di

Claudio Messora

Enrico Letta Internet Rete

Chiunque abbia fatto una guerra (e sia sopravvissuto), vi dirà che i conflitti sono i più grandi ascensori sociali. Chi era su finisce giù, e viceversa. Così è internet. Immaginate il mondo là fuori come una grande ragnatela di interessi e di equilibri: appena qualcosa si muove grossi aracnidi monopolisti, specializzati nel presidio di migliaia di filamenti, con i loro tentacoli chitinosi capaci di percepire impercettibili vibrazioni, avvolgono in un bozzolo vischioso ogni più piccolo tentativo di innovazione. Sono le lobby dell’informazione, dell’editoria, del commercio, immersi nei loro enormi gangli di potere che non sono disposti a cedere. Poco importa che così facendo paralizzino la società: l’importante è che i loro grossi ventri molli restino pingui e ben pasciuti. Poi arriva la rete, quella digitale. Informazioni, beni e servizi iniziano a transitare per vie impossibili da presidiare. Sono fatti di idee, sono comunicazione allo stato puro: nessuna barriera fisica li può fermare. Dove il mondo precedente era fatto di grandi pachidermi, di frontiere, di dazi, di proibizionismo, di censura e di poteri centrali, quello nuovo è agile come un esercito di acrobati, non ha confini se non quelli dell’immaginazione, è libero come le ali della fantasia, è impossibile da costringere in un pensiero unico ed è dominato da multiformi, cangianti concentrazioni di energie individuali, che si concentrano a realizzare un obiettivo e poi si disperdono facendo perdere ogni traccia di sé. Chiunque può costruire un ponte tra se stesso e gli altri, in una dimensione parallela rispetto a quella popolata da feroci sentinelle poste a guardia di privilegi indebiti, e farvi transitare idee originali e di successo che viaggiano alla velocità del pensiero, trasportando opportunità e trasformandole in economie reali. Internet è un ascensore sociale di incredibile potenza. Per questo va abbattuto.

Così è iniziata la lunga e triste storia degli attacchi alla rete. L’Italia è all’avanguardia: è la Cina dell’ovest, con l’aggravante che è molto più oscurantista e medioevale. Nonostante studi approfonditi della Banca Mondiale, di Google, dell’Oecd, del Boston Consulting Group e di Confindustria Digitale dimostrino inequivocabilmente che una buona infrastruttura digitale consentirebbe di risparmiare non meno di 40 miliardi l’anno (con soli 10 miliardi di investimenti iniziali, secondo calcoli di Alcatel-Lucent confermati da consorterie cinesi), che a una crescita della penetrazione della banda larga tra il 13% e il 18% corrisponderebbero incrementi di Pil compresi tra il 3,3% e il 4,3% (di cui il 75% a vantaggio dell’industria tradizionale), e nonostante il McKinsey Global Institute dimostri che internet crea più posti di lavoro di quanti ne distrugge, il nostro Paese è tra gli ultimi per la qualità delle sue infrastrutture digitali, per il numero di cittadini connessi alla rete così come per la velocità di download (93°, dopo le Fiji) e di upload (143°, dopo il classico Trinidad e Tobago). La politica, essendo espressione delle lobby dell’editoria televisiva e temendo la diffusione di contenuti multimediali concorrenti non meno della diffusione della conoscenza e dell’informazione libera, ha non solo disincentivato nel passato l’evoluzione digitale della nostra economia, ma la ha proprio decisamente ostacolata grazie al non adeguamento delle normative e alla continua minaccia, spesso ma non sempre disinnescata grazie alla mobilitazione di blog e associazioni, di atti legislativi ostili. (vedi: “A cosa serve internet“)

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Chi si illudeva che un governo di centro-sinistra, apparentemente “progressista”, avrebbe potuto invertire questa tendenza dando seguito alle direttive sull’adeguamento delle infrastrutture digitali emanate dall’Unione Europea (che fa testo solo quando impone austerity e tagli alla spesa pubblica), è oggi costretto a scendere dal proverbiale pero e constatare che contro la Rete poté di più il Partito Democratico che 20 anni di Forza Italia e Popolo delle Libertà messe insieme. Quello che il partito del rottamatore di Arcore è riuscito a fare in pochi mesi di legislatura contro le libertà digitali ha dell’incredibile. Vogliono gli Stati Uniti d’Europa, sono disposti a cedere qualunque tipo di sovranità pur di ottenerla, si stracciano le vesti quando un economista parla di una riappropriazione del sistema monetario o dell’imposizione di dazi verso i Brics, ma quando si tratta di internet sono più protezionisti di Ficthe e di List messi insieme. La Commissione Bilancio alla Camera ha approvato un emendamento di Edoardo Fanucci (Pd) alla Legge di Stabilità, sostenuto dal presidente della Commissione Francesco Boccia (Pd), che istituisce la cosiddetta Web Tax. Recita così: «i soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana». Cosa significa? Che d’ora in poi non potremo più acquistare merce o software o servizi di qualunque tipo da siti che non abbiano aperto una partita Iva italiana. Quello che non esiste da nessun’altra parte in Europa, da noi sta per diventare realtà. Da Amazon a Google a qualunque altra impresa anche piccola, magari operante dall’altra parte del globo: saremo tagliati fuori da tutto, perché è evidente che il servizio che sarà disponibile agli altri cittadini europei, fornito magari da una piccola società del Michigan, a noi sarà precluso, essendo nei fatti impossibile dall’estero espletare tutte le pratiche previste dalla burocrazia italiana per sobbarcarsi l’onere di una posizione fiscale nel Paese più tartassato e oberato di scartoffie amministrative del mondo civilizzato. Ed è ipotizzabile che anche i giganti del web, che trovano nell’Italia un mercato del tutto marginale, possano abbandonarlo a se stesso per concentrarsi su territori meno oscurantisti e più redditizi. Vero è che oggi i colossi digitali fatturano nei paesi fiscalmente più convenienti, come l’Irlanda, ma nell’era dell’integrazione politica a tutti i costi, vuoi vedere che l’unica soluzione che non si può trovare a livello comunitario è quella di un riequilibrio delle politiche fiscali? Ci crede così poco, Letta, all’Unione Europa alla quale sacrifica ogni politica nazionale diversa da quella digitale?

Ma la scure della Santa Inquisizione democratica non si ferma. Nel Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, il proverbiale “venerdì 13”, il governo delle ex larghe intese (“Tesoro, mi si sono ristrette le intese”) ha varato un decreto che sferza un altro micidiale colpo sui motori di ricerca e sulla stessa libertà di informazione. Sotto evidente dettatura delle morenti lobby dell’editoria cartacea, viene incredibilmente sancito che prima di “linkare, indicizzare, embeddare, aggregare” un contenuto giornalistico è necessario chiedere il permesso all’editore. Avete capito bene: la fine dei provider di ricerca che indicizzano le ultime notizie per poi rimandarvi eventualmente alla fonte (viene in mente Google News). Ora dovranno stringere accordi preventivi con gli editori, che si possono immaginare economicamente svantaggiosi. Ma se quel “linkare ed embeddare” evoca sinistri presagi che aleggiano sui blog, i quali si ritroveranno a domandarsi se possono ancora inserire collegamenti ipertestuali agli articoli dei giornali, o citarne stralci, senza dover essere costretti a firmare improbabili contratti con Rcs o con il Gruppo Editoriale l’Espresso, quell’”aggregare” evoca scenari esilaranti nei quali potrebbero diventare illegali in un colpo solo tutti i feed reader privi di autorizzazione e trasformare i vostri pc in tante pericolose rotative clandestine. Un ennesimo regalo all’editoria e un inesplicabile duro colpo allo sviluppo della cultura della circolazione delle informazioni, attuato per decreto e ancora una volta senza il coinvolgimento del dibattito parlamentare.

E senza alcun dibattito parlamentare si è consumato una vero e proprio sopruso, un atto autoritario, antidemocratico e probabilmente anche incostituzionale, perpetrato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che il 12 dicembre ha varato una delibera che non ha precedenti altrove nel mondo e che consegna la libertà di pensiero al suo antagonista storico, l’insieme dei gruppi di pressione che tutelano il copyright, eliminando con un colpo di spugna l’attribuzione del potere giudiziario ai magistrati e conferendolo agli avvocati delle lobby, i quali in presenza (a loro insindacabile giudizio) di “un’opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica”, potranno segnalarla all’Agcom che nel giro di pochi giorni potrà ordinare agli internet provider di oscurarla o rimuoverla. Per chi si illudeva che anche il nostro Paese, un giorno, avrebbe visto la nascita di un principio sacrosanto come quello del Fair Use, in vigore altrove, che consente ai cittadini di diffondere stralci di opere protette dal diritto di autore al fine di realizzare un dibattito o di stimolare una discussione attinente, la delibera Agcom appena emanata rappresenta la fine di ogni speranza. Tutto, qualunque contenuto presente in rete, secondo le definizioni di cui sopra, potrà essere oggetto di rivendicazione da parte degli editori. Un video su internet che contiene alcuni spezzoni di un telegiornale o di un servizio giornalistico, una foto pubblicata su un blog, anche se modificata in senso umoristico, magari elaborata a comporre un fotomontaggio, uno stralcio di articolo tratto da un giornale, l’audio del saggio di pianoforte di vostra figlia nel quale l’editore dello spartito riconosce l’uso della diteggiatura da lui depositata, tutto potrà risultare in una segnalazione effettuata all’Agcom che potrà ordinare al vostro hosting provider, o magari a YouTube, di cancellare il vostro blog in tutto o in parte, così come il vostro video. E poiché il provider o il fornitore di servizi di condivisione che nel volgere di pochissimi giorni non dovesse ottemperare, si troverebbe a pagare una sanzione che può arrivare fino a 250mila euro, si può tranquillamente puntare sul rosso e scommettere sul fatto che le segnalazioni inoltrate dall’Agcom verranno immediatamente tradotte nella rimozione dei contenuti controversi, e magari nell’oscuramento di tutto il sito. Interi blog di informazione, pieni di citazioni, di clip multimediali e di composizioni fotografiche, potrebbero scomparire dal 1 di aprile, data di entrata in vigore della normativa. Scavalcando a volo d’uccello l’unico potere che secondo la Costituzione può limitare la libertà di espressione: la magistratura. E purtroppo non si tratterà di un pesce d’aprile. Ed è notizia dell’ultima ora che, in un documento confidenziale inviato al Governo italiano nientemeno che dal vicepresidente della Commissione Europea Maros Sefcovic, Commissario alle relazioni istituzionali, si chiede alle autorità italiane di chiarire in che modo intendono garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini nell’applicazione del regolamento Agcom. (vedi: “Il web ha un mese e mezzo di vita“)

Fulvio Sarzana Claudio Messora Byoblu Agcom Delibera Copyright Diritto d'Autore

Come se non bastasse, sempre nell’ottica di agevolare lo sviluppo delle nuove tecnologie e la diffusione della cultura digitale, il decreto del Consiglio dei Ministri di venerdì scorso ha escluso l’editoria elettronica (i produttori di ebook) dalle incentivazioni per l’editoria. E ha già annunciato che la settimana prossima varerà un nuovo decreto che imporrà balzelli sugli smartphone, sui tablet e sui pc, per un ammontare complessivo che nel 2014 assommerà a cento milioni di euro. Anziché spingere l’Italia e gli italiani verso la modernità, nel doveroso tentativo di mettersi perlomeno in scia con il progresso tecnologico che sostiene i popoli degli altri paesi del mondo nella loro domanda di competitività, il “progressista” Enrico Letta assesta con il suo Governo i colpi più devastanti che la storia degli attacchi alla Rete in Italia ricordi, caratterizzandosi come uno degli alfieri delle lobby più cinico e spietato, e come uno dei nemici della conoscenza distribuita, dell’innovazione e della mobilità sociale che le nuove tecnologie consentono, più ostile e oscurantista. Quanto costerà tutto questo alla nostra economia, in termini di ritardo nello sviluppo e dunque in termini di ulteriore perdita di produttività, purtroppo, lo scopriranno ancora una volta i nostri figli.

 

Fonte: Byoblu.com