DI
ANTONIO DE MARTINI
corrieredellacollera.com
Un buon sistema per evitare polemiche conviviali è quello di toccare un argomento nevralgico.
Di colpo, quelli che ti odiavano si dedicano alla pesca d’altura e vanno in posti dove il telefonino non prende.
Per anni mi è capitato, in occasioni mondane con personaggi politici, di parlare di riforma della Costituzione ( proprio nel senso proposto in questi giorni dai ” saggi”) e provocare un istante di imbarazzato silenzio, manco avessi scoreggiato, poi la conversazione riprendeva su altri argomenti come se nulla fosse accaduto. È successo per anni.
Adesso, se voglio mangiare in santa pace, parlo dello sfruttamento schiavistico del lavoro minorile nei paesi in sviluppo.
Come saprete, a Dacca, perla del Bengala di salgariana memoria, è crollata una costruzione pomposamente definita palazzo.
La mia attenzione è stata però attratta dallo strano fenomeno dei media, in cui ho visto la crescita, lenta e costante del numero delle persone morte. Tutte donne.
Invece di un grattacielo, un gineceo? Una scuola femminile?
In diciotto giorni, il numero dei morti è lentamente passato dagli iniziali settanta/ottanta ai mille cadaveri conteggiati, mentre lo spazio nei giornali si rimpiccioliva.
I morti dell’attentato alle due torri di New York a fine conteggio sono risultati duemila settecento cinquantadue , ma come tutti ricordiamo, gli edifici crollati sono tre, due dei quali di altezza vertiginosa: 110 piani.
Se dal novero delle vittime togliamo i pompieri di New York ( 343). i poliziotti ( 60) e i passeggeri dei due “aerei bomba”( 200?) e gli abitanti negli edifici viciniori distrutti, ( il Marriott trade Center, la chiesa ortodossa di St. Nicolas, il Deutsche Bank Building, restano approssimativamente circa mille vittime ascrivibili a ciascun grattacielo.
Mi sono chiesto come mai un incidente tanto grande in termini di vittime da essere comparabile alla strage del secolo, anche se meno spettacolare nella meccanica, sia stato tanto banalizzato.
Ho scavato un po’ e… ecco spuntare le foto di protesta che citano ( a Dacca…) uno dei grandi marchi della pubblicità e del mondo dell’impresa in Italia: Benetton.
Un ottimo ufficio stampa.
Ecco un altro moralista in pubblicità che predica il no al razzismo, il si all’amore omosessuale ed è tanto trasparente da voler mostrare il proprietario in costume adamitico, beccato a sfruttare mille poverissime ragazze costrette in un immobile fatiscente a fare tanti variopinti pullover che vengono comprati – che dico, collezionati – dai nostri figli.
Pensandoci su, mi sono anche ricordato che alcune comunità di indios protestarono a lungo in Sud America, perché questa stessa multinazionale li aveva cacciati dalle loro terre per allevare pecore, comprandole da un governo centrale noto per la proverbiale onestà.
Possibile che a nessuno interessi lo sviluppo enorme del lavoro schiavistico in questa fase storica in almeno tre continenti?
Possibile che nessuno veda come la schiavitù economica di quei paesi porti inevitabilmente alla schiavitù politica in Europa dove ormai partiti e sindacati brancolano tra le rovine di quella che un tempo fu la civiltà europea in cerca di uno straccio di motivazione esistenziale?
Dal punto di vista legale saranno certamente in regola: un bel contratto di subappalto/ fornitura e ci si leva d’impiccio.
Esiste uno sfruttatore locale responsabile di fronte alle autorità , quindi si sentono a posto con la legge se non con la coscienza.
Nessuno ha mai pensato che con questi criteri a Norimberga avrebbero dovuto sedere sul banco degli imputati solo i Kapò?
La schiavitù dell’Asia ha portato alla disoccupazione, alla crisi produttiva ed alla finanziarizzazione dell’economia.
Si può guadagnare molto azzerando – o quasi – il costo del lavoro e non si deve investire nel Marketing. Bingo!
Vogliamo continuare a comprare il pulloverino per la creaturina? Niente boicottaggi come avviene per manifestare contro la sperimentazione medica sui topi ? Evidentemente se una causa non è anodina, non interessa ai nostri concittadini, la ignorano.
Ha proprio ragione l’attore Lello Arena che in un bello spettacolo al ” Teatro Valle occupato” di Roma che si tiene in questi giorni, spiegando la lingua napoletana, ha rievocato un detto partenopeo di grande significato metaforico:
” puoi annaffiare col rum uno stronzo per quanto tempo vuoi, ma non diventerà mai un babbá”
Antonio de Martini
Fonte: http://corrieredellacollera.com
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