Di
Francesca Manta
La Russia presenta ufficialmente il suo nuovo circuito di pagamenti bancari, in cui VISA non è ancora accreditato; la Cina si prepara a mostrare i muscoli: le sue riserve auree sarebbero in grado di qualificare la valuta di Pechino come quella più affidabile del pianeta. Il dollaro e l’economia americana si preparano a lasciare il primato degli scambi internazionali. Non c’è posto per il dominio del dollaro nel business del XXI secolo, il futuro parla mandarino.
Il dollaro, da sempre sinonimo di sicurezza economica, una sorta di passepartout delle transazioni internazionali, per alcuni un’ancora di salvezza vista la sua grande affidabilità sui mercati finanziari, si appresta a dire addio al ruolo di valuta principe del business mondiale. Le spinte di destabilizzazione provengono da più parti, quasi fosse una volontà diffusa da parte dei principali attori dell’economia mondiale. Già l’istituzione della Banca dei BRICS aveva prodotto una notevole risonanza, proponendosi come valida alternativa al FMI sulla garanzia di aiuti riservati ai governi in difficoltà e di promozione del commercio internazionale. In tal senso, un investimento congiunto dei cinque Paesi membri ha creato un organo dotato di solide basi economiche per operare, tanto che l’Europa ha già subito lo scossone di una possibile adesione greca al gruppo delle economie “in via di sviluppo”, che in realtà sono già dei colossi.
Ora i passi verso una sconfessione del dollaro si fanno più decisi: la Russia ha ufficialmente presentato il suo nuovo sistema di pagamento bancario: “Mir”, alternativamente “Mondo” o “Pace” (scegliete pure la traduzione più gradita), emetterà circa 100 milioni di nuove carte di credito a partire dal terzo trimestre del 2015 durante i prossimi due anni. Tale strategia, inaugurata dal NSPC (il neonato sistema nazionale di carte di pagamento russo), prevede che i processi di pagamento operati in Russia da parte di MasterCard e VISA (sebbene quest’ultimo sia ancora escluso dagli accordi) devono essere spostati all’interno del territorio della Federazione, riducendo notevolmente l’impatto dei fattori esterni sulle operazioni economiche dei russi, ma soprattutto moderando l’effetto delle sanzioni finanziarie che a settembre i due circuiti di pagamento mondiale avevano imposto al Cremlino. Se anche il sistema di telecomunicazione interbancario SWIFT dovesse essere rimpiazzato con un’alternativa locale, allora il bacino economico internazionale perderebbe un utente di grandi dimensioni, con le conseguenze del caso.
Il vero terremoto però potrebbe provocarlo la Cina. A dispetto di quello che i vari analisti e politici annunciano circa la capacità della finanza di Pechino di caricarsi il fardello di moneta guida dell’economia mondiale, il presidente cinese Hu Jintao considera la valuta americana come un “prodotto del passato”. Al prossimo di uno dei due incontri decennali che il FMI tiene circa la determinazione delle cosiddette valute di riserva dell’economia mondiale, lo Yuan si candida come new entry nell’Olimpo delle monete più “sicure” del mondo. Tale status può essere garantito dalla spropositata quantità di oro che il governo cinese produce (grazie alle miniere possedute) e acquista. Dati i numeri esorbitanti che si sono ipotizzati ma mai ufficializzati, la valuta cinese potrebbe addirittura candidarsi a divenire la moneta più affidabile nelle transazioni commerciali e finanziarie a livello mondiale, basando la sua forza sugli stessi presupposti sfruttati dal dollaro agli albori del XX secolo: le riserve di oro. Oggi il dollaro non è sostenuto da niente, il debito pubblico americano è cresciuto a dismisura (e il governo cinese ne detiene una fetta consistente in titoli di stato); così Pechino, attuando una strategia basata sull’accumulo di riserve oltre che su una crescita economica che nel peggiore dei casi ammonta al 7%, si prepara a divenire la prima economia mondiale nel giro di pochi anni, nonché una superpotenza in senso lato.
“Mala tempora currunt”, sì, per i vari George, Abraham e Benjamin, che rischiano di perdere il loro potere contrattuale dopo decenni di predominio sul panorama economico internazionale. Tutto ciò sicuramente non è che presupponga soltanto degli aspetti positivi. Chiaramente la non esclusiva dipendenza dal dollaro donerà linfa vitale al commercio degli idrocarburi, dando delle opportunità consistenti agli stati esportatori di rafforzare la propria economia; si pensi all’Iran, alla Russia, al Venezuela, enormemente penalizzate dal petrodollaro, soprattutto nel periodo di crollo dei prezzi. D’altro canto un eccessiva forza cinese pone l’Europa in una morsa stringente, tra i due giganti dell’economia mondiale, con un serio rischio di sopravvivenza e influenza sul panorama geopolitico internazionale.