di
Rino Di Stefano
In un documentario per la Radiotelevisione Svizzera (RSI)
l’incredibile storia della macchina che annichilirebbe
la materia producendo enormi quantità di calore a costo zero
L’inchiesta del “Giornale” sull’energia nascosta è diventata un film. A realizzarlo è stata la Frama Films International di Lugano, per conto della RSI, la Radiotelevisione Svizzera. A dirigere il film documentario, in qualità di produttore e regista, è stato Victor Tognola, uno dei più noti professionisti svizzeri del settore cinematografico. Tognola, infatti, nel corso della sua lunga carriera ha vinto 13 Leoni al Festival Internazionale della Creatività Leoni di Cannes e ulteriori riconoscimenti al Berliner Klappe di Berlino e al Grand Award di New York.
Tognola mi ha contattato dopo aver letto i miei articoli sul “Giornale”. In quel periodo, egli stava preparando il suo documentario sullo scomparso Hannes “Pussy” Schmidhauser, film che successivamente presentò con successo al Festival Internazionale del Cinema di Locarno. Schmidhauser era un noto attore, nonché ex capitano della nazionale di calcio svizzera, nativo del Ticino. Infatti, parlava correntemente sia l’italiano che il tedesco. Come attore, ha lavorato anche in Italia. Ebbene, indagando sulla vita di Hannes, Tognola scoprì che, per un lungo periodo di tempo, egli era stato socio di Rolando Pelizza per attuare il programma chiamato “Scorie CH”, tramite la società “Peace-Power SA”. In pratica, questa impresa avrebbe dovuto eliminare le scorie radioattive delle centrali nucleari svizzere, uno dei maggiori problemi tecnico-ambientali della Confederazione Elvetica. Per attuare questo progetto (che persino oggi viene considerato impossibile), si doveva utilizzare la macchina di Pelizza per annichilire la materia. Il programma era considerato tanto attuabile da richiamare la presenza di noti banchieri elvetici nel consiglio di amministrazione della “Peace-Power SA”. Tutto, quindi, procedeva bene, quando improvvisamente, poteri occulti di origine sconosciuta impedirono di fatto il proseguimento dell’opera. La prematura morte di Schmidhauser mise fine una volta per tutte all’avveniristico progetto.
Ebbene, dopo aver letto i miei articoli (dove si citava il ruolo di Pelizza quale “manovratore” della fantomatica macchina), Tognola mi contattò per saperne di più. In un primo tempo voleva inserire una mia intervista nel film dedicato a Schmidhauser, poi decise di soprassedere e di dedicare un intero film documentario all’argomento. Nacque così il progetto del documentario “La macchina infinita”, un film di Victor Tognola ispirato alla mia inchiesta sul “Giornale”.
Le riprese del film sono iniziate nell’estate del 2013. Inizialmente, pensavamo di poter contare sull’aiuto di Pelizza, affinché raccontasse in prima persona la sua incredibile storia sulla famosa macchina. Come avevo già pubblicato, Pelizza fece i suoi primi esperimenti pubblici nel 1976 per il governo italiano, allora presieduto da Giulio Andreotti, sotto il controllo del professor Ezio Clementel, presidente del CNEN e ordinario di Fisica all’Università di Bologna. Gli esperimenti, che seguirono un protocollo voluto dal professor Clementel, andarono bene. Lo stesso docente scrisse l’esito delle prove in una relazione che è giunta fino a noi. Poi, con l’ingresso dei governi americano e belga nell’operazione, la vicenda si complicò e Pelizza si diede alla macchia. La storia è lunga da raccontare, ma basti sapere che ad un certo punto Pelizza venne colpito da tre mandati di cattura internazionali (poi revocati) e accusato di aver costruito una letale arma da guerra definita dal giudice Carlo Palermo “Il raggio della morte”. Anche in quel caso Pelizza venne assolto, ma preferì emigrare per evitare di avere a che fare ulteriormente con la giustizia italiana. Da allora vive in Spagna, pur avendo la famiglia a Chiari, in provincia di Brescia. Anche se abbastanza spesso torna per brevi periodi in Italia.
Nel corso degli anni Ottanta, Pelizza venne più volte accusato dalla stampa italiana di essere un truffatore, anche se di fatto nessuno lo aveva mai denunciato per questo reato. Risulta, però, che solo un periodico, la rivista “OP” di Mino Pecorelli, un giorno raccontò nel dettaglio l’odissea di Pelizza, sostenendo che intorno a lui giravano da anni “servizi segreti, Nato, uomini politici di primo piano, costruttori, industriali, governi, diplomatici e last but not least, il Vaticano”. Nessuno, però, è mai riuscito di fatto ad accertare questi collegamenti. Almeno, non tutti…
Di certo c’è che fino ad oggi Rolando Pelizza non ha mai svelato a nessuno il mistero della sua macchina, né ha mai parlato dei contatti che ha tenuto, o tiene, con poteri occulti mai definiti.
Ho dunque domandato a Pelizza se voleva cogliere l’occasione di questa produzione cinematografica svizzera per raccontare la sua verità, ma è stato inutile. Una trattativa c’è stata, ma non ha portato a nulla. Pelizza era nell’ombra e nell’ombra è rimasto, nonostante Tognola si dicesse più che disponibile a dargli spazio nel film. Dunque, dovevamo fare senza di lui.
La sceneggiatura del film non è stata mai scritta. Si può dire che fosse interamente nella mente di Tognola. Prima di tutto gli serviva una location, come si dice nel gergo cinematografico, molto particolare. Voleva un antico convento, ambienti molto suggestivi dove realizzare scene di carattere monastico. Non fu facile accontentarlo. Grazie all’aiuto di un amico, Mauro Casale, storico di Torriglia e del suo territorio, saltò fuori la possibilità di girare per un paio di giorni nell’abbazia del Santuario Nostra Signora di Montebruno, in Val Trebbia. Il parroco della zona, Don Pietro Cazzulo, fu molto disponibile e ci mise a disposizione diversi locali.
Le riprese dovevano continuare con nuove scene che necessitavano di un altro tipo di sfondo, sempre di tipo religioso. Anche in questo caso, grazie all’aiuto di Enrico M. Remondini, l’imprenditore che aveva fatto iniziare la mia inchiesta per “Il Giornale” consegnandomi il materiale sulla Fondazione Internazionale Pace e Crescita, contattai Padre Eugenio Cavallari O.A.D., rettore del Santuario della Madonetta di Genova, che molto gentilmente ci concesse l’uso di alcuni locali interni.
Ma il lavoro di Tognola e dei suoi operatori non finì qui. Una mattina, alle prime luci dell’alba, ripresero il risveglio del porto di Genova, girando bellissime scene dal Belvedere di Castelletto. Splendidi l’arrivo e la partenza delle navi nel chiaroscuro della luce che, a poco a poco, scacciava il buio della notte. Si passò quindi al Porto Antico, dove il festoso ambiente del quartiere dell’Acquario venne immortalato da diverse angolature.
Fu invece più spiacevole l’episodio che riguardò la redazione del “Giornale di Genova”. Tognola avrebbe voluto girare alcune scene anche lì, visto che quella era la redazione dove avevo lavorato, ma non fu possibile. Per cause che non è stato possibile neppure accertare, la nuova proprietà (“Il Giornale” l’aveva ceduta ad imprenditori piemontesi), si rifiutò. E non ci venne spiegata neanche la ragione.
Superammo il problema grazie all’aiuto della Liguria Film Commission, la cui collaborazione è stata fattiva e indispensabile. Abbiamo potuto toccare con mano come questo ente regionale sia davvero di estrema utilità per le troupe cinematografiche che vengono a lavorare sul nostro territorio.
Ma le esigenze professionali di Victor Tognola non si sono fermate a Genova. Ad un certo punto, aveva bisogno di girare una scena nell’entroterra. Non fu facile accontentarlo, ma ci riuscimmo. Trovai la location giusta nel caratteristico territorio di Sardigliano (AL), nei pressi dei colli tortonesi. Anche qui, grazie alla gentilezza del vice sindaco Renato Galardini, fu possibile lavorare per un’intera giornata all’aperto.
Ma la mia inchiesta da Genova era soltanto partita, poi si sviluppava lungo altri centri della penisola, con l’intervento di diversi personaggi legati alla storia. Le telecamere arrivarono dunque in Calabria, a Roma e in altri centri del Lazio, in Emilia e poi in Lombardia.
Tognola ci teneva ad avere anche l’opinione di Vittorio Feltri, cioè colui che era stato il direttore che aveva pubblicato i miei articoli. Non sapevo se Feltri avrebbe accettato, ma glielo domandai lo stesso. Fu gentilissimo e si concesse alle telecamere svizzere, esponendo il suo punto di vista su quanto era accaduto. Le riprese vennero fatte all’interno della redazione centrale milanese del “Giornale”, in via Gaetano Negri.
Il film è stato ultimato verso la fine del 2013 e adesso entrerà nella programmazione della RSI. Tognola afferma che verrà trasmesso entro l’anno, non si sa quando. Le produzioni televisive svizzere, a quanto pare, hanno i loro tempi.
L’unico dispiacere, se possiamo definirlo così, è non avere avuto Pelizza tra le persone intervistate. Il vero protagonista della “Macchina infinita” continua a restare nascosto, tenendo per sé tutti i suoi segreti. Segreti che, tutto sommato, forse sono destinati a restare tali per sempre.
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