insieme ad altri. Obama disse allora che egli preferiva «guardare avanti e non indietro»”. Cioè coprì le gesta del suo predecessore, condividendone le responsabilità.

Come ha detto uno che di queste cose se ne intende (tant’è che fu chiamato ad aiutare Cossiga nei giorni del rapimento di Aldo Moro, tre volte nei centri vitali della sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America), Steve Pieczenick, è del tutto evidente quali titoli di giornali di tutto il mondo avrebbero potuto oscurare, relegandola nel dimenticatoio, il giorno dopo, una notizia di queste dimensioni, che metteva sotto accusa, direttamente, gli ultimi due presidenti degli Stati Uniti. Infatti proprio così si è verificato. Nessun giornale italiano mainstream ha riportato l’articolo del New York Times.

Ma c’è anche un’altra interpretazione possibile, che non contraddice affatto le appena citate. Due presunti terroristi daghestan- ceceni, subito catturati e messi in condizioni di non nuocere, sono stati sufficienti per mettere letteralmente in stato d’assedio, per una intera settimana, una grande città del Nord America. Gli abitanti di Boston e dintorni sono stati bloccati nelle loro case, le attività lavorative sono state fermate, la città è stata spenta e gettata nel panico. Ha tutta l’aria di una “prova generale” per qualche cosa che si sta preparando da tempo. Il programma dei 30 mila droni, destinati a pattugliare il cielo degli Stati Uniti, sembra stato pensato in questa chiave: non (solo) per abbattere i terroristi in ogni parte del mondo, ma per sorvegliare l’America in nome della sicurezza dei cittadini.

Nota.

Ecco alcuni dei link (tra i moltissimi disponibili) che ciascuno, avendo il tempo, potrà visionare per farsi un’idea delle cose che ho appena esposto.

Giulietto Chiesa
Fonte: www.megachip.info
Link: http://www.megachip.info/finestre/zero-11-settembre/10204-boston-una-prova-generale.html